Ottaviano Augusto ascende al potere nel 27 a.C; con lui ha inizio la prima età imperiale. Augusto utilizza l'arte come mezzo di propaganda politica per sottolineare il suo essere princeps, primo fra gli altri, per autorità morale (vedi lezione Roma Imperiale Tra storia e curiosità). Questo messaggio era veicolato dalle monete che riportavano la sua effigie (fig.01) e dalle tre tipologie di statue che lo ritraevano: la statua loricata con indosso la corazza (che rimanda alle virtù militari), la statua togata con riferimento all'osservanza delle tradizioni e al suo ruolo di amministratore delle ricchezze dell'impero, la statua equestre che sottolinea il suo prestigio.
La statua di Augusto di Prima Porta (fine I secolo a.C. Roma Musei Vaticani) (fig.02) è così chiamata dal nome della porta presso cui é stata rinvenuta, nel luogo dove sorgeva la villa di Livia, una delle mogli di Augusto. Ci mostra Ottaviano nelle vesti di imperator (comandante dell'esercito) mentre con il gesto dell'adlocutio accompagna il suo discorso che incita i soldati alla battaglia. La posizione del braccio ci ricorda l'etrusco Arringatore del Trasimeno (vedi lezione Gli Etruschi). Veste il paludamentum (il mantello che si portava arrotolato sul braccio, indossato dai generali) insieme alla lorica, la tipica corazza di cuoio dei soldati. Il volto ha le fattezze dell'imperatore, ma i lineamenti sono distesi ad indicare una quieta ed eterna imperturbabilità.
Sulla corazza sono presenti figure allegoriche (fig.03) e (fig.04). In alto appare il Cielo nell’atto di dispiegare la volta celeste come un mantello gonfiato al vento. A sinistra c'è la quadriga col Sole che avanza verso destra preceduta dalla Luna e dall'Aurora (quest’ultima versa da un'anfora delle gocce di rugiada). Al centro un personaggio, probabilmente il re dei Parti, sta restituendo a Tiberio le insegne imperiali che Crasso aveva perso durante la battaglia di Carre del 53 a.C. Questa scena é molto importante perché indica un accordo diplomatico che Augusto era riuscito a raggiungere per poter mettere al sicuro i confini orientali dell'impero da questa popolazione. Ai lati dei due personaggi ci sono le figure allegoriche della Germania e della Pannonia, vinte da Tiberio rispettivamente nel 12 e nell'8 a.C. In basso a sinistra appare Apollo a cavallo di un grifo e a destra la dea Diana, sua sorella, al galoppo di una cerva. Ancora più in basso Tellus (la Terra) regge una cornucopia mentre allatta due poppanti, simbolo di fertilità. Il messaggio comunicato è che la forza militare e l'abilità diplomatica di Augusto assicurano la pace e la prosperità dell'impero. La statua un tempo era colorata. Ai piedi del princeps c'è un piccolo Eros che allude alla genealogia divina sostenuta dall'imperatore: egli era il figlio adottivo di Cesare, appartenente alla gens Julia, le cui origini risalgono a Venere…
Per Ottaviano Augusto le monete (soprattutto), gli archi e le sculture dovevano fungere da mezzo di propaganda: si può dire che sia stato il primo ad aver capito l’importanza della comunicazione mediatica. L'imperatore si faceva ritrarre con particolari ben precisi che rendevano la sua effigie facilmente riconoscibile, cioè con le ciocche di capelli sopra l'occhio destro a coda di rondine e a tenaglia su quello sinistro (fig.05).
Un esempio di statua togata è Augusto dalla via Labicana (inizio I secolo d.C. Palazzo Massimo alle Terme) (fig.06): qui l'imperatore è ritratto nelle vesti di pontifex maximus (massima carica religiosa nella religione romana) mentre sta celebrando un sacrificio. Indossa la toga e ha il capo coperto. Purtroppo, non ci sono pervenute le mani ma sicuramente con una delle due reggeva la patera, il piatto rituale. La scultura doveva simboleggiare la devozione del princeps agli dèi (pietas).
Ara Pacis (13-9 a.C.) Roma (fig.07) Al rientro dalle vittorie in Spagna e in Gallia il Senato volle erigere in onore di Augusto un altare in zona campo Marzio. Costruito in marmo proveniente da Luni (località tra Liguria e Toscana), il complesso ha la forma di un recinto quadrangolare, è posto su un podio e ha gli ingressi sui lati minori. All'interno c'è un altare (mensa) su cui si facevano i sacrifici: è a questa funzione che fanno riferimento le decorazioni di alcuni riquadri.
All'interno il recinto è suddiviso in due fasce. La parte inferiore vede la riproduzione delle palizzate lignee utilizzate per recintare in origine l'area consacrata. Una fascia di palmette separa la suddetta decorazione dalla fascia superiore (fig.08) in cui appaiono delle ghirlande sorrette da bucrani (teschi di buoi sacrificati) con al centro delle patere (piatti rituali) (fig.09). Si vuole così far riferimento, come si diceva prima, ai riti che erano stati eseguiti per inaugurare il monumento, durante i quali si sacrificavano animali alle divinità e si offrivano libagioni.
La parte esterna è suddivisa in due registri separati da una fascia a meandro. Sulla zona inferiore appaiono girali di accanto e motivi vegetali che si intrecciano tra loro (fig.10). L'influenza dell'arte alessandrina, che cura la minuzia dei dettagli ispirandosi alla realtà, è evidente nella resa dei diversi tipi di piante e fiori: alloro, fiori di loto, edera, arbusti,etc. Appaiono anche i cigni, uccelli cari ad Apollo, il dio protettore di Augusto. Si vuole così sottolineare l'abbondanza, la fertilità della natura di cui gode l’Impero romano sotto il regno di Augusto. Per i medesimi motivi di propaganda anche nella letteratura contemporanea di Virgilio, nelle Bucoliche, è presente l'esaltazione della natura e della vita campestre.
Sui lati nord e sud nella fascia superiore, sempre con la tecnica del bassorilievo, si snoda il lungo corteo (fig.11), che aveva accompagnato la cerimonia dell'inaugurazione dell'altare, cui partecipano i sacerdoti (anche i flamini, a sinistra, col berretto a punta) e le magistrature più importanti guidate da Augusto incoronato di alloro. Le teste sono cinte da corone di olivo. Presenziano all'avvenimento i familiari, tra cui anche i bambini appartenenti alla gens Iulia, futuri governanti. Al centro, con il capo velato, risalta Agrippa, il braccio destro di Augusto, suo genero in quanto marito della figlia Giulia. Tuttavia, ciò che è descritto non è reale perché al momento dell'inaugurazione molte delle persone ritratte, tra cui lo stesso Agrippa, erano già morte; sono però qui rappresentate perché stanno prendendo parte idealmente all'avvenimento. La decorazione ci riporta al fregio delle feste panatenaiche del Partenone (vedi lezione antica Grecia l'arte).
Sui lati brevi (fig.12) ci sono pannelli in cui si ricordano eventi salienti che risalgono alle origini della storia di Roma, tra cui Enea che sacrifica agli dèi Penati (gli dèi protettori della sua gens) (fig.13).
Ai lati dell'ingresso a est le scene ci ricordano l'opulenza di Roma. In particolare la Saturnia Tellus (fig.14), la Madre Terra che appare nelle sembianze di una matrona col capo coperto e con in grembo due fanciulli e alcuni frutti. Ha ai suoi piedi un bovino, un ovino, un vaso rovesciato sulle canne palustri: si tratta dell'allegoria della fertilità e dell'abbondanza delle acque sotto il regno di Augusto. Ai lati della Saturnia Tellus figurano due Aure ovvero le personificazioni dei venti: quella sul cigno è l’allegoria di quelli di terra mentre l'Aura sul drago marino simboleggia i venti di mare. Qual era l'intento celebrativo di queste scene? Anche stavolta si tratta di un’opera di propaganda: si voleva dire che sotto il regno di Augusto vigeva la pace, l'abbondanza, la fertilità, si viveva nel benessere. Il suo impero, inoltre, voleva essere la continuazione della Roma delle origini (quella di Enea, di Romolo e Remo). Una curiosità: dal 2006 l’Ara Pacis è protetta da una teca trasparente che, al contempo, provvede all'illuminazione naturale del monumento…
Foro di Augusto (Roma) (fig.15) Iniziato il 6 a.C. ed inaugurato il 2 a.C, lungo 125 m e largo 118 m, il foro di Augusto è stato eretto in seguito al voto compiuto da quest’ultimo al dio Marte vendicatore prima della battaglia di Filippi (42 a.C.): se fosse riuscito a sconfiggere i cesaricidi, Ottaviano avrebbe costruito un enorme tempio in onore del dio della guerra e del trionfo. Nel 2 a.C. egli acquistò il terreno su cui edificarlo (non lo espropriò, al contrario di quello che fece Cesare per erigere il foro a suo nome). Il complesso venne innalzato grazie ai bottini di guerra.
Ma quale era il suo aspetto originale? La piazza, di forma allungata, era fiancheggiata da due alti colonnati. Ciascuno dei due portici, che si trovavano tre gradini più in alto rispetto alla piazza, nella parte posteriore, all’altezza del tempio, si allargava a formare un’esedra, coperta da tetto (fig.16).
Le colonne erano di marmi policromi e sorreggevano un attico con cariatidi (vedi sitografia), copie fedeli di quelli dell'’ Eretteo (vedi lezione Antica Grecia L’arte) (fig.17). Tra le cariatidi c'erano scudi con l'effige di Juppiter Ammon (fig.18) e altre divinità. Per i pilastri furono impiegati materiali costosi come il marmo cipollino e l'africano. I capitelli corinzi erano in marmo di Luni.
Sotto i portici c'erano statue di uomini illustri protagonisti della storia di Roma (tra cui Enea, Romolo e Augusto) e quelle dei summi viri, illustri statisti, di cui, per ognuno di essi, era riportato il nome e il cursus honorum (fig.19). Le fattezze dei personaggi, realmente vissuti, erano riprodotte in maniera realistica grazie all’ausilio delle maschere funerarie portate in processione (vedi lezione Antica Roma Le origini L’età monarchica L’età repubblicana L’arte La condizione femminile Il teatro): per quanto riguarda queste sculture si può dire che la loro funzione era quella di ricordare esempi di comportamenti virtuosi che dovevano fungere da ispirazione soprattutto per le nuove generazioni. Quelle che rappresentavano eroi mitici e leggendari avevano tratti idealizzati.
L'intero complesso era separato dalla zona popolare della Suburra (soggetta spesso a incendi) da una cinta muraria in blocchi di peperino alternati a fasce di travertino (fig.20). Al centro della piazza c'era una statua equestre con Augusto su una quadriga incoronato da una nike (fig.21). Sul basamento erano riportati i nomi dei popoli belligeranti ed il titolo di pater patriae (=Salvatore della patria: si voleva dire che Augusto, nei confronti dei suoi sudditi, era come un padre; doveva perciò provvedere alla loro prosperità, benessere, felicità).
Il tempio di Mars Ultor sostituì quello di Giove Capitolino sul Campidoglio (era qui che si portavano i bottini di guerra accompagnati da feste e processioni). L’insieme doveva esprimere dignitas e auctoritas. Il foro non era più un luogo democratico dove il popolo si incontrava per parlare di affari e di politica e ove avveniva il mercato, ma oramai è simbolo del potere imperiale: è caduta l'epoca della democrazia repubblicana, ora tutto il potere è nelle mani del princeps. Sempre nel foro di Augusto i magistrati compivano sacrifici prima di partire per le province ed é sempre qui che si accoglievano i principi stranieri e si decideva della guerra e della pace di Roma. Nel tempio vennero trasferite le insegne romane catturate dai Parti e recuperate da Augusto. Sul frontone del tempio era raffigurato Mars Ultor al centro (barbuto, armato di lancia e scudo) con a lato Venere, Eros e Romolo (vestito da pastore con il in mano il lituo, il famoso bastone impugnato dagli auguri, i sacerdoti che interpretavano la volontà degli dèi dal volo degli uccelli), l’allegoria del Tevere e del colle Palatino (dal quale Romolo aveva avvistato, rispetto a Remo, un gruppo di uccelli più numeroso e per questo era stato scelto dagli dèi come fondatore della città di Roma (vedi lezione Antica Roma Le origini L’età monarchica L’età repubblicana Storia Religione Cinema e Teatro). Appaiono ancora la Fortuna e la dea Roma vincitrice seduta sulle armi dei vinti (fig.22).
I buchi e le scalpellate nei marmi sono il frutto del saccheggio delle grate di bronzo, fenomeno assai diffuso nel ‘600. Inoltre, avveniva che il marmo fosse gettato frantumato nelle buche per dargli fuoco e ottenere così la calce (fig.23).
Aula del Colosso (fig.24) In un’aula a nord del foro l'imperatore Claudio aveva collocato una statua gigante di Augusto (da qui il nome di Aula del Colosso). Sempre in questo ambiente di forma quadrata erano collocati dei dipinti di Apelle che raffiguravano Alessandro Magno a significare che Ottaviano, al pari di lui, aveva trionfato sui suoi avversari portando la pace nel suo regno. Si dice che davanti al tempio figuravano due cariatidi di bronzo provenienti dalla tenda del generale macedone: questo ce la dice lunga sulla profonda ammirazione che Augusto nutriva nei confronti di Alessandro Magno…
Ottaviano e la glìttica
Un altro veicolo della propaganda augustea è la glittica, l'arte della lavorazione delle pietre dure. Tra queste ricordiamo la Gemma augustea (10 d.C.) Vienna Kunsthistorisches Museum (fig.25) La pietra, l’onice, mostra figure di colore bianco intagliate su uno sfondo scuro. Anche qui troviamo una serie di personaggi allegorici protagonisti del trionfo imperiale. Sul registro superiore, al centro, Augusto è seduto sul trono alla maniera di Giove Capitolino con ai piedi l'aquila (il suo simbolo). A sinistra siede Roma che calpesta le armi dei popoli sconfitti. Tra i due personaggi, in alto, appare un medaglione con il Capricorno, segno zodiacale di Augusto. Sulla destra, vicino ai bordi, appare l'allegoria di Ecumene (il mondo abitato), con accanto il barbuto Oceano, che incorona Augusto con foglie di quercia, simbolo del suo ruolo di salvatore di Roma. In basso a destra è seduta Terra. La cornucopia e il bambino pingue rimandano alla fertilità e all'abbondanza. Sul lato sinistro appare Tiberio mentre scende da un carro guidato da una nike alata. È preceduto da suo figlio adottivo Germanico in abito da soldato. Tutti gli sguardi sono rivolti ad Augusto. Nella parte inferiore una serie di soldati è impegnata nell'erigere un trofeo, ovvero un palo di legno su cui si era soliti appendere le armi del nemico sconfitto. Le personificazioni delle province sottomesse trascinano per i capelli i barbari vinti. Il messaggio è palese: Augusto, assistito dagli dèi, ha creato un impero forte e prospero dopo aver sottomesso popolazioni barbare. La gemma faceva parte del Tesoro imperiale di Roma portato da Costantino a Costantinopoli e qui depredato nel 1204 durante il famoso saccheggio della Quarta crociata.
Mentre Augusto sceglie di abitare sul Palatino, unificando gli edifici già esistenti al tempio di Apollo, e non insegue una fastosa opulenza nelle decorazioni, Nerone invece costruisce la Domus aurea sui terreni andati distrutti dall'incendio del 64 d.C. L’abitazione è così chiamata per le preziose decorazioni che la ornavano. Occupava circa 250 ettari e si estendeva tra i colli Palatino, Celio, Esquilino (fig.26). Comprendeva 300 stanze tra ambienti dedicati a cene, spettacoli, corridoi, cortili. Si dice che Nerone nel costruire la nuova reggia si fosse rammaricato per il fatto di non essere riuscito a spendere più di quello che lo zio Caligola aveva dilapidato prima di lui. La costruzione della villa faceva parte di un progetto, il primo vero e proprio piano regolatore della storia di Roma, in cui si stabiliva l'allineamento delle strade, si dava un limite massimo all'innalzamento degli edifici e si impiegava materiale refrattario agli incendi. Gli architetti della Domus, di nome Severo e Celere, realizzarono una vera e propria villa, dalle dimensioni gigantesche, caratterizzata da portici, colonnati, padiglioni indipendenti e un lago artificiale nella zona ove verrà eretto il Colosseo. L'interno risplendeva di oro, conchiglie e perle.
Il salone principale era rotondo e mobile per simulare la volta celeste (fig.27). Nel vestibolo l'imperatore fece innalzare dallo scultore greco Zenodoro la colossale statua in bronzo, con le sue fattezze, ispirata al colosso di Rodi ed in seguito trasformata nel dio Sole da Vespasiano (vedi lezione Roma Imperiale Vita quotidiana Il Colosseo e i gladiatori l’eruzione del Vesuvio). Nella sala da bagno c'erano acque termali. Nerone disse a proposito della nuova residenza: “Finalmente comincio ad abitare in modo degno di un uomo”. La luce inondava gli spazi della struttura aperta verso sud e si rifletteva sui marmi colorati delle pareti. Gli affreschi erano scanditi da cornici di stucco ricoperti di foglia d'oro. Tutto brillava. Anche Seneca ribadisce che la reggia risplendeva di fasto e oro.
Tra gli ambienti ricordiamo la sala di Ettore e Andromaca (fig.28). La cenatio (sala per i banchetti) era dotata di soffitti a cassettoni con lastre eburnee girevoli e forate per far piovere sui commensali fiori e profumi. Il ninfeo di Ulisse e Polifemo (fig.29) doveva apparire come una grotta abbellita da decorazioni calcaree. Nerone vi aveva ideato una sorgente d'acqua dedicata alle ninfe. La volta era decorata con dei tondi e da mosaici purtroppo portati via all'epoca di Traiano.
Le pitture erano opera di Famulo (o Fabullo). Le pareti erano decorate da candelabri, oggetti ed animali fantastici e verranno chiamate grottesche (fig.30) dai pittori che, durante il ‘500, si calavano nelle rovine per copiare questo repertorio.
Di Vespasiano, oltre l'anfiteatro Flavio, chiamato anche Colosseo (vedi lezione Roma Imperiale Vita quotidiana Il Colosseo e i gladiatori l’eruzione del Vesuvio), ricordiamo un ritratto molto realistico, assai simile alle maschere di cera mortuaria dell'età repubblicana. La fronte è solcata da rughe profonde, é calvo, ha il mento pronunciato, le fattezze sono molto marcate. Le labbra sono sottili e gli occhi piccoli hanno le palpebre pesanti. Al contrario di Nerone, Vespasiano non vuole essere ritratto nei panni di un dio con tanti fronzoli: era un uomo pragmatico che, durante tutto il suo regno, ha concentrato i suoi sforzi per recuperare i soldi sperperati dalle amministrazioni precedenti.
L'arco trionfale è un altro veicolo di propaganda per celebrare la grandezza degli imperatori. Tito, successore di Vespasiano, fa erigere questo monumento per onorare le vittorie conseguite in Palestina con la conquista della Giudea e la distruzione del tempio di Gerusalemme (avvenuto nel 70 d.C.). L'arco presenta un solo fornice (apertura) ed è retto da due grossi pilastri con ai lati due semicolonne scanalate e lisce. I pilastri poggiano su un'alta base. In cima è incisa una lapide dedicatoria. Per la prima volta è presente il capitello composito (con le volute del capitello ionico e le foglie di acanto di quello corinzio).
All'interno dell'arco è raffigurato Tito su un carro portato in trionfo ed incoronato da una nike alata (fig.33).
L'altro rilievo ci fa vedere invece i soldati romani, con il capo cinto da corone di foglie di quercia, che stanno portando in trionfo il bottino depredato nel tempio di Gerusalemme (tra cui le trombe argentee ed il candelabro a 7 bracci) (fig.34). Altri soldati reggono le tavolette sulle quali sono riportati i nomi delle città conquistate: esse derivano dalle tabulae pictae, tavole dipinte con la rappresentazione delle battaglie più importanti avvenute durante le guerre. Il corteo é rappresentato mentre sta per attraversare la porta trionfale. L'anonimo scultore è stato bravo nel rendere efficacemente il movimento dei personaggi conferendo alla scena profondità spaziale attraverso la loro sovrapposizione. I corpi si muovono seguendo una direttrice obliqua. Nella parte superiore del rilievo si dispongono gli oggetti portati in trionfo. La luce riveste un ruolo fondamentale perché investe la lastra lateralmente accentuando l'aggetto delle figure.
Con il foro di Cesare si è inaugurato l'inizio della costruzione dei Fori Imperiali. Quasi ogni imperatore ha voluto lasciare una traccia di sé nello spazio compreso tra i colli Quirinale, Palatino, Viminale, Capitolino, a ridosso del foro romano. Il complesso di queste piazze (dotate di tempio, sculture, colonne e porticati) era pensato in continuità con il foro romano con cui comunicavano direttamente anche a scopo propagandistico: gli imperatori che si succedevano al trono di Roma si consideravano gli eredi dei valori e della forza della Roma repubblicana. Purtroppo, l'assetto urbanistico originale è stato modificato da Mussolini che tra le due aree monumentali ha fatto costruire la via dell'impero (oggi via dei Fori Imperiali) per collegare piazza Venezia al Colosseo (fig.36).
Tra il 71 e il 75 d.C. Vespasiano ha eretto, grazie al bottino conquistato a Gerusalemme, il Foro della Pace (fig.37) con impianto longitudinale, un ampio porticato e il Tempio della Pace sullo sfondo. Quest'ultimo aveva un’abside di fronte all'ingresso e un'aula quadrangolare.
Nell'archivio catastale attiguo era stata affissa una grande pianta di Roma (forma urbis) incisa su lastre marmoree di cui ci è giunto qualche frammento. Tra il Foro della Pace, il Foro di Cesare e quello di Augusto, su una striscia di terreno, è stato edificato il Foro di Nerva nel 97 d.C. dedicato al tempio di Minerva. La piazza era luogo di transito dalla Suburra (quartiere popolare) alla spianata dei fori.
Il Foro di Traiano è stato progettato da Apollodoro di Damasco. Aveva dimensioni più grandi rispetto agli altri fori; vi si accedeva dal campo Marzio attraverso un arco monumentale. Al centro del cortile si trovava la famosa colonna coclide che aveva ai lati due biblioteche gemelle (una custodiva testi latini e l'altra quelli greci). Un lato era chiuso dalla basilica Ulpia (fig.39) (vedi lezione Antica Roma Le origini L’età monarchica L’età repubblicana L’arte La condizione femminile Il teatro). Nella piazza erano state collocate statue dei Daci prigionieri.
Il foro era collegato ai mercati traianei, sul colle del Quirinale, dotati di botteghe ed uffici amministrativi (fig.40). Costruiti su terrazzamenti, questi ambienti erano lastricati con lastre di pietra ed erano coperti da volte (fig.41).
La colonna traiana (fig.42), un tempo policroma, è un fusto di 29,64 metri (più dieci di basamento), composta da 21 blocchi di marmo sovrapposti. Ha forma coclide perché percorsa all'interno da una scala a chiocciola che porta fino in cima (fig.43), ove un tempo era presente una statua bronzea di Traiano sostituita in seguito, nel XVI secolo, da quella di San Pietro. Il fregio continuo, scolpito in bassorilievo, mostra 154 scene con 2500 figure incentrate sulle due guerre combattute per la conquista della Dacia (100- 101 d.C.) e (105-106 d.C.) narrate, con intento celebrativo, in ordine cronologico. Il marmo è di Carrara.
Il piedistallo(fig.44) è istoriato con scudi, armi, oggetti che facevano parte del bottino di guerra. Sulla cornice ci sono festoni sorretti da aquile (fig.45).
La narrazione si svolge sotto gli occhi dello spettatore, come se si trattasse di un volumen (vedi sitografia) srotolato e procede dal basso verso l'alto. L'altezza del nastro aumenta man mano che ci si avvicina alla sommità per permettere la lettura dal basso e correggere l'accorciamento prospettico. Sono riportate scene di battaglie, la vita quotidiana dell'esercito e il discorso dell'imperatore fatto alle truppe durante le guerre daciche. Intervengono anche immagini di divinità e alcune personificazioni. La prima scena ritrae il passaggio delle truppe sul Danubio rappresentato come un gigantesco dio barbuto. I soldati lo attraversano grazie alla costruzione di un ponte di barche. In prima fila figurano coloro i quali portano le insegne delle legioni (signa). Dietro altri soldati marciano con bastoni ai quali sono stati legati effetti personali (paioli, sacchetti col cibo, etc.) (fig.46).
Appaiono anche scene in cui è all'opera il genio con la costruzione di ponti, mura ecc.(fig.47) Traiano è presente ben 59 volte nelle vesti di condottiero, stratega e protagonista di atti di clemenza nei confronti dei nemici (fig.48). La cesura tra le due guerre è la scena in cui una figura alata incide su uno scudo le vittorie di Traiano (fig.49). Nelle varie scene gli sguardi convergono verso l'imperatore. Sullo sfondo appaiono mura, edifici, fortificazioni, alberi per conferire veridicità alla narrazione.
Molto importante è la scena della morte di Decebalo (fig.50). Il re della Dacia, oramai sconfitto, é inseguito dai nemici romani; il barbaro si toglie la vita rivolgendo fieramente il viso agli inseguitori: preferisce morire piuttosto che cadere vivo nelle loro mani. Sottolineando la grandezza degli sconfitti si vuole così esaltare la grandezza dei vincitori (vedi Il Galata morente Dall’età alessandrina all’ellenismo paragrafo Arte).
Ad Adriano si deve la costruzione del Vallo (fig.51)a protezione dell'impero dalle popolazioni scozzesi (120- 126 d.C).
Tra il 115 e il 124 d.C. ristruttura il Pantheon (fig.52), “tempio di tutti gli dèi”, dedicato ai pianeti allora conosciuti (Sole, Luna, Venere, Saturno, Giove, Mercurio, Marte). L'edificio originale, eretto da Agrippa (sitografia) nel 27 a.C., aveva subito gravi danni a causa di un incendio. Quando Adriano decide di restaurarlo ripristina l'iscrizione commemorativa originaria che si trovava sulla fascia sopra le colonne che, per l'appunto, attribuiva ad Agrippa la costruzione dell'edificio.
Lascia, inoltre, il precedente edificio di pianta rettangolare e lo trasforma in vestibolo (fig.53) e, nella parte retrostante, dove era ubicato l'ingresso sulla piazza, edifica una rotonda. La costruzione finale ha dunque una facciata octastila sormontata da un timpano. Il pronao (vestibolo) presenta tre fili di colonne corinzie che scandiscono lo spazio, di cui 8 sono sulla fronte e quattro nelle file interne. Le colonne sono dal fusto liscio e di materiale pregiatissimo: si tratta di granito egizio di colore grigio e rosa.
Una volta superato il vestibolo, varcando l'ingresso vero e proprio della struttura, ci si trova in uno spazio dalla pianta circolare coperto da una cupola (fig.54). Quest'ultima poggia su un tamburo con pareti spesse 6 m su cui sono state ricavate nicchie semicircolari alternate a nicchie quadrangolari (fig.55) intervallate da edicole. Ciascuna di esse è schermata da colonne corinzie scanalate in marmo giallo antico proveniente dall'Africa settentrionale e pavonazzetto (quest'ultimo è importato dalla Turchia ed é bianco con venature violacee).
Di fronte all'ingresso è presente una grande abside semicircolare (fig.56). La pavimentazione alternava motivi circolari a motivi rettangolari (fig.57).
La parte superiore del tamburo è decorata da finte finestre (fig.58). La cupola è stata costruita con cemento, misto ad altri materiali sempre più leggeri man mano che ci si avvicina alla sommità (marmo travertino, tufo, tegole, mattoni frantumati, scorie vulcaniche). Insomma, l’edificio è una perfetta opera di ingegneria!
La cupola é una delle più grandi al mondo ed è caratterizzata da 5 anelli decorati da 28 lacunari quadrangolari le cui dimensioni diminuiscono progressivamente dal basso verso l'alto (fig.59).
Il diametro, di 43,44 m, è uguale all'altezza dell'aula. Compito dei lacunari è quello di alleggerire la struttura e renderla più resistente. La luce proviene dal loculo in alto e, una volta penetrata, si allarga colpendo i muri perimetrali, in particolare le cornici orizzontali dei lacunari, lasciandone in ombra la parte inferiore. Si crea così un gioco ritmato di chiaroscuri che alleggerisce l'impianto. (fig.60).
Quando piove l'acqua defluisce attraverso fori di scolo sul pavimento. Un tempo la parte circolare era stretta da altri edifici, motivo per cui non poteva essere visibile dall'esterno. L'architetto comunque ha costruito nella parte superiore un parallelepipedo che la raccorda al pronao (fig.61).
Le statue bronzee che ornavano il Pantheon sono state fuse per realizzare l’artiglieria custodita a Castel Sant'Angelo (e non, come si pensa, il baldacchino di San Pietro!). E’ importante ricordare il ruolo che ricopre la luce nell'edificio: il 21 Aprile, a mezzogiorno, essa colpisce l'arco di entrata. Perché proprio in queste date? Per ricordare il “compleanno” di Roma e la commemorazione di Giove Ottimo Massimo. L'edificio è stato trasformato in chiesa cristiana con il nome di Santa Maria ad Martyres (609 d.C). Oggi vi si trovano le tombe di Raffaello Sanzio, Annibale Carracci, della famiglia Savoia.
Villa Adriana a Tivoli
L'imperatore Adriano aveva trascorso gran parte del suo regno a viaggiare in Grecia e in Oriente per visitare e conoscere da vicino le province dell'impero. Era innamorato della Grecia, meta obbligata, a quel tempo, per gli aristocratici e i membri della famiglia imperiale perché era considerata un'importante tappa per la formazione culturale. In Grecia Adriano si fa iniziare ai misteri eleusini (vedi Lezione Antica Grecia Il mito e la religione) ed é nominato arconte. Costruisce una biblioteca ad Atene, vicino l'agorà. Quando muore Antinoo (il suo amante, uno schiavo della Bitinia) crea un culto a suo nome, gli fa erigere templi e sculture che lo ritraggono nelle vesti di Osiride, Dioniso, Apollo, Mercurio. L'amore per le terre visitate durante i suoi viaggi è visibile nella villa Adriana a Tivoli (fig.62) ove l'imperatore si propone di rievocare gli ambienti e i luoghi da lui ammirati in Egitto, Grecia e Siria.
Il complesso si estende per 120 ettari. Si caratterizza per la successione di linee curve e rette, parti concave e convesse e per l'uso della copertura a volta (fig. 63). La villa è di grande impatto scenografico e per costruirla si è dovuti intervenire per modificare il paesaggio con terrazzamenti e con la deviazione del fiume Aniene. Circondata completamente dal verde, era una vera e propria città ideale.
Alle varie zone Adriano aveva assegnato i nomi dei luoghi famosi da lui visitati. Ad esempio, il canòpo é una vasca circondata da colonne lisce, sormontate da architravi, che si alternano ad archi a tutto sesto. Una estremità ha forma semicircolare mentre l'altra è dritta. Gli spazi tra le colonne erano adornati da statue di marmo, copie di originali greci (fig.64).
La maggior parte del patrimonio della villa purtroppo è stato depredato nel corso dei secoli. All'epoca della costruzione del complesso Roma pullulava di botteghe aperte da scultori greci, o provenienti dalla Magna Grecia, che producevano opere ispirate all'arte classica. Diversi manufatti importati dall'Attica erano trasportati da enormi vascelli per essere destinati ad abbellire giardini, ninfei, teatri, ville. Una delle opere meravigliose che ornavano il complesso di Villa Adriana é l'Afrodite accovacciata (Museo Nazionale romano Palazzo massimo alle Terme Roma) (fig.65), tema all’epoca molto replicato. La dea é rappresentata accovacciata mentre pratica le abluzioni. La sua sensualità é espressa dai fianchi morbidi così come dalle pieghe del ventre e dal seno. Manca delle braccia e di parte della testa. La scultura adornava la zona delle Terme della villa. Si tratta della copia di un originale greco di bronzo datato III secolo a.C. andato perduto.
Nel 176- 180 d.C. Marco Aurelio fa erigere una statua equestre bronzea (fig.66) che lo ritrae a cavallo (questo particolare genere di effigie era molto diffuso in epoca imperiale). L'opera é stata risparmiata dalla distruzione delle immagini pagane perché scambiata per la statua di Costantino: è stato l'umanista Bartolomeo Sacchi, detto Platina, a riconoscervi nel 1464 il ritratto di Marco Aurelio.
La statua è costituita da due pezzi, cavallo e cavaliere, fusi separatamente. In origine erano coperti da lamine d'oro in foglie martellate, ovviamente quasi tutte andate perdute nel corso dei secoli e di cui rimangono poche tracce per esempio, sulla tunica di Marco Aurelio e sulla testa del cavallo. L'imperatore porta una corta tunica cinta in vita da un doppio cordone e il paludamentum (mantello indossato dai generali). Ai piedi notiamo i calcei senatorii (calzari di stoffa con cinghia attorno al polpaccio). (Per i particolari vedere culturnauti in viaggio). Nella mano sinistra pare che reggesse la statuetta di una nike o un globo, simboli del potere universale. La gualdrappa (drappo sulla groppa del cavallo) su cui siede è composta da tre teli. Il gesto è quello dell’adlocutio: chiede alle sue truppe il silenzio per poter dare ordini. Molti studiosi ipotizzano che sotto la zampa sollevata del cavallo ci fosse originariamente un barbaro a ricordare la vittoria dell'imperatore sui Quadi e i Marcomanni. Il cavallo, di razza germanica, ha una muscolatura possente e mostra un'andatura sicura, guidata da Marco Aurelio. L’imperatore é ritratto con la barba folta alla maniera dei filosofi. L’opera é stata realizzata in occasione delle vittorie sulle popolazioni del Danubio nel 176 d.C. per il contesto di una processione trionfale o subito dopo la sua morte: in quest’ultimo caso si tratterebbe di un monumento onorario. Non siamo a conoscenza della sua collocazione originaria: le sue notizie più antiche risalgono all'VIII secolo d.C. quando si trovava in piazza San Giovanni Laterano. Sempre nel ‘500 fu collocata in piazza del Campidoglio da Michelangelo (fig.67).
Attualmente l'originale si trova in una sala al piano terra di Palazzo Nuovo (Musei Capitolini) dotata di copertura a vetri mentre nella piazza è presente una copia. Il blocco di marmo, proveniente da Luni, con cui è stato realizzato il basamento, apparteneva a un monumento più antico. Una curiosità: dalla posa si intuisce che probabilmente la scultura non godeva di una visione frontale, ma lo spettatore doveva ammirarla alla sua destra perché c’era probabilmente un'altra statua con cui faceva pendant. Se così fosse si tratterebbe di Commodo: il Senato, voleva così legittimare la successione al trono del figlio di Marco Aurelio facendo erigere due statue equestri dedicate ad entrambi; quella di Commodo sarebbe andata distrutta a causa della damnatio memoriae.
La colonna aureliana (176- 182 d.C.) (fig.68) si ergeva in campo Marzio; ora vi si affaccia Palazzo Chigi. Vuole celebrare la vittoria di Marco Aurelio sui Sarmati e i Marcomanni. La struttura e lo sviluppo del fregio a spirale ricordano la Colonna Traiana, evidente fonte di ispirazione. È alta circa 29,61 m ed in origine era decorata da una statua di Marco Aurelio, in seguito sostituita da una di San Pietro.
La fascia corre per 21 giri intorno al fusto. Rispetto a quelle della colonna traiana le figure sono più aggettanti e hanno un più forte chiaroscuro grazie all'utilizzo del trapano (fig.69).
L'imperatore è rappresentato frontalmente, circondato da dignitari che convergono gli sguardi verso la sua persona (fig.70). Le figure, rispetto a quelle della Colonna traiana, sono più grandi perché l'altezza della fascia è maggiore e anche perché lo spazio libero che circondava la colonna era più esteso rispetto a quello intorno alla Colonna traiana e, dunque, le scene potevano essere ammirate dallo spettatore ad una distanza maggiore.
Non c'è l'intento di una narrazione in senso cronologico, ma si vuole soprattutto comunicare un messaggio di forte impatto. Al contrario dell'opera voluta da Traiano qui non c'è la clemenza del vincitore rispetto ai vinti ma l'annientamento del nemico: le teste mozzate dei barbari cadono sotto i colpi dei romani; appaiono anche la pioggia o altri fenomeni naturali visti come manifestazione del divino che interviene a favore dell'imperatore. In un rilievo vediamo infatti Giove che si alza in cielo col corpo grondante di acqua e con le braccia aperte mentre inonda i romani in armi e i corpi dei barbari accatastati (questi ultimi avevano deviato le acque di un fiume per arrecare siccità ai campi del nemico). Si vuole dire che i romani hanno vinto anche perché hanno goduto del favore degli dèi. (fig.71). Marco Aurelio appare 59 volte nelle vesti di uno spietato condottiero che non prova pietà per i suoi nemici ed é ripreso in pose che lo assimilano ad una divinità.
Il Senato, per commemorare le vittorie conseguite in Oriente da Settimio Severo, fa erigere un arco in suo onore nel foro romano, a sottolineare la continuità con la tradizione repubblicana. L'arco è a tre fornici (aperture) comunicanti fiancheggiati da colonne scanalate che poggiano su alti plinti (vedi sitografia) e sono decorate da capitelli compositi (un “mix” di ordine ionico, nelle volute degli spigoli e di ordine corinzio nelle foglie di acanto (vedi sitografia). Sulla trabeazione è presente un'incisione dedicatoria all'imperatore che aveva salvato il popolo romano e, allo stesso tempo, ampliato i confini del regno. Originariamente l'arco era sormontato da una quadriga di bronzo. Ai lati del fornice centrale i rilievi mostrano le vittorie alate che portano in trionfo i trofei (fig.73).
In basso i plinti che sostengono le colonne raffigurano i soldati romani e i prigionieri in catene (fig.74). Sopra i fornici sono rappresentate le campagne di Settimio Severo combattute in Mesopotamia e in Arabia (fig.75).
La lettura procede dal basso verso l'alto come avviene per la Colonna traiana e per quella di Marco Aurelio. Le figure sono aggettanti ed eseguite col trapano. L'imperatore non era raffigurato mentre partecipa alla battaglia ma quando ormai era avvenuta e si celebra la vittoria.
Diocleziano inaugura la tetrarchia (vedi lezione Roma imperiale Tra storia e curiosità) raffigurata nel famoso rilievo in porfido rosso all'angolo della basilica di San Marco a Venezia (293- 305 d.C) (fig.76). I due cesari e i due augusti sono rappresentati in maniera stilizzata e sono privi di particolari specifici che ne permettono l'identificazione. Si abbracciano in segno di concordia e mostrano pose molto rigide. Il materiale molto pregiato con cui è stato realizzato il rilievo é il porfido rosso, che ricorda la porpora, colore regale. I tetrarchi indossano il copricapo pannonico, un berretto di feltro utilizzato dagli ufficiali di origine illirica; con una mano impugnano una spada caratterizzata da un'elsa a forma di testa di aquila. Il gruppo si trovava a Costantinopoli ed è arrivato a Venezia durante la quarta crociata (1204) insieme al bottino depredato alla città.
Le Terme di Diocleziano (298- 306 d.C.) (fig.77) sono state in parte inglobate da Michelangelo nel 1561 nella costruzione della Chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.
Tra il 293 e il 305 Diocleziano fa erigere un immenso palazzo a Spalato (fig.78) nell’allora Dalmazia, prospiciente il mare Adriatico, dall'aspetto di vera e propria fortezza.
Era circondato da mura su quattro lati ed aveva porte e torri quadrangolari e ottagonali lungo i tre lati verso terra mentre il lato prospiciente il mare era percorso da un loggiato. All'interno la pianta era molto simile al castrum romano: era percorsa da due assi che si intersecavano alla maniera del cardo e del decumano. L’area di fronte al mare ospitava appartamenti imperiali mentre quella più interna a nord comprendeva gli alloggi dei soldati, quelli della servitù e i magazzini (fig.79).
Uno degli ambienti più interessanti è la corte d'onore che consiste in un piazzale fiancheggiato da una sequenza di archi su colonne e con sullo sfondo un timpano interrotto da un arco centrale (fig.80).
All'interno del palazzo, ora centro storico di Spalato, c'è anche il mausoleo di Diocleziano (fig.81) di forma ottagonale, decorato con materiali preziosi provenienti dall’Oriente, sormontato da una cupola e circondato da un portico.
Le basiliche, in origine, erano luoghi in cui si si amministrava la giustizia e si sbrigavano gli affari. L’edificio è stato costruito in laterizio e calcestruzzo da Massenzio, il rivale di Costantino con cui si contendeva il controllo dell'impero (vedi lezione Roma imperiale tra storia e curiosità), ma in seguito è stato proprio quest’ultimo a completarla e a modificarne il progetto originario in funzione dei suoi intenti propagandistici. L'edificio ha la pianta tradizionale delle basiliche caratterizzata da tre navate longitudinali scandite da robusti pilastri, di cui quella centrale più larga e più alta rispetto alle due laterali (fig.83).
Massenzio aveva voluto ubicare l'ingresso sul lato corto da cui si accedeva da un porticato sormontato da volte a crociera. Sulla parete opposta, in fondo alle navate, troneggiava un'enorme abside che in origine doveva ospitare una statua enorme di Massenzio. Mentre la navata centrale era coperta da volte a crociera in calcestruzzo, quelle laterali avevano volte cassettonate a botte ortogonali (fig.84).
Quando Costantino ha rimaneggiato la pianta della basilica ha aggiunto un ingresso sul lato maggiore verso la via sacra e il foro e, di conseguenza sulla parete di fronte, ha fatto costruire un’altra abside monumentale (purtroppo questa è l'unica parte della basilica rimasta intatta). Costantino ha poi riutilizzato la statua colossale di Massenzio conferendole le sue fattezze. Ultimamente, grazie all’utilizzo dell’A.I., si è riusciti a ricostruire l'aspetto di questa enorme scultura partendo dai ruderi che ci sono pervenuti. Forse la fonte di ispirazione è stata la statua di Zeus a Olimpia di Fidia (vedi lezione Le sette meraviglie dell’antichità). All'interno della basilica la luce penetrava attraverso finestre disposte lungo le navate laterali creando un forte effetto chiaroscurale sui cassettoni delle volte. Originariamente l’edificio era abbellito da marmi provenienti da edifici antichi. Dalla pianta delle basiliche i cristiani prenderanno ispirazione per costruire i loro luoghi di culto.
Nell'area del foro romano Costantino ha fatto erigere un monumentale arco, l'ultimo della serie di quelli dedicati ai trionfi degli imperatori romani. L'opera vuole ricordare la battaglia contro Massenzio combattuta sul Ponte Milvio (vedi lezione Roma imperiale Tra storia e curiosità). E’ largo 26 m e alto 21. È un omaggio tributato a Costantino dal popolo e dal Senato; gran parte dei rilievi che decorano l'arco sono stati sottratti ad altri monumenti trionfali dedicati agli imperatori passati. Tra questi ricordiamo scene delle battaglie daciche combattute da Traiano, il suo ritorno trionfale a Roma (fig.86) e 8 statue di prigionieri daci (fig.87) realizzate in marmo pavonazzetto.
Gli 8 tondi disposti a coppie a lato del fornice centrale risalgono all’età di Adriano e raffigurano scene di caccia e sacrifici agli dèi pagani (fig.88).
Infine, sulla parete superiore ci sono raffigurazioni delle guerre intraprese da Marco Aurelio contro i Quadi e i Marcomanni. Tutti i volti originari degli imperatori sono stati scalpellati per assumere le fattezze di Costantino, il quale appare con il capo circondato da un'aureola (nimbus), simbolo di maestà regale che verrà poi riutilizzato dai cristiani col significato di santità. Costantino però non solo riutilizza antichi rilievi, ma ne commissiona in aggiunta una serie in cui vuole ricordare la sua vittoria contro Massenzio. Ricordiamo ad esempio l'uscita dell'esercito da Milano in cui le truppe di Massenzio, che indossano un'armatura a scaglie, stanno annegando nelle acque del Tevere, sospinte dall'esercito di Costantino (fig.89).
Ricordiamo ancora il Discorso dell’imperatore nel foro romano (fig.90) in cui compaiono sullo sfondo, in una visione irreale, i monumenti del foro qui rappresentati per sottolineare la regalità della scena: da sinistra le arcate della basilica di Santa Giulia, l'arco di Tiberio, una serie di colonne decorate da statue (forse appartenenti ad un edificio tributato ai tetrarchi), l'arco a tre fornici di Settimio Severo. Al centro c'è la tribuna da cui parla l'imperatore, chiusa da transenne e dalle statue di Marco Aurelio e Adriano. La moltitudine di gente che si è recata a sentire il discorso dell'imperatore è resa da una seconda fila di teste che si accalcano sotto gli archi.
Ne Costantino che elargisce doni al popolo romano (fig.91) è raffigurata la distribuzione del congiarum, cioè il premio in denaro o grano distribuito al popolo dopo la vittoria di una guerra. L'imperatore siede sul trono indossando la veste di senatore. Il popolo è disposto in basso ai lati. Ogni personaggio è simile all'altro perché esprime l’appartenenza ad uno status sociale. I funzionari che distribuiscono i doni sono collocati in logge sopraelevate e sono raffigurati in dimensioni maggiori. In entrambi i rilievi Costantino è rappresentato frontalmente a sottolineare la solennità dell’evento. Si punta alla semplificazione delle forme in modo che il messaggio possa essere facilmente comprensibile. In conclusione, nelle raffigurazioni dell’arco vengono portate in trionfo le virtù militari e civiche di Costantino e, allo stesso tempo, si vuole sottolineare la sua natura di optimus princeps in continuità con gli imperatori che lo avevano preceduto: Costantino é il solo in grado di combattere e sconfiggere i popoli invasori barbari, di assicurare la pace e la prosperità al popolo romano, l'unico che può riportare il regno agli antichi fasti.
I resti della statua di Costantino (313 324 d.C.) sono custoditi nel cortile dei Musei Capitolini a Roma nel cortile del Palazzo del Campidoglio (fig.92). Si tratta del museo pubblico più antico del mondo, voluto da Sisto IV. Oggi, di questa statua colossale, possiamo ammirare solo alcune parti: la testa, il piede, una mano. Probabilmente, in realtà, i resti appartengono alla scultura colossale di Massenzio, poi modificata in seguito con l’effigie di Costantino (ne ho parlato nei paragrafi precedenti) dominus et deus. Era alta 12 m e rappresentava l'imperatore seduto, con in mano uno scettro e nell'altra il globo, alla maniera di Zeus. Si tratta di un acrolito, una statua in cui le parti nude sono in marmo mentre il resto del corpo è stato realizzato con una struttura lignea rivestita da tessuti e stucchi. La testa conserva tracce di rilavorazione. Lo sguardo é ieratico: è come se Costantino stesse avendo un muto colloquio con Dio, solo a lui concesso. Gli occhi enormi sono spalancati e guardano verso l'alto. Il naso é aquilino e la capigliatura ha la forma di una calotta. Oltre alla testa, dell'opera colossale ci rimangono anche un piede ed una mano.
Recentemente l’A.I. ha aiutato gli studiosi a ricostruire l’aspetto originale della scultura e una simulazione è presente nel giardino di Palazzo Caffarelli dei Musei Capitolini (vedi culturnauti in viaggio). Un'altra testimonianza importante é la famosa testa in bronzo di Costantino del IV secolo d.C. Roma Musei capitolini (fig.93), parte di una scultura in bronzo di cui ci sono pervenuti anche una mano, il piede e il globo. L’imperatore è qui rappresentato in età avanzata, con le rughe e le borse sotto gli occhi, la solita capigliatura a calotta e lo sguardo ieratico.
Costantino utilizza le monete come mezzo di propaganda: lo vediamo da questo conio (Fig.94) che lo ritrae glabro, con i capelli sulla fronte e in una posa che imita gli imperatori del II secolo d.C. Con Costantino finisce l'arte romana inizia quella paleocristiana.
Tra i mosaici più famosi dell'epoca imperiale ricordiamo quello di Ercolano, realizzato in pasta vitrea (vedi sitografia), ubicato nella Casa di Nettuno e Anfitrite I secolo d.C., che raffigura il re dei mari insieme alla sua sposa (fig.95), circondati da figure geometriche. Molto bello é il ventaglio di forma semicircolare che adorna la parte superiore e che vuole ricordare la forma di una conchiglia.
Ma tra i mosaici più belli in assoluto ci sono quelli di Villa del Casale a Piazza Armerina a Enna (323- 130 d.C) in cui figurano donne che praticano sport abbigliate in bikini (fig.96).
Nella Piccola caccia scene di caccia (fig.97) si dispongono su vari registri rispetto al riquadro centrale che raffigura un banchetto all'aria aperta, sotto la copertura di un telo, a cui partecipano il proprietario della villa insieme ai commensali (fig.98). I cavalli sono legati ai rami degli alberi mentre le reti da caccia sono appese ad un ramo. Di fronte ai commensali si sta arrostendo la selvaggina.
Nella Grande caccia figurano gli animali catturati e imbarcati sulle navi destinati alle venationes (vedi lezione Roma imperiale Vita quotidiana Il Colosseo e i gladiatori ‘eruzione del Vesuvio). Il paesaggio è esotico e sono rappresentate anche le personificazioni dell’India (fig.99) e dell'Africa, i principali territori da cui provenivano le fiere coinvolte negli spettacoli.
La villa apparteneva ad un funzionario molto influente alla corte imperiale: lo possiamo dedurre dal fatto che l'incarico di procurare animali e di allestire i munera (spettacoli offerti dal princeps) era riservato ai fedelissimi dell'imperatore. Un altro tema rappresentato nei mosaici era la natura morta. Una delle più antiche tipologie si chiamava asaraton oikon (fig.100) (II secolo d.C. rinvenuto in una villa sull’Aventino ora a Roma nei Musei Vaticani) ovvero il tema della “casa spazzata”, la cui origine risale all’età ellenistica e, in particolare, ad un certo Sosos di Pergamo, vissuto nel II secolo a.C., il quale otteneva i colori con tessere piccole e artificialmente colorate (così ci racconta Plinio). Prima di destinare una sala specifica alla consumazione dei pasti i romani mangiavano nel luogo della casa ove erano custoditi i simboli degli antenati. L'etichetta conviviale prevedeva che il cibo caduto a terra non doveva essere raccolto prima della fine del banchetto. Tutto ciò che toccava il pavimento era considerato sacer, cioè intoccabile, e doveva essere bruciato per offrirlo ai Lari, gli dèi protettori della casa. Sono stati così realizzati mosaici a pavimento con sfondo bianco su cui si possono distinguere con effetto trompe l’oeil (inganno ottico) bucce, lische di pesce, avanzi di cucina. Questa decorazione pavimentale, con significato religioso, ebbe molta fortuna.
Di Soros ricordiamo ancora una famosa composizione con un vaso sui cui orli si posano delle colombe (replica romana di un originale del II secolo a.C. Musei capitolini Roma) (fig.101).
Gli scavi archeologici di Pompei hanno riportato alla luce gli emblemata, mosaici di piccole dimensioni eseguiti separatamente dal pavimento della stanza e inseriti successivamente. Tra questi ricordiamo la scena di commedia con musicanti Museo Archeologico Nazionale Napoli (fig.102) L'opera era ubicata nella villa di Cicerone a Pompei e porta la firma di Dioscuride di Samo, l'esecutore del mosaico. È datata 100 a.C. ed è la copia di un dipinto del III secolo a.C.
Gli emblemata erano eseguiti in opus vermiculatum ovvero con tessere sminuzzate in forme sagomate e disposte in file per mettere in evidenza il chiaroscuro e il colore dei soggetti rappresentati. Per poter essere realizzato questo tipo di mosaici necessitava di maestranze qualificate ben organizzate in squadre. Un'altra soluzione decorativa era quella dei mosaici relizzati con ciottoli bianchi e neri: questa tecnica era molto più rapida e sfruttava materiali facilmente reperibili in loco per cui era l'ideale per decorare vaste superfici all'interno di basiliche, terme, grandi mercati. Spesso le figure sono nere su fondo bianco così come avviene nei portici delle corporazioni a Ostia (fig.103).
Il mosaico in bianco e nero non sostituì del tutto quello a colori, di cui vediamo un esempio nei ritratti di atleti delle Terme di Caracalla (III sec.d.C.) Musei Vaticani (fig.104).
Il labirinto era un tema molto in voga tra i mosaici romani: quello della casa del labirinto a Pompei (I secolo d.C.) decora il cubiculum (la camera da letto padronale): lo spazio risulta diviso in quattro settori da linee ortogonali mentre al centro compare l'emblemata di Teseo che sta uccidendo ilMinotauro sotto lo sguardo attonito dei giovani destinati al sacrificio (fig.105). Nella cultura romana il labirinto aveva un significato apotropaico: nelle case proteggeva le famiglie e i loro antenati dal male; era inoltre associato al mondo dei morti: nell’Eneide Virgilio racconta che era raffigurato sull'ingresso agli Inferi nell'antro della Sibilla Cumana.
Infine, ricordiamo il simpatico mosaico del gatto che ruba da una dispensa (120- 100 a.C.) Casa del fauno Pompei ora al Museo Nazionale Archeologico di Napoli (fig.106) in cui si evidenzia un ostentato compiacimento della ricchezza da parte del proprietario della casa. Nella parte superiore un gatto ghermisce tra le zampe un uccello; in quella inferiore appaiono due anatre, di cui una con un fiore di loto in bocca, alcuni uccelli e una splendida natura morta di pesci e molluschi. La presenza del gatto, delle anatre nilotiche e dei fiori di loto erano temi replicati dalle maestranze egizie.
Le testimonianze più importanti della pittura romana le ritroviamo a Pompei. Sono state eseguite con la tecnica dell'affresco che sfrutta un processo chimico per cui i colori si fissano definitivamente alla parete, dal momento che la calce sull'intonaco si combina con l'anidride carbonica presente nell'aria. La tecnica dell'affresco può essere riassunta in quattro fasi: si liscia il muro con uno strato grossolano di calce e sabbia su cui poi l'artista stende l' arriccio (strato ruvido di calce e sabbia). Successivamente vi si stende il tonachino (strato di calce, sabbia e polvere di marmo). È proprio sul tonachino ancora umido che si esegue il dipinto, ma solo nella porzione di parete che si deve dipingere durante la giornata. Per facilitare il lavoro l'artista può tracciare i contorni del disegno sull'arriccio con un'incisione oppure utilizzando il carboncino o ancora la terra rossa ( sinopia) . I colori si ottenevano dai minerali mescolati con acqua (il cinabro si ricavava dal solfuro di mercurio, il verde dalla malachite, l'azzurro dal lapislazzulo, l'ocra gialla dalla limonite, ecc.)
Lo studioso August Mau (vedi sitografia) ha suddiviso la pittura pompeiana in quattro fasi.
Primo stile (200- 100 a.C.) Importato dal mondo ellenistico, vuole imitare le decorazioni marmoree policrome. In basso c'è uno zoccolo, spesso di colore giallo, più sopra un’imitazione di blocchi marmorei e sopra ancora una cornice in stucco. Questo stile era diffuso a Pompei nel periodo in cui era governata dall'aristocrazia sannitica (è visibile, ad esempio, nella Casa del fauno) (fig.107).
Secondo stile (100-30 a.C.) Lo stile, importato da Roma, risente molto dell'influenza della scenografia teatrale. Esso consiste nella simulazione di elementi architettonici resi in prospettiva in modo che la parete funga da quinta architettonica e dia l’illusione di affacciarsi su vedute di città, porticati, colonnati, ecc. Un esempio é il salone 15 della Villa di Poppea a Oplontis (I sec. d.C): ci troviamo dinanzi ad un portico a due piani con colonne in fuga e al centro un alto tripode (fig.108).
Nell’ affresco chiamato giardino di Livia (30- 20 a.C.) Roma Museo Nazionale Romano Palazzo Massimo (fig.109) le pareti si annullano per dare l'illusione di trovarsi in un giardino con fiori, alberi e uccelli, con sullo sfondo il cielo azzurro. Il tema, che si rifà alle scenografie teatrali ellenistiche e ai giardini orientali, è riprodotto nel criptoportico della villa che Ottaviano aveva costruito per la sua terza moglie Livia, una vera e propria first lady. Nel giardino dell'abitazione si coltivavano anche fiori e piante dalle proprietà terapeutiche (in questo Livia era preparatissima). Racconta la leggenda che un giorno, mentre Livia stava passeggiando tra i suoi possedimenti vicino a Veio all'improvviso un’aquila dall'alto le fece cadere in grembo una gallina bianchissima. Il volatile rimase illeso nonostante il volo e teneva nel becco un ramo di alloro carico di bacche. Considerato il prodigio Livia decise di prendersi cura della gallina e di piantare il ramo di alloro, motivo per cui la villa è ricordata dalle fonti antiche col nome di Villa ad gallinas albas (villa delle galline bianche). In seguito al suo abbandono, avvenuto intorno al V secolo d.C., l’edificio ha subito numerose devastazioni e spoliazioni. L’ affresco si trovava in una stanza sotterranea (al riparo dalla calura estiva) e decorava le quattro pareti. Nel 1951, dopo la scoperta, si è deciso di asportare gli affreschi a Palazzo Massimo e di ricreare in quella sede gli ambienti della stanza. L’opera si distingue per la resa verosimile del tema: le proporzioni degli alberi e delle piante sono naturali e vengono annullati addirittura gli angoli delle stanze. In basso una doppia recinzione, formata da uno steccato di canne, consente l'accesso al prato. Più oltre c'è una balaustra marmorea che a tratti prende la forma di nicchie. È mirabile il senso della prospettiva, anche se ancora realizzata in maniera sperimentale. In primo piano sono resi tutti i dettagli degli alberi mentre man mano che si arretra la visione diventa più sfumata fino ad arrivare al fondo dove tutto appare in maniera indistinta. Sono riconoscibili varie specie di alberi (palme da dattero, abete rosso siberiano, querce, pini domestici, cipressi, lecci), vari tipi di fiori primaverili ed autunnali (papaveri, crisantemi, camomille, iris, felci, violette), l’acanto, l’edera. E ancora il melo cotogno, il melograno, oleandri, corbezzoli…Per quanto riguarda gli uccelli se ne riproduce un vasto campionario (colombe, merli, cardellini, passeri, rondini, pernici). C’è anche un uccellino rinchiuso in una gabbia. Ma cosa voleva simboleggiare tutto questo? Nient’altro che un augurio di pace e prosperità sotto il regno di Augusto.
Sempre al secondo stile appartengono le megalografie della Villa dei Misteri a Pompei (I secolo a.C. prima metà I secolo d.C.) (fig.110 e 111): si tratta di pitture di soggetto elevato, con figure riprodotte in dimensioni più grandi del reale. Il tema prende spunto forse da un originale di epoca ellenistica. Sullo sfondo color rosso pompeiano i personaggi stanno partecipando a riti dionisiaci. Il senso del volume è dato dal chiaroscuro e dai panneggi. Il linguaggio è molto raffinato.
La lettura più gettonata è la seguente: a sinistra un fanciullo nudo legge un libro probabilmente legato ai riti di iniziazione dionisiaci. Lo seguono una sacerdotessa seduta, che regge un rotolo, e un'altra a sinistra col capo velato. Elemento di raccordo con la scena successiva è una donna che reca in mano un vaso con le offerte (una focaccia, simbolo dell’unione nel matrimonio), con il capo cinto da una corona di edera (simbolo di Dioniso). Una donna seduta e vista di spalle sta preparando delle abluzioni per la prima notte di nozze con l'aiuto di un altro paio di fanciulle, di cui una versa del vino su un rametto di alloro. Elemento di raccordo con la scena successiva è un sileno (compagno di scorribande di Dioniso) intento a suonare uno strumento a corde mentre guarda una scena che si svolge nella parete di fondo. Accanto a lui si svolge una scena pastorale: una donna suona uno strumento musicale e l’altra si prende cura di alcuni animali. A destra una donna sembra essere atterrita da una scena che si sta svolgendo sulla parete di fronte; essa sta sollevando un lembo del mantello indossato quasi a volersi proteggere da un pericolo (fig.112).
Sulla parete di fronte un sileno sta porgendo a un compagno un vassoio con del vino o uno specchio affinché possa svolgere un'opera di divinazione per mezzo di una superficie riflettente; un altro personaggio regge una maschera teatrale (il teatro è nato con Dioniso). Successivamente appaiono Bacco e Arianna (simboli dell’amore coniugale) sul trono con il tirso, simbolo di Dioniso (fig.113).
Una adepta scopre il fallo sacro nascosto dal velo purpureo mentre una figura alata (fig.114) sta per colpire con un flagello la fanciulla alla sua destra che, cercando rifugio nella compagna, si appoggia alle ginocchia di quest’ultima; ancora a destra una baccante sta danzando (fig. 115).
Le ultime due sequenze vedono una donna che sta acconciandosi i capelli (fig.116) e la domina (padrona di casa) sacerdotessa del dio che, seduta, guarda a sinistra tutta la scena (fig.117).
Il dipinto mostra delle imprecisioni: ad esempio la donna che danza di spalle con i cimbali ha le braccia troppo corte rispetto al corpo. Probabilmente la megalografia è stata eseguita da diversi artisti coordinati da una sola persona. Come abbiamo visto ci sono personaggi di raccordo tra una scena e l'altra e, addirittura, sono gli sguardi a collegare le varie scene. Recenti interpretazioni hanno identificato il ciclo pittorico come una celebrazione delle nozze della figlia dei proprietari della villa. Si allude all'iniziazione sessuale, tappa obbligatoria, seppur sofferta, per la novella sposa, la quale, alla fine della prova, diviene una matrona a tutti gli effetti (a questo fa riferimento la scena della donna con la nuova acconciatura). La figura alata fustigatrice sarebbe un demone che impone alla fanciulla l'atto sessuale: questo perché nelle credenze romane la fustigazione favoriva la fertilità. Un'altra megalografia, rinvenuta a Pompei nel febbraio 2025 nella casa del tiaso (40-30 a.C.) vede protagonisti baccanti, satiri, scene dionisiache e splendide nature morte con galli, molluschi, pesci (fig.118) e una donna dall’abito verde, ingioiellata, che ci osserva (fig.119). La matrona sembra fissare i convitati ed è accompagnata da Sileno che la sta conducendo a partecipare ai riti dionisiaci. Gli animali uccisi alludono alle attività di caccia praticate dalle baccanti (le seguaci di Dioniso) (vedi lezione Antica Grecia Alimentazione e sport paragrafo Storia del vino nell’antica Grecia e del dio Dioniso).
Per quanto riguarda sempre il tema delle cerimonie di iniziazione presenti nel rito nuziale molto interessante è la pittura murale chiamata Nozze Aldobrandini proveniente dagli Orti Mecenaziani (prima metà I secolo a.C. Roma Musei Vaticani) (fig.120). Afrodite al centro, seminuda e col capo velato, sembra consolare con una mano sulla spalla la giovane sposa destinata al talamo nuziale. A sinistra un'ancella seminuda versa profumi in un bacile. Ai piedi del letto lo sposo col capo inghirlandato guarda con aria compassionevole la futura moglie. Sia a sinistra che a destra si stanno svolgendo dei rituali: a destra la madre sta preparando il lavacro dei piedi con l’aiuto di due ancelle, di cui una sta suonando la lira.
Il Terzo stile (30- 50 d.C.) vede su sfondi monocromi neri, bianchi, rossi, divisi da colonnine esili o tralci ornamentali, una raffigurazione centrale che consiste in un quadro con soggetto mitologico o in un paesaggio naturale o in un soggetto che imita un dipinto su tavola. Un esempio sono gli affreschi che decoravano la villa di Agrippa Postumo a Boscotrecase ora a Napoli Museo Archeologico Nazionale: le pareti (con uno sfondo cromatico uniforme rosso, nero e bianco) sono ripartite in zone da esili candelabri mentre al centro figurano grandi quadri (fig.121). Una curiosità: a Pompei per gli sfondi si utilizzava molto il cinabro, un minerale, in verità tossico, dal costo elevato: Plinio ci informa che era estratto dalle miniere della Spagna centrale e costava quanto il blu egiziano.
Un capolavoro di questo periodo é Flora proveniente dalla villa di Arianna a Stabia ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (fig.122): l’affresco si caratterizza per il senso della leggerezza del movimento della fanciulla, dalla grazia botticelliana, ritratta mentre sta raccogliendo dei fiori. Ella indossa una veste gialla che risalta sullo sfondo verde.
Nella villa di Boscoreale erano presenti anche paesaggi nilotici, di gran moda a quel tempo, tema presente anche nella casa del medico di Pompei (I secolo d.C.) Museo Archeologico Nazionale a Napoli (fig.123) dove protagonisti delle scene sono la fauna egizia (tra cui ippopotami e coccodrilli) e i pigmei.
Dall’Egitto provenivano tra l’altro gli obelischi che adornavano le piazze della Roma imperiale (come quello di Montecitorio originariamente ubicato a Campo marzio). Ricordiamo ancora che all'Egitto guardava gran parte dell'architettura che caratterizza villa Adriana a Tivoli. Un’ultima testimonianza dell’egittomania che imperversava in quest’epoca è la Piramide Cestia (18-12 a.C.) (fig.124), a Roma, una tomba a forma di piramide fatta erigere da un certo Gaio Cestio, un importante magistrato, per esaltare il potere detenuto in vita.
Il quarto stile (50- 79 d.C.) è l'ultimo che caratterizza la pittura della città di Pompei, rimasta sepolta nel 79 d.C. dalla famosa eruzione (vedi lezione Roma imperiale Vita quotidiana Il Colosseo e i gladiatori L’eruzione del Vesuvio). Ci sono sempre quadri al centro di pannelli monocromi, ma stavolta tornano ad assumere un ruolo importante le architetture illusionistiche in un gioco di virtuosismi in cui abbondano gli elementi decorativi. Si tratta dunque di un “mix” tra il secondo stile, che vedeva raffigurazioni di architetture in prospettiva, e la divisione in pannelli del terzo stile. È molto sfarzoso e si avvale di colori ottenuti con materiale pregiato. È presente nella Domus Aurea e nella Casa dei Vettii a Pompei dove, nel triclinio, una serie di putti sono ripresi mentre sono dediti a svariate attività come la lavorazione dei metalli, la vendemmia, etc. (fig.125). In una scena essi mescolano fiori e foglie aromatiche con l’olio per poi versare il tutto in ampolle (fig.126). Una psiche, seduta su uno sgabello rosso, sta saggiando il profumo sul dorso della mano. In un armadio con le ante aperte si vedono sugli scaffali tante boccettine. Occorre ricordare che Pompei, insieme a Capua e Paestum, era rinomata per la produzione di profumi (infatti nella cosiddetta casa del profumiere sono stati ritrovati ampolle, boccette e oggetti simili). La scena avviene sullo sfondo nero di una parete rossa.
Lo stile “compendiario”
Ci sono affreschi a Pompei che si caratterizzano per rapide pennellate e, per questo, il loro stile è detto “compendiario”. Un esempio è la veduta di un porto (Napoli Museo Archeologico Nazionale) in cui con pochi tratti il pittore rende l'insieme degli elementi che caratterizzano il paesaggio: il faro a sinistra, il pescatore che lancia la lenza, il molo, le barche e i riflessi sull'acqua (fig.127).
Il gioco d’azzardo nella pittura a Pompei
Sempre al Museo Nazionale Archeologico di Napoli è custodita una striscia rinvenuta nella caupona (osteria) di un certo Salvius a Pompei. Si tratta di una serie di immagini, accompagnate da didascalie, che raccontano una delle tante scene che avvenivano nelle taberne lusoriae, luoghi dove ci si recava per bere, trascorrere una notte con una prostituta e giocare d'azzardo (cosa in realtà vietata tranne durante la festa dei Saturnalia) (fig.128). Due personaggi reggono sulle ginocchia una tabula lusoria (una scacchiera). A sinistra un giocatore tiene in mano il fritillus, un piccolo vaso di terracotta dalle pareti spesse da cui ha lanciato i dadi. L'uomo esclama “Exit” (“ho vinto!”) dopo aver visto i risultati del tiro. L'altro risponde: “Non tria dua est” (“Non è un tre ma un due”). Nelle scene successive si arriva addirittura alla zuffa cosicché il proprietario decide di buttare fuori i giocatori.
Quadri di natura morta Ramo con pesche e vaso di vetro; frutta monete e vaso; ramo con pesche (Ercolano Casa dei Cervi 45- 79 d.C. ora al Museo Nazionale Archeologico di Napoli (fig.129) Ci troviamo di fronte alla seconda tipologia di genere delle nature morte nell’antichità (dopo quella dell’asaraton oikon vedi paragrafo Il mosaico) conosciuto come xenia, in cui si ritraevano i doni che il padrone di casa elargiva agli ospiti in ottemperanza alla legge dell'ospitalità. In sostanza questo tipo di rappresentazione, di origine ellenistica, voleva alludere alla prodigalità e all'accoglienza. La capacità di rendere il soggetto il più fedele possibile alla realtà è visibile nella resa dei dettagli: un pezzo di pesca è tagliato per mostrare l'interno del frutto col nocciolo. Notiamo le ombre degli oggetti sul ripiano dove sono collocati e la rifrazione che la luce crea sulla olla di vetro, colma per metà di acqua, e sul cantharus che mostra in trasparenza il vino contenuto.
La luce colpisce anche il recipiente metallico con dentro datteri e monete, simboli di una mensa ricca e raffinata. Le monete sono d'argento e di oro (quest’ultima riporta il profilo di Claudio) (fig.130). Gli oggetti sono rappresentati in una visione ribaltata verso lo spettatore.
Marziale (vedi sitografia) nei suoi epigrammi, in particolare nel libro quattordicesimo, parla degli apophoreta, piccoli doni che il padrone di casa elargiva agli ospiti dopo un banchetto. Versi scritti sui bigliettini accompagnavano i regali. L'assegnazione avveniva per sorteggio: si trattava di salvadanai, candelabri, tavolette per scrivere, stuzzicadenti e oggetti vari. Spesso erano doni spiritosi per cui si favorivano gli abbinamenti bizzarri: ad esempio un pettine era regalato ad un calvo(!)…Il patronus (protettore) alle calende di gennaio donava ai clientes (suoi protetti), come augurio di prosperità, dei datteri ricoperti di una foglia dorata sottilissima e una monetina (un po’ come le lenticchie che mangiamo durante la notte di S.Silvestro). Pane e due fichi (I secolo d.C.) Napoli Museo Archeologico Nazionale (fig.131) Il pane aveva una forma circolare: sembra una torta del diametro di 15 cm con 8 tagli a stella che formano altrettanti spicchi (erano le porzioni già pronte). Le forme di pane avevano impresso un sigillo col nome dello schiavo che lo aveva cotto e quello del suo padrone, il fornaio. Prima di mettere il pane nel forno vi si spennellava sopra dell'uovo e lo si aromatizzava con grani di sedano e di anice. Grazie alle conquiste straniere i romani importavano fichi di Chio e di Damasco.
Bottega del fornaio I secolo d.C. Napoli Museo Archeologico Nazionale (fig.132) Si tratta dell'insegna della bottega di un fornaio che raffigura, sopra un banco, i pani pronti per la vendita mentre i clienti sono in coda per accaparrarseli. I colori sono caldi e le figure sono rese con poche pennellate. Sono visibili le ombre dei personaggi. Qualche storico ipotizza che l'uomo vestito di bianco sia in realtà un candidato alle elezioni o un'autorità di Pompei che sta distribuendo il pane ai suoi potenziali elettori. L'ars pistorica (attività dei fornai) era molto redditizia; era regolata da leggi rigide perché il pane aveva un alto valore sociale (gli imperatori, per tenersi buono il popolo, organizzavano distribuzioni gratuite di pane e spettacoli pubblici vedi lezione Roma imperiale Vita quotidiana Il Colosseo e i gladiatori L’eruzione del Vesuvio).
Un tema molto presente negli affreschi di Pompei è quello dell’eros. Un esempio è Priapo che pesa il fallo (I secolo d.C. Pompei Casa dei Vettii) (fig. 133) dove il dio dall'enorme fallo, protettore degli orti e della fertilità domestica, diventa il simbolo dell'augurio di prosperità; non a caso il tema é rappresentato nella casa dei famosi liberti arricchiti (vedi lezione Roma imperiale Vita quotidiana Il Colosseo e i gladiatori L’eruzione del Vesuvio). L'organo genitale dalle enormi dimensioni posa su un piatto della bilancia mentre sull'altro è presente un sacco di semi. Ai suoi piedi, sempre a conferma del concetto di fertilità, figura un cesto colmo di frutta.
Il simbolo del fallo ricorreva anche nei tintinnabula, amuleti che scacciavano il malocchio, come nel caso di questo romano in bronzo Ercolano I secolo d.C. Napoli Museo Archeologico Nazionale Romano) (fig.134). Un fallo è presente anche sull’insegna murale di un forno a Pompei.
Nell’affresco della nascita di Venere (fig.135) Venere è rappresentata nel momento in cui nasce dalla spuma del mare, sdraiata in una conchiglia e circondata da Amorini cavalcanti delfini. È nuda, ha i capelli ricci ornati da un diadema e porta una collana con una conchiglia. Indossa sottili braccialetti ai polsi e alle caviglie. L'idea del vento che fa muovere la conchiglia è resa dal drappo gonfio sopra la testa. Proprio da questo tema che decorava il peristilio (cortile circondato dal porticato) prende il nome la casa di Venere in conchiglia. Una curiosità: il tipo di velo raffigurato era tessuto con bisso marino, un filamento dorato simile alla seta che è rilasciato da una conchiglia bivalve presente nel Mediterraneo, in particolare nella zona di Taranto. I romani lo chiamavano barba bissina o lana di penna.
Ma il soggetto dell’eros non era affrontato solo a Pompei: ne è una riprova l’Ermafrodito dormiente Louvre copia romana II secolo d.C. da un originale del II secolo a.C (fig.136). Il tema è stato riprodotto in più copie sparse per il mondo, tra cui una é al Vaticano e l'altra nella Galleria Borghese a Roma. La scultura è stata rinvenuta nei pressi delle Terme di Diocleziano mentre si stava edificando la chiesa di Santa Maria della Vittoria. Il cardinale Scipione Borghese ha acquistato l'opera dai Carmelitani Scalzi per collocarla nella sua villa fuori Porta Pinciana. Osserviamo l’opera: la splendida figura androgina riposa con il bel volto e il sedere (simbolo di sensualità) rivolti a destra. La posa è molto voluttuosa, tanto è vero che Scipione darà ordine di esporre la scultura rivolta verso il muro perché troppo provocante. Una curiosità: il materasso non è originale, ma è stato realizzato dal Bernini nel XVII secolo. L’opera venne così tanto apprezzata da Napoleone che costrinse Scipione a cedergliela.
Si tratta di ritratti maschili e femminili raffiguranti la testa e il collo, anche di bambini. Provengono dall'Egitto conquistato dai romani. Sono stati scoperti nel 1880 in un'oasi del deserto egizio chiamata El Fayum. Rappresentavano la persona defunta e venivano inseriti nelle bende delle mummie. Sono dipinti a encausto (una tecnica pittorica che univa il colore alla cera) per dare più lucentezza all'incarnato. Queste tavole di legno si sono ben conservate perché sono rimaste per secoli all’interno di un ambiente secco. Probabilmente i ritratti erano stati eseguiti quando i soggetti erano ancora in vita: erano privati della cornice e inseriti nelle mummie. Alcuni hanno il fondo realizzato con la foglia dorata perché, quando era illuminato dalle lucerne, appariva di tonalità diverse a seconda dei momenti.
Durante l'epoca della Roma imperiale si diffonde la tecnica del vetro soffiato con cui si producono bottigliette e ciotole. Nel bellissimo vaso blu (I secolo d.C.) (in realtà un’anfora vinaria) alto 32 cm, rinvenuto a Pompei, ora a Napoli Museo Archeologico Nazionale, su uno sfondo blu di vetro soffiato, ottenuto con un composto di limatura di rame mista a sabbia e fior di nitro fusi a 1000 °C, è stata applicato del vetro bianco intagliato per far risaltare lo sfondo blu. Si sono così ottenute decorazioni che imitano tralci di vite che si dipanano attorno al vaso. Le scene di vendemmia ci suggeriscono l'utilizzo dell'anfora come contenitore del vino. Nella parte superiore appaiono querce cariche di ghiande e spighe di grano, alloro, melagrane, tralci di edera, frutti autunnali ed estivi che simboleggiano la fecondità (fig.138).
Nella parte inferiore pecore e capre pascolano tranquille. Il tema rappresentato è quello della vendemmia e la trasformazione del mosto in vino. Il manufatto è realizzato in blu perché si pensava che questo colore allontanasse le forze del male. La particolare sfumatura è dovuta alla sabbia del Volturno, contenente silice e calcite, aggiunta all’impasto. Altre scene ci mostrano Alcuni putti, su un pilastrino, che si sporgono in bilico per raccogliere l'uva (fig.139). Uno deposita i chicchi in un mantello, un altro li pesta danzando, un altro suona la cetra ecc.
In cosa consiste la tecnica del vetro soffiato? Si prende la massa del vetro fuso e la si gonfia soffiando attraverso un tubo vuoto. Il vetro così assume grossomodo la forma voluta che verrà modellata con pinze metalliche in modo da essere definita nei particolari. Se si vuole colorare il vetro occorre aggiungere l'ossido di ferro o ossido di rame, ad esempio, per ottenere rispettivamente il giallo o il blu. Meravigliosa é la Coppa di Licurgo (IV sec.d.C. Londra British Museum) (fig.140). In questo caso la decorazione del manufatto è aggettante e sembra staccarsi dal fondo. Le scene raffigurate fanno riferimento al mito di Licurgo (vedi sitografia), a Dioniso con Pan (il dio satiro) e a una menade. La coppa cambia colore: se i raggi la colpiscono frontalmente è di colore rosso mentre diventa verde se è illuminata nella parte retrostante. Il fenomeno è causato dalle nanoparticelle dorate che si sono trovate mescolate al vetro.
Coppa diatreta Trivulzio (IV sec.d.C. Milano Museo Civico archeologico) (fig.141) Il termine diatreta allude alla particolare lavorazione del vaso che si avvale di una rete di vetro intorno al maufatto, a mo’ di gabbia. Il vetro é madreperlaceo e la scritta augurale “bibe vivas multis annis”, fatta di lettere intagliate, é di colore blu intenso. Il reticolo e l'iscrizione sono il frutto di un lavoro a intaglio. La coppa è stata rinvenuta nel XVI secolo in un sarcofago nei pressi di Novara e presenta caratteristiche simili a reperti rinvenuti nella zona del Reno.
A partire dall’età costantiniana nell’impero si diffonde la produzione di beni di lusso in oro, argento, pietre lavorate, usati come doni che l'imperatore scambiava con i membri della sua corte in occasione di cerimoniali. Spesso vi appariva il simbolo del cristogramma, formato dalle lettere greche “chi” e “rho”, le iniziali di Cristo (fig.142). Si tratta del famoso segno apparsogli la notte prima della battaglia di Ponte Milvio che venne subito riportato su tutti gli scudi del suo esercito e, in seguito, raffigurato sul labaro (fig.143), ovvero il vessillo imperiale portato in trionfo da Costantino, a sottolineare la vittoria sui nemici col favore divino. Questa tradizione iconografica si è trasmessa agli imperatori successivi e andrà a sostituire le insegne tradizionali del potere imperiale e a decorare anelli con sigillo.
In occasione dei riti cerimoniali i partecipanti della corte indossavano mantelli militari (al posto della toga) fermati sulla spalla destra da preziose fibule dorate a croce con sopra inciso il nome dell'imperatore. A partire dalla seconda metà del IV secolo d.C. chi faceva parte della corte imperiale esibiva manufatti di pregio come, per esempio, sontuosi servizi da tavola utilizzati in particolari banchetti. Lo stesso imperatore regalava piatti e vassoi finemente decorati per i suoi decennali e ventennali (celebrazione, rispettivamente, del decimo e del ventesimo anno di regno). Proprio per questa occasione fu commissionato il missorio di Teodosio (fig.144) (IV sec.d.C.Real Academia de historia di Madrid) un piatto che doveva contenere il donativo imperiale, cioè monete d'oro e d'argento. L’ imperatore, ripreso frontalmente, è raffigurato con lo sguardo ieratico, in una posa rigida e solenne. È assiso sul trono circondato dai figli e dalle guardie imperiali. I segni di prestigio che appaiono sono: le corone gemmate, il nimbo (aureola), le fibule, il globo (simbolo della potenza sulla terra). In basso putti, cornucopie e la Terra alludono alla prosperità (tema ripreso da Ottaviano Augusto vedi paragrafo dedicato).
Anche la chiesa diventa committente e destinataria di opere preziosissime: gli imperatori doneranno alle basiliche oggetti liturgici in argento che gareggiavano in splendore con le argenterie profane. L’avorio era particolarmente richiesto tra la metà del IV e il VI secolo per realizzare dittici, ovvero coppie di tavolette congiunte a cerniera con decorazioni sulla parte frontale mentre all'interno vi si poteva scrivere con uno stilo perché vi era spalmato uno strato di cera. Nel Dittico Trivulzio (seconda metà IV secolo d.C. Castello Sforzesco Milano) (fig.145) è rappresentato l'arrivo delle tre Marie al sepolcro di Cristo risorto: il luogo in cui era custodito il corpo di Gesù ha una forma circolare sul modello dei mausolei imperiali.
Ci sono anche dittici effigiati con temi profani come, ad esempio, il Dittico dei Lampadii (fine IV- inizio V secolo d.C.) Brescia Museo Santa Giulia (fig.146) in cui un console è rappresentato su una loggia mentre dà inizio alle corse del circo.
Da Costantino in poi nascono a corte laboratori per lavorare gemme e cammei come quello noto come Trionfo di Licinio (324 d.C. Parigi Biblioteca Nazionale di Francia) che probabilmente rappresenta Costantino dopo la vittoria ottenuta su Licinio. Vi appaiono molti simboli che si riferiscono all'evento: le nike, il globo, il labaro con all'interno il ritratto di due principi (forse i figli di Costantino), la quadriga con le zampe dei cavalli che calpestano gli sconfitti (fig.147).
Nel dittico di Stilicone (400 d.C. Monza Tesoro della cattedrale) (fig.148) a destra é rappresentato il generale barbaro Stilicone, un vandalo divenuto molto potente sotto il regno di Teodosio, tanto da ricoprire il ruolo di tutore dei suoi due figli (vedi lezione Roma imperiale Tra storia e curiosità). Egli é accanto alla moglie Serena (con in mano una rosa) e al figlio Eucherio. Stilicone indossa abiti militari da barbaro, forse per alludere al suo programma politico di valorizzazione della cultura barbara e di integrazione con quella latina (uno dei motivi per cui verrà fatto fuori). Serena, invece, veste in modo classicheggiante a sottolineare la continuità con l'antico.
Il Dittico eburneo con figura di imperatrice (fine V secolo d.C. Firenze Museo del Bargello) (fig.149) é una testimonianza della fine dell'età tardo antica. L'imperatrice effigiata (la cui identità è ancora ignota) indossa una complicata acconciatura e un fermaglio pendente, entrambi molto elaborati. Anche in questo caso si può parlare di sguardo ieratico e di una posa frontale rigida. Probabilmente realizzato a Costantinopoli, si mostra molto realistico nelle varietà dei gioielli e delle finiture degli abiti. Siamo oramai vicini al tipo di arte che ammireremo nei mosaici di Ravenna.......
Le descrizioni a carattere satirico di gallerie, quadri, busti, statue che pullulavano nelle dimore private ha fatto credere nel tempo che a Roma ci fosse un nutrito gruppo di collezionisti. In realtà ce n'erano veramente pochi, ma si trattava di gente famosa che attirava su di sé l'attenzione con comportamenti eccentrici, facendo parlare di sé i moralisti. Sappiamo che a Ercolano ea Pompei c'erano pinacoteche che esponevano quadri da cavalletto e copie dipinte direttamente sul muro (in alcuni casi avevano l'aspetto di finestre inserite nell'affresco che decorava la parete). Nelle abitazioni private spesso si ricevevano gli ospiti nella pinacoteca anziché nell'atrio, il luogo dove erano custodite le maschere degli antenati. Una collezione famosa di scultura si trovava presso la villa dei papiri di Ercolano , detta anche villa dei Pisoni , la quale annoverava per l'appunto anche una biblioteca con 1800 papiri (vedi lezione Roma imperiale Vita quotidiana Il Colosseo ei gladiatori L'eruzione del Vesuvio) . Ancora adesso si dibatte sul nome del proprietario della villa: per alcuni studiosi sarebbe stato Lucio Calpurnio Pisone Cesonino , patrigno di Giulio Cesare e nemico di Cicerone. Per altri si tratterebbe di Appio Claudio Pulcro Maggiore : entrambi si erano arricchiti grazie ai bottini di guerra saccheggiati in Grecia e in Oriente. Per quanto riguarda le arti applicate, a villa di Boscoreale é famosa una collezione di argenteria romana, rinvenuta dagli scavi, che era stata nascosta dai proprietari, fuggiti a causa dell'eruzione. Anche la Repubblica romana disponeva di un proprio tesoro, custodito nel tempio di Saturno, controllato esclusivamente dal Senato. Comprendeva monete e lingotti, ma non ne facevano parte le opere d'arte esposte nei luoghi pubblici. Fino al 167 aC era stato alimentato dal fisco, poi dai bottini di guerra e infine dai tributi delle popolazioni sottomesse a Roma. Giulio Cesare se ne servì per finanziare le guerre civili. Il patrimonio venne poi ereditato da Augusto che destinerà al pubblico le opere d'arte che ne facevano parte. Forse è stato proprio il primo Princeps a creare il nucleo del primo museo paleontologico del mondo (di cui facevano parte i resti di animali giganteschi dette “ossa dei giganti” custodite a Capri). Il suo successore Tiberio non fu un accanito collezionista: se comunicazione prestigiose opere d'arte di provenienza greca lo fa solo per offrirle al Tempio della Concordia Augusta. L'ultimo grande collezionista è stato Nerone. Tra il I e il II secolo dC si diffonde tra le classi più ricche la moda del lusso esuberante: ne parla Plinio nelle Naturalis Historiae (vedi sitografia) e Marziale nei suoi Epigrammi che condannavano un finto sapere legato alla passione per le anticaglie. Al III dC risale una delle rare testimonianze di catalogo di beni culturali : si tratta di un papiro rinvenuto in Egitto (scritto sul verso in greco e sul recto in latino) in cui si parla di un elenco di statue e dipinti, ubicati nelle Terme di Caracalla, portato a compimento da Alessandro Severo . Nei secoli successivi il collezionismo privato scomparve: inizia il periodo di crisi; chi è possidente cerca di non mettersi in mostra così da evitare di vedersi accollate le spese pubbliche e vedere dilapidato il proprio patrimonio. Da cosa era composto il tesoro privato dell'imperatore? Ne facevano parte metalli preziosi, proprietà fondiarie, tessuti, riserve di grano, opere d'arte (basti pensare alle sculture della villa di Adriano a Tivoli), quadri, mosaici, vasellame d'oro e d'argento, collezioni di pietre dure lavorate ecc. Il tesoro privato serviva a finanziare le guerre ed era simbolo del potere dell'imperatore. Sappiamo che Marco Aurelio nel II secolo dC, in un momento di crisi, fece vendere all'asta, nel foro di Traiano, ornamenti della reggia imperiale, tra cui statue e quadri. In seguito, dopo aver vinto le guerre in Pannonia, si offrì di ricomprare gli oggetti allo stesso prezzo a cui erano stati venduti. Spade istoriate, cinture con pietre preziose, oggetti finemente lavorati che facevano parte del bottino di guerra, andavano a finire nel tesoro privato dell'imperatore; man mano che passa il tempo diventava sempre più difficile distinguere il tesoro di Stato da quello privato del Princeps. Del tesoro di Diocleziano vi fanno parte anche stoffe ornate di pietre preziose provenienti dall'India, smeraldi, ametiste che vanno ad ornare i finimenti dei cavalli e il suo carro così come le sue armi e il suo scudo (possedere questi oggetti inestimabili era vietato ai privati). Nel IV secolo dC con Costantino entrano a far parte del tesoro imperiale le reliquie dei santi. Si narra, ad esempio, che Teodosio il Grande nel IV secolo dC abbia portato a Costantinopoli la testa di San Giovanni Battista avvolta da un manto di porpora. Molte pietre preziose verranno destinate a ornare i reliquiari (contenitori di reliquie), considerati oggetti di pregio con valore apotropaico e, per questo, erano custoditi gelosamente dagli imperatori negli accampamenti militari. I reliquari erano portati in processione durante le cerimonie religiose e diverranno doni importanti da inviare ad altri sovrani per suggellare alleanze politiche.
La storia della collezione del museo ha origine quando Carlo di Borbone sale al trono nel 1734 e acquista da Emanuel Maurice De Guise Lorrain il terreno in cui il francese stava eseguendo degli scavi per iniziare una campagna di ricerca. In realtà, già da qualche anno avevano cominciato a venire alla luce i resti della città di Ercolano. I ritrovamenti saranno in parte venduti per permettere allo stato borbonico di battere cassa; una parte, invece, farà parte della raccolta archeologica di Carlo, già rimpinguata dalle collezioni parmensi ereditate dal casato della madre, ultima discendente dei Farnese. Nel 1778 re Ferdinando IV trasferisce a Napoli nel Real Museo Borbonico nel Palazzo dei Regi Studi, il primo museo moderno dell'Europa continentale, tutto ciò che rimaneva a Roma delle raccolte farnesiane e tutti i reperti venuti alla luce dagli scavi di Ercolano, Pompei, Stabia, fino a quel momento riuniti nella reggia di Portici, oramai divenuta inadatta a contenere l’enorme quantità di materiale scoperto. Il Real Museo all'inizio ospitava sia la raccolta archeologica che dipinti. Solo dopo l'unità d'Italia le opere pittoriche verranno trasferite nel Museo di Capodimonte che, nel frattempo, era stato parzialmente svuotato degli arredi finiti al palazzo del Quirinale a Roma.
Vi racconto del mio viaggio a Roma!
Musei Capitolini
S.Settis T.Montanari Arte. Una storia naturale e civile Dalla Preistoria alla Tarda Antichità volume 1 Edizioni Mondadori Education Einaudi Scuola, 2019
P.Adorno L'arte italiana volume 1 Dall'arte cretese-micenea all'arte gotica Casa Editrice D'Anna, 1986
AA.VV Roma ricostruita Archeolibri, 2014
A cura di C.Bertelli Il mosaico Arnoldo Mondadori Editore, 1996
A cura di M.D'Onofrio Museo Nazionale 150 opere d'arte della storia d'Italia Officina Libraria, 2019
P. Daverio Le stanze dell'armonia Nei musei dove l'Europa era già unita Rizzoli, 2016
L.Colonnelli Storie meridiane Miti, leggende e favole per raccontare l'arte Marsilio Editore, 2021
A cura di Stefano Zuffi di M.Bussagli e S.Zuffi Arte ed erotismo Electa, 2001
A cura di S.Bussi La natura morta La storia, gli sviluppi internazionali, i capolavori Electa, 1999
K. Pomian Il museo Una storia mondiale Dal tesoro al museo vol.1 Einaudi,2021
F.Zeri Dietro l'immagine Conversazioni sull'arte di leggere l'arte TEA, 1990
P.Zanker Il foro di Augusto Palombi Editore, 1984
Gemma Sena Chiesa Tardo Impero Arte romana al tempo di Costantino Collana Art Dossier Giunti, gennaio 2013
F. Pesando, M.Bussagli, G.Mori Pompei La pittura Collana Art Dossier Giunti, luglio-agosto 2003
R.Falcinelli Visus Storia del volto dall'antichità al selfie Einaudi,2024
E.Selli Labirinti italiani Edizioni Pendragon, 2022
A.Carandini Angoli di Roma Guida inconsueta alla città antica Edizioni Laterza, 2016
C.D'Orazio L'arte in sei emozioni Edizioni Laterza, 2018
Per cariatide:
https://it.wikipedia.org/wiki/Cariatide
Per foro di Augusto:
https://youtu.be/emsSTTY00YY?si=hr3Yuzv-TgT39NM5
https://youtu.be/XB989yiM45Y?si=BUQBD8AAG0-FCfkt
https://youtu.be/l2Pg4pQbitA?si=y2Ah1cCEQPluuEz4
Per Ara Pacis:
https://youtu.be/KN6lWZR51mE?si=AAFXZhIlAwis8PSo
Per Domus Aurea:
https://www.romanoimpero.com/2009/09/domus-aurea.html
https://youtu.be/27xam-dEM8A?si=7vepmTE67DL7yF2c
https://youtu.be/DIa9RLb2lQI?si=2p2BNwsqExtX1KiC
Per l’Arco di Tito:
https://youtu.be/UmQJ2u2z7F4?si=td2x6E1hCrCpM-rZ
Per volumen:
https://www.treccani.it/vocabolario/rotolo1/
Per Colonna Traiana:
https://www.romanoimpero.com/2016/10/colonna-traiana.html
https://youtu.be/nTjiX27sST0?si=B0Wyx_UV8rwNmbpC
https://youtu.be/PSxAFulRMBk?si=tSfxSLEdHj_Y_YEK
Per Agrippa:
https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Vipsanio_Agrippa
Per il Pantheon:
https://youtu.be/2A0_GIb88B8?si=zEJ0eqU5ju6e5LOz
https://youtu.be/4veabYzDA4g?si=RwzqArBvSZUyBTQv
https://youtu.be/fLa3mFUI9Q0?si=3Yux0HLtyX2QO33B
https://youtu.be/-_R7RK-hKiA?si=VXjroyc_Au1Q2a2T
Per Villa Adriana a Tivoli:
https://youtu.be/Ra91Xi3E8RE?si=gfFG73-i4dBjOxV4
https://youtu.be/Ra91Xi3E8RE?si=gfFG73-i4dBjOxV4
Per Marco Aurelio:
https://youtu.be/CPKcy_jJ6xo?si=TSXjWcpQo02TINeA
Per colonna aureliana:
https://www.inasaroma.org/patrimonio/percorsi-fotografici/colonna-di-marco-aurelio-lightbox2/
https://youtu.be/tikBiOgvHvI?si=yKV3Nr4hA0iXmIDl
Per arco Settimio Severo:
https://youtu.be/r2m5mLqK6UE?si=Tv_s0mfIO8SNKpBw
Per ordine architettonico:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_architettonico
Per plinto:
https://www.treccani.it/vocabolario/plinto/
Per Marziale:
https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Valerio_Marziale
Per Plinio e Naturalis Historiae:
https://it.wikipedia.org/wiki/Naturalis_historia
Per palazzo di Diocleziano:
https://youtu.be/r6M7D6m9JyQ?si=K9J3xfujnzInNLDc
https://youtu.be/L6qgF-kGFDI?si=7NEm43B7Cz7Cs2g_
Per la basilica di Massenzio:
https://youtu.be/DJT-vqzTn48?si=haMb9LGBUqpoBICr
https://youtu.be/S4tw31y6ers?si=YLGrpBWen0Z89IyG
Per arco di Costantino:
https://youtu.be/tx9eOeZWyIQ?si=uq6T3HI5jy_iEuTM
Per Colosso di Costantino:
https://youtu.be/eUAAzdC1ZI8?si=kVuKCdW5HjYrTAiC
https://youtu.be/dAQ9CGD_oaQ?si=9Eky-LFt_J4vSpZD
Per scultura bronzea di Costantino:
https://youtu.be/0qATVmaSFFQ?si=otTHqgsSSsU-ov4r
Per pasta vitrea:
https://it.wikipedia.org/wiki/Pasta_di_vetro
Per mosaici Ostia Antica:
https://youtu.be/8uUVSdGvE5w?si=fGsLjWrYrxdGp57-
Tecnica dell’affresco:
https://youtu.be/jVZwpktmpP8?si=nnrbDbUZDSyiCniI
Per August Mau:
https://it.wikipedia.org/wiki/August_Mau
Per il giardino di Livia:
https://youtu.be/Xx0AO9hkZuM?si=dpyMrFdIbOb8h-ZU
Per villa dei misteri:
https://youtu.be/zlGYI9w32qE?si=aqJcXGlAtELzLV9R
https://youtu.be/4852CofHMrk?si=6C3SgHJrbKEr3EFq
Per la casa del tiaso:
https://youtu.be/f-OqDQk-7So?si=Br_brO8pX_EXxS9Q
Per casa dei Vettii:
https://youtu.be/0sJ8H5cDO_I?si=0caaIKFDDopm2P89
Per ritratti El Fayum:
https://youtu.be/FUPxju_ek7g?si=LyKYe6iWJNJTc3-m
Per Licurgo:
https://www.treccani.it/enciclopedia/licurgo-1_(Enciclopedia-dell'-Arte-Antica)/
Per coppa di Licurgo:
https://youtu.be/ki4uAPJcXDQ?si=8jk7F_33xXdfgFJL
Per Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli:
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Fig.100 https://www.nazioneindiana.com/wp-content/2009/11/000raydh.jpeg
Fig.101 https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Mosaic_doves_Musei_Capitolini_MC402.jpg
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Fig.106 https://it.wikipedia.org/wiki/File:MAN_mosaici_animali_da_Pompei_1040618.JPG
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Fig.116 https://archaeology.org/news/2015/03/23/150323-pompeii-villa-mysteries/
Fig.120 https://it.wikipedia.org/wiki/Nozze_Aldobrandini#/media/File:Aldobrandini_wedding.JPG
Fig.121 https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_di_Agrippa_Postumo_%28Pompei%29
Fig.122 https://it.wikipedia.org/wiki/Flora_%28affresco%29#/media/File:Primavera_di_Stabiae.jpg
Fig.123 https://italian-directory.it/archeologia-mito-natura-grecia-pompei
Fig.124 https://it.wikipedia.org/wiki/Ostiense#/media/File:Piazzale_Ostiense_Piramide_porta_san_Paolo.jpg
Fig.125 https://www.planetpompeii.com/it/map/casa-dei-vetti/109-scene-di-amorini.html
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Fig.127 https://www.romanoimpero.com/2017/10/i-porti-romani.html?m=0
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Fig.131 https://www.didatticarte.it/Blog/?page_id=34244
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Fig.134 https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Tintinnabulum_Pompeii_MAN_Napoli_Inv27839.jpg
Fig.137 https://www.milanoplatinum.com/lo-sguardo-eterno-tecniche-e-soggetti-dei-ritratti-del-fayum.html
Fig.138 https://www.unisob.na.it/inchiostro/index.htm?idrt=8703
Fig.140 https://scriptamanentitalia.it/coppa-licurgo-antica-roma/
Fig.142 https://www.chieseromaniche.it/SchedeGlossario/872-Cristogramma.htm
Fig.143 https://it.wikipedia.org/wiki/Labaro#/media/File:As-Constantine-XR_RIC_vII_019.jpg
Fig.144 https://it.wikipedia.org/wiki/Missorio_di_Teodosio#/media/File:Disco_de_Teodosio.jpg
Fig.145 https://catalogo.beniculturali.it/detail/Lombardia/HistoricOrArtisticProperty/0302172590
Fig.147 https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Cammeo_%E2%80%9CTrionfo_di_Licinio%E2%80%9D.jpg
Fig.148 https://it.wikipedia.org/wiki/Dittico_di_Stilicone#/media/File:Diptych_of_Stilicho.jpg
Fig.149 https://pensieroimma.hypotheses.org/56