La civiltà micenea, prosecuzione di quella cretese, ha dato l’avvio allo splendore della cultura greca. Preziose notizie sulla sua storia ci sono state tramandate da resti archeologici e dall'epopea omerica. I primi greci (vedi linea del tempo) erano stirpi seminomadi di pastori e guerrieri che arrivavano dalla penisola balcanica: erano chiamati Achei e si stabilirono nelle isole elleniche e nel Peloponneso (fig.01).
Il suolo della Grecia era arido, con pochi fiumi e acque sorgive e quindi poco adatto all'agricoltura: per questo motivo la maggior parte della popolazione era dedita all’ allevamento caprino e ovino. Le coltivazioni più diffuse erano l'ulivo e la vite. Il territorio era ricco di materie prime, tra cui il marmo (nelle varietà del cipollino, pario, etc.), il ferro della Laconia, il rame dell'Eubea, l'argento e l'oro del Laurio. (fig.02).
Si esportavano vino, olio, vasi, armi, gioielli. Erano importati bronzo, legni rari, profumi dall'Oriente, papiri. Vivendo in un territorio molto povero di risorse, gli Achei svilupperanno il commercio e si espanderanno grazie alle colonizzazioni. Le prime popolazioni di stirpe europea e con vocazione guerriera si stanziano nella penisola balcanica attorno al 2500 a.C. Esse acquisirono dalle popolazioni locali la pratica delle tombe a tumulo, la produzione di armi (asce, daghe, corazze che coprivano interamente il corpo) e l’utilizzo dei carri da combattimento. Va configurandosi così pian piano il territorio in cui si sviluppa la cosiddetta civiltà micenea, dal nome di Micene nell’ Argolide. Altre città importanti erano: Corinto, Olimpia, Delfi. Gli Achei si diffondono anche nell'Attica, in Beozia, in Tessaglia (fig.03).
Al di là delle differenze che contraddistinguevano le singole comunità, i Greci coltivavano un profondo senso di unità dovuto alla comunanza di usanze religiose, militari e soprattutto codici di comportamento (come, ad esempio, la legge dell’ospitalità). Ma qual era l’aspetto tipico di un acheo? Dalle incisioni di pugnali che ci sono giunte possiamo ipotizzare che essi avevano capigliature scure, barbe nerissime, occhi scuri, nasi lunghi e sottili e carnagione chiara anche se, probabilmente, non mancavano guerrieri dai capelli biondi o rossi. Alcune maschere d'oro ritrovate nelle tombe ci restituiscono fattezze con nasi carnosi e sopracciglia molto folte. Alla civiltà micenea si succederanno i Dori.
I poemi omerici ci informano di come la società micenea fosse monarchica: la carica di re era ereditaria. Il sovrano apparteneva a gruppi di famiglie potenti e affermava di discendere da un dio. Deteneva il potere legislativo, giudiziario, militare ed era l'unico che poteva decidere l'entrata in guerra del suo popolo o la stipula di accordi di pace. Inoltre, suddivideva il bottino di guerra, compresi i prigionieri, fra i soldati, imponeva i tributi da pagare (destinati soprattutto all’efficientamento delle forze militari) e, nel caso di contese tra nobili, interveniva per dirimerle. Era anche sacerdote ed aveva il compito di compiere sacrifici agli dèi: durante le cerimonie offriva loro statuette d'argilla, raccolti, mazzi di fiori, vasi di vino, ecc. Quando si sacrificava al dio Ade venivano immolate pecore nere (come fa ad esempio Ulisse per scendere nell'oltretomba). Dopo aver bruciato agli dèi una parte delle offerte, i sacerdoti si spartivano il rimanente con gli altri partecipanti alla cerimonia. Quando una città era in pericolo si organizzavano sacrifici e processioni per invocare la protezione divina. Dall’Odissea apprendiamo che la ricchezza di un re veniva valutata in base all’estensione dei suoi possedimenti, alla preziosità delle stoffe possedute e ai capi di bestiame di cui era proprietario. Nel suo governo era assistito da un consiglio di anziani. La famiglia reale viveva in palazzi fortezza protetti da muri di cinta con bastioni. I dignitari che frequentavano la corte si distinguevano per le eleganti tuniche indossate di colore bianco, rosso, violetto con decorazioni dorate, argentate o multicolori. I banchetti erano allietati dal canto degli aedi (fig.04), i quali narravano le imprese di personaggi valorosi accompagnandosi con la cetra, il flauto o la lira (guscio di tartaruga i cui bracci curvi erano ricavati da corni di capra).
Il popolo era suddiviso in fratrìe unite da un dio protettore comune. Più fratrìe formavano le tribù, ognuna con un proprio capo. C'erano poi le genti, ovvero famiglie aristocratiche potenti grazie alla grande estensione dei loro terreni e ai numerosi schiavi e alle greggi posseduti. Esse tendevano a raggrupparsi in alberi genealogici comuni che si riconoscevano in un antenato di origine divina. Il loro capo militare trasmetteva la sua autorità ai discendenti maschi. Il potere di queste genti ad un certo punto iniziò a imporsi su quello del monarca grazie anche al fatto che erano gli unici a potersi permettere cavalli da guerra e costose armature: si assiste così alla trasformazione delle monarchie in repubbliche aristocratiche.
Il popolo viveva in villaggi, si rifugiava sull'acropoli (la parte più alta e fortificata) (fig. 05) solo in caso di attacco nemico. Più tardi ai piedi di questa altura iniziarono a essere costruite delle città cinte da mura con un'agorà (fig.06) (piazza centrale) in cui avvenivano le assemblee popolari e il mercato.
Lungo le strade che salivano al palazzo si collocavano i magazzini e le botteghe degli artigiani che lavoravano per i signori. Le aree esterne al muro di cinta ospitavano artigiani lavoratori di metalli, conciatori, vasai etc. che necessitavano di grandi spazi e dell'utilizzo di grandi quantità di acqua. Pare che i leggendari ciclopi (fig.07), i giganteschi esseri che secondo il mito avevano eretto le mura di Micene, fossero in realtà una categoria di costruttori che si riunivano in confraternite segrete. Si dice che fossero dotati di un terzo occhio, quello della veggenza e del sapere (simbolo comune alla massoneria).
Tra gli artigiani più importanti ricordiamo i fabbri, i cui compiti principali erano quelli di rinforzare le porte col metallo, produrre vasi di bronzo (più resistenti di quelli in terracotta così da garantire una miglior conservazione delle derrate). Gli orafi realizzavano manufatti solo per le classi più prestigiose. Dall’Odissea apprendiamo che gli oggetti di lusso erano importati da Sidone e che le schiave più richieste erano quelle fenicie. L’avorio era considerato preziosissimo e si importava dall’Asia Minore: era richiesto per intagli, gioielli, manici di specchi, dadi da gioco. Pensate che nell'Odissea Omero, per decantare la carnagione chiara delle dee, le descrive con le braccia più bianche dell’avorio! C'erano poi i tintori, i quali lavoravano le pelli animali con acqua calda e cenere, allume, tannino e ammoniaca, e i profumieri che producevano unguenti, cosmetici, profumi commerciati in tutto il Mediterraneo. Proprio dagli antichi profumieri le donne contadine avevano ereditato un prezioso segreto: far bollire foglie e bacche di alloro per estrarvi un olio profumato che rinvigoriva i capelli!
Gli scribi compilavano inventari di magazzini e depositi, censivano popolazioni e capi di bestiame.
Il clero era proprietario di immensi terreni acquisiti grazie a donazioni. Accanto ai sacerdoti e alle sacerdotesse figuravano gli aruspici, i quali prevedevano il futuro dal volo degli uccelli e delle api. Tra gli indovini più famosi ricordiamo Tiresia, personaggio che compare nell'Iliade e nell'Odissea. Tra i guaritori troviamo esseri mitici quali il centauro Chirone (fig.08), “tutor” di Achille ed Ercole: il loro compito era quello di fare diagnosi mediche e pronostici. Utilizzavano bisturi, bende, impiastri e formule magiche. Essi erano in grado di curare fratture e arti slogati e conoscevano le proprietà delle acque termali.
I vaccari si occupavano di nutrire il bestiame con il foraggio, pulivano le stalle, fornivano ai sacerdoti le vittime per i sacrifici. Quello del pastore era un lavoro molto stimato: pensate che il principe Paride si vantava spesso di aver fatto questo mestiere da giovane! Dal libro IX dell’Odissea, incentrato sull’incontro di Ulisse con Polifemo, apprendiamo che il latte veniva cagliato, versato in cesti di vimini per poi fare gocciolare il siero mentre i formaggi erano sistemati sui graticci. La lana gialla o nera veniva raccolta in fagotti dai pastori per essere poi caricata sui dorsi degli asini e dei muli e consegnata ai funzionari del re, ai sacerdoti e ai capi villaggio in occasione di una riunione chiamata akora (forse da qui il termine agorà, la piazza principale delle poleis dove si svolgeva il mercato).
I marinai riuscivano ad orientarsi in mare aperto grazie ai quattro punti cardinali e alla posizione dell’Orsa Maggiore. Nell'Odissea viene raccontata la loro paura delle tempeste, delle nebbie, dei fulmini che colpiscono gli alberi delle navi, dei naufragi, delle secche e dei mostri marini (probabilmente cetacei che vivevano nel Mediterraneo), dello smarrire la rotta e il terrore della fame e della sete. La flotta micenea comprendeva vari tipi di imbarcazioni: dai canotti alle scialuppe, dalle barche con rostri alle gondole, dalle navi da carico ai vascelli lunghi dotati di ponte e vele rettangolari. Ogni vascello era riconoscibile dal suo particolare colore, dall'emblema e dal nome che lo contraddistingueva (fig.09).
Le imbarcazioni erano costruite dai carpentieri, i quali trasmettevano i segreti del mestiere di generazione in generazione: un nome leggendario è quello del troiano Phereklos famoso per aver costruito navi così veloci da riuscire a sfuggire a quelle achee al fine di portare Paride ed Elena da Sparta a Troia. Le navi erano contrassegnate da segni apotropaici dipinti sullo scafo; prima di salpare l’equipaggio faceva sacrifici (giare di vino, bestiame): col sangue degli animali immolati si voleva placare in anticipo la sete degli dèi cosicché in seguito non avrebbero preteso quello dei naviganti.
La vita dei marinai era assai dura: si viaggiava insieme agli animali e alle merci stipati in spazi ristretti, insozzati da escrementi, pulci e ratti. Il cibo consisteva per lo più in biscotti e frutta secca. Gli armatori, una volta approdati in porto straniero, omaggiavano le autorità del posto con ricchi doni per ottenere il loro favore. Ciò facilitava le transazioni commerciali; nel caso in cui fossero venuti meno alla parola data o se avessero dato adito a scandali, le autorità del luogo avrebbero proceduto al sequestro delle navi e dell’equipaggio. Una volta fondati gli scali commerciali, gli Achei hanno allargato il loro territorio creando dei veri e propri quartieri divenuti così potenti da poter esigere dal sovrano locale trattamenti di favore come, per esempio, il diritto di amministrare da sé la giustizia, costruire mura fortificate per proteggersi: sono nate così le città greche più ricche site sulla costa dell'Asia minore (Mileto, Smirne, ecc.). La leggenda narra della fondazione di città nell'Italia meridionale avvenuta grazie a figure leggendarie come Epeto (il costruttore del cavallo di Troia) approdato a Lagaria (vicino Metaponto) o il re di Creta Idomeneo giunto nel Salento. Eracle, invece, avrebbe fondato alcune colonie nell’Italia centrale. A testimoniare lo stretto legame esistente tra l’Italia e la Grecia antica ci sono oggetti micenei rinvenuti in tombe site ad Agrigento e Siracusa.
I trasporti e l’amore per i cavalli
Gli Achei si spostavano continuamente da un territorio all'altro. Dal viaggio di Telemaco, narrato nell’Odissea, da Itaca a Sparta, apprendiamo che a quell'epoca le distanze erano calcolate in base ai giorni di marcia e di navigazione e non in leghe. Per viaggiare in mare si utilizzavano le imbarcazioni mentre sulla terraferma ci si spostava su asini e muli. Il cavallo (fig.10) era considerato l'animale nobile per eccellenza: il suo compito era quello di trainare i carri da combattimento.
I migliori esemplari partecipavano a gare ippiche. Pensate che molti nobili arrivavano a farsi seppellire in compagnia di questo animale che, quando si ammalava, era nutrito con vino e miele! I guerrieri protagonisti dell'Iliade parlavano ai cavalli alla stregua di esseri umani e, per di più, li ungevano d’olio dopo le fatiche della battaglia e davano loro da mangiare foraggio, trifoglio ed erba. Quelli degli dèi avevano addirittura un nome.
Credenze religiose
I contadini cercavano di ingraziarsi le divinità che vivevano sottoterra con l'offerta di acqua, latte, miele, maialini, semi. Si credeva che gli uomini potessero consultare le anime dei morti all'ingresso di caverne, soprattutto per chiedere un buon parto. Il ritorno delle rondini in marzo era considerato oggetto di presagi e di àuguri. Gettare ai giovani sposi manciate di grano era considerato di buon auspicio così come la condivisione di mele, noci, melagrane nel giorno in cui si celebrava l’unione. Si credeva, inoltre, che l’immersione dei bambini in fonti sacre li avrebbe resi più forti; solo la parte del corpo con cui l’adulto li tratteneva sarebbe stata vulnerabile: ecco, dunque, l’origine della leggenda del tallone d’Achille (fig.11)!
Anche la fabbricazione di un vaso comportava particolari cerimoniali: prima di infornare la ceramica, l'artigiano pregava gli dèi protettori dei venti e dei vasi di proteggerlo dai demoni maligni affinché questi ultimi non provocassero la rottura del manufatto.
Alcune tavolette rinvenute a Micene contengono preziose informazioni sull'alimentazione dei Greci all'epoca della guerra di Troia. Il sesamo era usato in pasticceria; finocchio e coriandolo davano sapore alle salse. Molto apprezzati erano il cerfoglio, l'aglio, il ginepro, i capperi, il crescione, il timo e l'origano. Lo zafferano era usato nella preparazione dei profumi e come colorante. La cipolla cruda dava sapore alla maggior parte delle pietanze. Operai e contadini erano pagati con razioni di orzo, grano, fichi secchi, olive. La carne era mangiata nei giorni di festa quando venivano distribuiti gli avanzi degli animali sacrificati. I frutti più diffusi erano: fichi, pere, mele, uva. Negli orti si coltivava il raperonzolo, la lattuga, la ruchetta, la rapa, il rafano e la bietola. La descrizione del giardino di Alcinoo, contenuta nel VII libro dell’Odissea, comprende peri, melegrane, fichi, uliveti. Notizie, invece, sull'alimentazione all'epoca della guerra di Troia le possiamo desumere dal libro IX dell’Iliade quando Ecamede riceve un gruppo di capi achei di ritorno da un combattimento e offre loro cipolle, miele, una zuppa di orzo e farina e grattugia formaggio di capra nel vino di Pramno. Sappiamo che si beveva vino in coppe a due manici e che durante i conviti epici la carne (di pecora, capra, maiale, ariete, bue) veniva tagliata a pezzi, infilzata in spiedi e arrostita con cura. Il tutto era accompagnato dal pane. Chicchi di orzo abbrustolito o di farro macinato, che i latini chiamavano mola, dal quale deriverebbe il termine immolare, venivano cosparsi sulle teste delle vittime sacrificali (fig.12).
Ogni famiglia possedeva una mola con cui macinare il frumento una volta al mese. Le donne preparavano l'impasto per il pane, lo facevano lievitare, vi aggiungevano semi di sesamo, di papavero, di finocchio per preparare i dolci. La vendemmia avveniva fra agosto e settembre. Il vino, ricco di alcol e aromatizzato, quando non era offerto agli dèi o bevuto in occasioni di banchetti solenni, era esportato verso il Mar Mediterraneo e il Mar Nero. La raccolta delle olive era destinata alle donne. L'olio estratto serviva alla fabbricazione di unguenti e profumi: era così prezioso che a Micene si utilizzava per pagare i lavoratori. Il miele era il cibo favorito dagli dèi e dalle anime dei morti. Molto praticata era la pesca: i marinai con la lenza pescavano orate, scorfani, cefali, pesce spada, triglie. I tonni erano intrappolati in reti per poi essere uccisi a colpi di arpioni e remi. Si mangiavano molluschi, ricci di mare, crostacei. Una parte del pesce era consumata sul posto bollita o arrostita mentre ciò che avanzava veniva conservato sotto sale. È in Grecia che nasce il garos (garum romano) (fig.13), un condimento di pesce a base di salamoia: si spezzettavano le interiora dei pesci grossi, si mescolavano acciughe o pesci piccoli, si copriva il tutto con il sale per poi lasciarlo fermentare per due mesi.
Il polpo era un tema iconografico molto diffuso (vedi nel paragrafo dedicato all’ Arte). Gli Achei lo reputavano un animale acquatico astuto, molto apprezzato per la rapidità dei riflessi e per l'eleganza dei movimenti. Si credeva che accompagnasse l'anima dei marinai morti in mare nell'oltretomba. La sua carne era mangiata bollita o cotta alla brace. Dal polpo si ricavava l'inchiostro usato dai contabili; veniva catturato dopo lunghi appostamenti con l'utilizzo di un arpione. Dal murice, invece, derivava la porpora per tingere i tessuti e i legni. La pietra pomice era impiegata per usi domestici e medici.
I banchetti e la vita quotidiana
Durante i banchetti (fig.14) i re ed i suoi ospiti sedevano su sedie dotate di spalliera e braccioli mentre il resto dei convitati era fatto sistemare su panche di legno disposte lungo le pareti o si accomodavano per terra.
Il vaso per bere più famoso della storia è la coppa di Nestore, eroe dell'Iliade e re di Pilo (cui è dedicata la ricetta del link nella sezione Culturnauti in cucina). Lo splendido manufatto era decorato con borchie d'oro e con due figure di colombe riprese nell'atto di beccare. Era dotato di quattro manici ed era molto pesante. Le panche ove sedevano gli ospiti del banchetto erano ricoperte da pelli di animali e servivano anche da letto. Durante le stagioni calde per la notte ci si copriva con drappi di lino mentre d'inverno si usavano coperte colorate. Le case erano costruite con blocchi di pietra senza malta e all’interno erano arredate con scaffalature che fungevano da ripiani. Cassapanche in legno custodivano la biancheria mentre le provviste erano conservate in giare di terracotta riposte in dispense o agli angoli delle stanze. Le stoviglie erano d'argilla e i coltelli avevano lame di bronzo. Si mangiava con le mani. Il bagno si faceva in vasche d'argilla (fig.15): gli uomini davano ordine ai servitori di riscaldare l'acqua in un paiolo di rame per poi farsi strofinare dalle donne. Prima di indossare gli abiti si ungevano di olio.
Il vino nei poemi omerici
Il vino si beveva durante i pasti quotidiani, nelle pause di lavoro, al termine di una battaglia per suggellare un patto, quando si voleva omaggiare un ospite o dopo aver preso una decisione importante. Nell’antica Grecia doveva essere aspro e bevibile solo se diluito con acqua e mescolato col miele. Nei poemi omerici è simbolo di convivialità ed è protagonista dei banchetti, questi ultimi condotti sempre secondo il medesimo rituale: si tagliavano e arrostivano le carni dopo averle infilzate sugli spiedi; in seguito, si libava agli dèi e si dava spazio alla conversazione. I banchetti erano allietati dai canti degli aedi. Il bere (fig.16) per gli eroi omerici è un qualcosa da fare con moderazione: per non perdere il controllo il vino era diluito con l’acqua. Quando Agamennone acconsente a restituire Crise al padre in cambio di Briseide, viene apostrofato da Achille con l'insulto di “ubriacone” perché, così facendo, si è comportato in maniera vergognosa e ha offeso la dignità del re di Ftia. Chi eccedeva dunque nel bere vino era escluso automaticamente dalle regole del vivere civile.
Nel racconto dell'Odissea, invece, Ulisse offre a Polifemo come dono dell’ospitalità un otre di vino nero, dolce e denso donatogli dal sacerdote di Apollo Marone (fig.17). L’eroe greco gliene porge un boccale dopo averlo diluito con acqua, in modo da far ubriacare il mostro e poterlo così accecare nel sonno. A sottolineare il comportamento irrispettoso delle leggi dell'ospitalità da parte del ciclope non è solo l'esercizio della violenza contro i compagni di Ulisse, ma anche il fatto che egli voglia bere da solo mentre l'etichetta prescriveva che si dovesse farlo sempre in compagnia.
C’è un altro motivo per cui il comportamento del mostro viene assimilato a quello di una bestia: il vino viene trangugiato tutto d’un sorso anziché sorseggiato e, per lo più, non era diluito con acqua, in barba al principio di moderazione. Anche le donne protagoniste dell’Odissea bevono la preziosa bevanda: quando Nausicaa si reca al fiume con le ancelle per lavare i panni in previsione delle future nozze, la madre Arete consegna loro cibi deliziosi e un vino contenuto in un otre di capra. A questo proposito occorre sottolineare come la regina dei Feaci fosse una donna molto emancipata per quei tempi: secondo la narrazione del testo omerico, infatti, partecipava ai banchetti regali bevendo vino!
Dal testo dell’Iliade possiamo ricavare numerose informazioni su come erano condotte le guerre nel XIII sec. a.C. L’attività bellica procurava ricchezza, fama e onore. Quando i re della Grecia saccheggiavano i territori, si spartivano il bottino e la parte più cospicua (bestiame, donne, vasellame) spettava al re. Il rimanente era estratto a sorte anche se c'erano premi destinati ai più coraggiosi. Una volta suddiviso, nessuno poteva reclamare schiave o schiavi toccati ad un compagno d’arme. Da qui il motivo dello sdegno di Achille nei confronti di Agamennone quando quest’ultimo, in cambio della restituzione di Crise, pretende la schiava preferita dal re di Ftia (fig.18).
La leggenda narra di come la guerra di Troia sia stata causata dalla fuga di Elena, moglie di Menelao e regina di Sparta, con Paride principe troiano; in realtà dietro al mito si celano motivi economici: Troia, infatti, sorge in posizione strategica sullo Stretto dei Dardanelli per cui imponeva tributi onerosi alle navi di passaggio tra il Mar Nero e il Bosforo (fig.19).
Conquistarla, dunque, avrebbe portato numerosi vantaggi anche perché il territorio era ricco di pini e abeti dai quali si ricavava il legname per le navi. Pare dunque evidente come gli Achei non fossero uniti dal desiderio comune di punire i Troiani per il violato rispetto della legge dell'ospitalità, ma erano mossi dall'avidità di beni e di ricchezze. Ma quali erano le armi utilizzate in guerra da questi invincibili guerrieri? Omero ci parla di elmi di cuoio ricoperti da metallo con all’estremità un pennacchio di crine. Le corazze pesavano circa 20 kg. Gli scudi, di forma semicilindrica o ovoidale, erano realizzati in cuoio con bordature di metallo. Su di essi erano rappresentate immagini allo scopo di terrorizzare i nemici (fig.20).
Le frecce potevano essere munite di sporgenze a uncino così da penetrare profondamente nelle carni. Si preferiva il combattimento corpo a corpo (fig.21) anche con giavellotti, spade, daghe di bronzo. I guerrieri combattevano su carri con due cavalli guidati da un auriga ma quando dovevano scontrarsi saltavano giù dal cocchio e affrontavano l'avversario.
I guerrieri erano sepolti con le loro armature; essi tenevano alle loro armi tanto più se erano decorate con materiali preziosi o se le avevano ottenute dopo aver sconfitto il nemico in seguito ad un duello all'ultimo sangue. Le else erano contrassegnate da motivi spiraliformi. Nessuna guerra era intrapresa senza aver prima consultato gli oracoli e fatto sacrifici agli dèi. Gli aruspici leggevano il futuro e il responso delle divinità dalle interiora degli animali. Alcune volte si ricorreva ai sacrifici umani come nel caso di Ifigenia, la figlia di Agamennone immolata al fine di permettere alle navi achee di salpare alla volta di Troia (fig.22).
Atena proteggeva i re e le loro roccaforti, Poseidone i cavalieri, Ares i fanti, Apollo gli arcieri asiatici. I giovani maschi, per essere educati alla guerra, erano sottoposti a riti di iniziazione quali duelli, lotte con animali feroci (ad esempio i cinghiali), attraversamenti di fiumi, imboscate simulate etc. Una strategia bellica molto diffusa consisteva nell'isolare, catturare e far prigioniero il capo rivale più terribile. Durante gli assedi si ricorreva ad ogni tipo di espediente al fine di distruggere il nemico: dalla deviazione dell'acqua dei fiumi (come nell’ episodio in cui lo Scamandro e il Simoenta si riversano sulla piana di Troia per fermare Achille) all’ incendio doloso di interi ettari di terreno (come quando Efesto scatena un fuoco devastatore che finisce per far bollire le acque dello Xanto).
L'espediente del cavallo di Troia (fig.23) era molto frequente per porre fine ad anni di assedio: si fingeva la ritirata e, fuori le porte della città affamata, si lasciavano doni quali cavalli, muli, asini, carichi di provviste. Gli abitanti aprivano allora le porte per far entrare tutto quel ben di Dio, ma all'interno delle giare in realtà si celavano guerrieri armati pronti all’ invasione.
Dalle narrazioni omeriche risulta evidente come le guerre si vincevano non per la superiorità dei mezzi e delle armi o per l'abilità bellica dei militari, ma soprattutto grazie alla fame, alla sete, alle epidemie di tifo e di dissenteria: non a caso l'Iliade si apre con Apollo che colpisce con i suoi dardi i guerrieri degli accampamenti achei perché il loro capo Agamennone si era rifiutato di restituire Criseide, figlia del sacerdote di Apollo, al padre (fig. 24).
Era inoltre molto frequente il fatto che la peste si diffondesse anche tra gli assedianti costretti a vivere ammassati in spazi esigui condivisi con concubine, animali, etc. all'interno di navi o a terra. Quando si abbatteva il nemico, lo si spogliava delle armi, le quali divenivano così bottino di guerra conteso tirando a sorte o messo in palio in competizioni sportive organizzate in onore del defunto (fig.25).
Le spoglie, restituite ai compagni d'armi, erano seppellite in fosse insieme a vasi. La caccia, al pari della guerra, era riservata ai nobili. L'Iliade é ricca di paragoni con attività di felini quali cinghiali, leoni, pantere, linci, animali allora molto temuti. Lo stesso Ulisse aveva ricavato le zanne che decoravano il suo elmo di cuoio da 40 cinghiali. L'inseguimento di cervi, caprioli, stambecchi, lepri e la loro cattura con l'ausilio di lance, giavellotti, reti, lacci e trappole durante una battuta di caccia simulava una vera e propria battaglia (fig.26).
Si dice che l'Iliade sia stata scritta da Omero (fig.27): ad oggi questa informazione è ancora priva di certezza. Omero era un aedo che si esibiva durante i banchetti per allietare gli ospiti dei re con storie che narravano le imprese gloriose di eroi leggendari. Alcuni di questi cantori erano ciechi (come nel caso di Omero) o menomati.
I guerrieri protagonisti dell’Iliade, in particolare Achille, lottano per ottenere fama e gloria imperitura: è a questo che sono destinati sin dalla nascita. La gloria era l'eredità più bella che un padre potesse lasciare ai propri eredi, sia nel caso fosse stata conquistata in guerra, sia se ottenuta in seguito alla vittoria di importanti gare atletiche. Il valore in battaglia era premiato con il ghéras, un dono particolare per chi si era distinto dagli altri: non averlo significava essere coperti dalla vergogna perché non si era dimostrato il proprio coraggio. Nell'Iliade non avere pietà per un infelice che supplica (come fa inizialmente Achille con Priamo quando quest’ultimo durante la notte penetra nell'accampamento per chiedergli la restituzione del corpo martoriato del figlio Ettore) (fig.28), significava offendere gli dèi: la ruota della fortuna gira e da un momento all'altro chi viene supplicato può diventare a sua volta supplice.
Prima che Menelao e Paride si affrontino in duello, i due schieramenti greci e troiani, per consolidare il patto secondo cui il vincitore avrebbe avuto definitivamente Elena, ponendo così fine a una lunga e cruenta guerra, avviano una serie di cerimoniali: uccidono agnelli neri, pronunciano spergiuri, fanno toccare i ciuffi degli animali sacrificati ai capi degli eserciti come a suggellare gli accordi presi. Sia Agamennone che Achille, i due eroi invincibili, nel corso della narrazione piangono: il primo quando vede il fratello Menelao in pericolo di morte e il secondo alla notizia della morte di Patroclo (fig.29). Piangere tuttavia nel codice guerriero degli Achei, non è qualcosa di cui vergognarsi perché così facendo gli uomini valorosi mostrano ai compagni la loro grandezza anche nel dolore.
Importante era il dono dell'ospitalità perché l'ospite è sacro a Zeus e dunque occorreva prendersene cura trattandolo da eguale e offrendogli un bagno caldo o un banchetto (fig.30). Solo a fine pasto, se sconosciuto, l'ospite poteva rivelare la sua identità.
Ade (il dio degli Inferi) veniva chiamato l'”ospitale” perché nella sua casa dimoravano le anime dei defunti senza però essere allietate né da cibo né da canti. A tutte loro il dio dona la morte e nessun ospite gliela può restituire. I doni dell'ospitalità possono essere tanti: ottimo vino, bacili e tripodi preziosi, pepli e coperte riccamente decorate. Essi venivano offerti in tante circostanze: ad un padre quando si chiedeva la figlia in sposa, alla famiglia dell'offeso se si era compiuta un'azione ostile nei confronti di un parente. Anche due guerrieri che dovevano lottare tra loro, prima del duello, si scambiavano oggetti preziosi a ricordo dell'impresa. Achille mette in palio dei doni ai vincitori delle gare atletiche in onore del defunto Patroclo; Priamo offre doni ad Achille in cambio della restituzione del cadavere di Ettore; Glauco e Diomede (fig.31) prima di affrontarsi rivelano le loro identità raccontandosi la storia delle rispettive famiglie: scoprono così come queste ultime fossero legate dal vincolo della ospitalità, così scendono dai carri e si scambiano le armi.
Per i sacrifici in onore agli dèi si bruciavano grosse cosce di tori, capre e agnelli. La codardia era l'insulto peggiore per un guerriero: Achille accusa Agamennone di mandare gli altri soldati in battaglia mentre lui si nasconde dietro le ultime file per poi accaparrarsi il bottino più ricco. Il re di Ftia dà allora al sovrano di Micene del “cane”, dell’”ubriacone” e del “cuore di cervo”.
I cadaveri dei morti in guerra, come succede per Patroclo, erano lavati, unti di grasso di olio, le ferite venivano riempite con unguenti invecchiati e, per finire, il corpo era avvolto in un lenzuolo di lino. In onore del defunto, i compagni si tagliavano ciocche di capelli per farle bruciare sulla pira. Si versava poi del vino sul suolo per richiamare l'ombra del defunto.
Le donne dell'Iliade sono accomunate dal pessimismo e dalla sofferenza. Partiamo da Andromaca: nel celebre incontro con Ettore (canto VI) prega il marito di non andare a combattere contro Achille (fig.32). Lo supplica in nome della compassione che avrebbe dovuto provare per lei e per il piccolo Astianatte, soprattutto perché se l’eroe fosse morto, la donna sarebbe rimasta sola dal momento che tutti i suoi 7 fratelli erano stati uccisi da Achille. Quando viene a sapere della terribile sciagura, si precipita fuori di casa come una pazza con le vesti scomposte. Il velo, simbolo nuziale, le cade dal viso: quest'ultimo particolare é importante perché sigla definitivamente la perdita di Ettore e, a breve, il crollo della città.
Ecuba, moglie di Priamo, nel canto XXIV, cerca di convincere il suo sposo (fig.33) a non rischiare la vita andando nel campo greco alla ricerca di Achille per farsi restituire il corpo del figlio Ettore al fine di onorarlo con i dovuti funerali. Priamo é irremovibile: anzi, dà alla moglie dell'uccello del malaugurio.
Cassandra (fig.34), invece, era la più bella delle figlie di Priamo ma anche la più sfortunata: era dotata del dono della preveggenza ma non era creduta da nessuno. In seguito alla presa di Troia diventa schiava e amante di Agamennone. Quando quest'ultimo farà ritorno a Micene e subirà l'orrenda vendetta ordita dalla moglie Clitemnestra , Cassandra sarà trucidata insieme all’eroe greco.
Infine, ricordiamo Elena (fig.35), celebre femme fatale non per sua volontà ma per decisione del fato. Travolta inizialmente dalla passione per Paride, fugge con quest'ultimo a Troia ma poi si rende conto delle conseguenze di ciò che ha fatto e alla fine desidererà riunirsi alla sua prima famiglia anche se continuerà ad essere molto legata al ricordo di Ettore e Priamo.
È stato l'archeologo Schliemann (fig.36) nel 1870 ad eseguire gli scavi alla ricerca della città di Troia sullo Stretto dei Dardanelli. La sua fonte di riferimento è stata proprio l’Iliade. Egli aveva individuato come probabile sito la collina di Hissarlik (fig.37). In seguito, gli archeologi hanno dimostrato che il sesto strato della città a partire dal basso, dotato di bastioni, era stato distrutto nel 1500 a.C. da un terremoto mentre quello successivo (ovvero collocato più in alto) è stato incendiato verso il 1250 a.C.: proprio a questa data Erodoto aveva fatto risalire nelle sue Storie la guerra di Troia.
Tra il 1876 e il 1877 vengono rinvenuti a Micene alcune tombe scavate nella roccia, scheletri, gioielli, maschere d'oro, vasi metallo e argilla dipinta. Schliemann era convinto di trovarsi dinanzi ai resti di Agamennone e della sua famiglia: in realtà i corpi, essendo stati inumati e non cremati, non potevano essere quelli dei protagonisti dell'Iliade. I corredi funerari risalgono al 1650- 1510 a.C. dunque ad un tempo anteriore rispetto ai fatti narrati dal poema omerico. Tra il 1876 e il 1905 vengono portati alla luce i resti della cittadella fortificata di Tirinto, un palazzo di epoca micenea la cui struttura corrisponde perfettamente alla descrizione che fa Omero nell’ l'Iliade degli edifici regali micenei.
L’arte micenea è espressione di una mentalità guerriera ed austera visibile soprattutto nell’architettura della città palazzo di Micene portata alla luce dall’ archeologo Schliemann. Costruita sui colli per motivi difensivi, la città era circondata da mura possenti al pari di Tirinto: secondo la leggenda, infatti, entrambe le cinte erano state erette dai Ciclopi. Spesse 6 m, le mura di Micene (fig.38) sono state realizzate con blocchi di pietra giganteschi a secco, non uniti cioé da alcun collante ma semplicemente sagomati e inclinati. Era possibile percorrerli internamente perché il loro spessore era tale da creare una galleria.
Si aveva accesso alla cittadella varcando la porta dei leoni o meglio delle leonesse (fig.39) così detta perché il trilite è decorato da uno stemma in pietra in cui ci sono due leoni rampanti con le zampe anteriori sollevate mentre quelle inferiori poggiano su una base assimilabile ad un altare. Tra le due fiere compare una colonna minoica stremata verso il basso. I due leoni erano a guardia della cittadella (fig.40).
Più che la pianta del palazzo reale di Micene, é quella di Tirinto (fig.41) a fornirci un'idea di come era strutturata una reggia achea. Si accedeva alla cittadella attraversando una rampa. Successivamente si percorrevano le mura spesse ben 11 m per poi proseguire verso un cortile esterno. Attraversando un propileo (portico di accesso) si giungeva ad un cortile, poi ad un atrio ed infine al megaron, l'ambiente più importante perché qui il re si riuniva con i capi guerrieri, decideva della vita del suo popolo e teneva banchetti (come viene narrato nell’ Odissea). La stanza aveva un'apertura al centro per tenere un focolare sempre acceso (al fine di assicurarsi perennemente la protezione degli dèi). Il tetto era sostenuto da quattro colonne (fig.42).
Il portico con architrave che precede il megaron, secondo alcuni studiosi, anticiperebbe la pianta del tempio greco. Sulle pareti erano collocati i trofei del bottino di guerra. Una curiosità: all'interno del palazzo di Pilo (la patria di Nestore, uno dei guerrieri più famosi dell’Iliade) sono state trovate tavolette molto interessanti perché ci riportano dati sulla contabilità, sull'amministrazione del regno e sulle attività commerciali della città. Sul lato sud della città palazzo di Micene, Schliemann nel 1876 ha rinvenuto il famoso tesoro di Atreo (fig.43) (XV sec.a.C.) citato nel paragrafo degli scavi archeologici. I reperti in realtà risalgono ad un’età anteriore a quella ipotizzata dall'archeologo, il quale li datava all’epoca della guerra di Troia.
Per accedere al tesoro occorreva percorrere un dromos (corridoio) lungo più di 30 m per poi entrare in una sala circolare con copertura a tholos (fig.44): si tratta di una pseudo cupola composta da 33 anelli realizzati con pietre squadrate sovrapposte che si restringono in diametro man mano che si procede dal basso verso l'alto, cosicché ogni fila di conci risulta più sporgente rispetto a quella sottostante (fig.45). La camera sepolcrale ove è custodito il corredo funerario si colloca in un'area laterale.
Corredi funerari
Il più celebre reperto di epoca achea è sicuramente la maschera di Agamennone (1600-1500 avanti Cristo Atene Museo Archeologico Nazionale), così battezzata da Schliemann, in realtà risalente ad un’età ancora più antica del tesoro di Atreo e ritrovata in una tomba di Micene. Si tratta di una maschera funeraria (fig. 46) che riproduce le fattezze di un defunto, probabilmente un guerriero. La tecnica di realizzazione è quella a sbalzo, ovvero la lamina d'oro viene martellata sulla parte posteriore in corrispondenza dei punti che dovevano sporgere in quella anteriore. La maschera veniva sovrapposta al volto del defunto. Le palpebre e le labbra serrate sono rese con una linea retta. I particolari sono rifiniti col cesello. I baffi arricciati, la bocca, il naso affilato e le sopracciglia sono disegnati da sottili incisioni. I lobi delle orecchie sono forati per permettere di appendere il manufatto al drappo che ricopriva il defunto. Molti studiosi concordano sul fatto che si tratti di un falso, forse fatto realizzare dallo stesso Schliemann in quanto le altre maschere rinvenute nello stesso luogo hanno sembianze rese in maniera molto più grossolana.
Sempre a corredi funerari appartengono le tazze dorate di Vaphiò, rinvenute a sud del Peloponneso (fig.47) (XV sec.A.C.) (Atene Museo Archeologico Nazionale), lavorate a sbalzo per poi essere arrotolate. Vi sono raffigurate scene di cattura di un toro selvatico poi addomesticato: esse ricordano la lotta col Toro del Palazzo di Cnosso (vedi lezione civiltà minoica) per la tipologia del soggetto e per il realismo. Da notare la resa della natura che fa da sfondo al tema rappresentato. L’opera è un ulteriore esempio della bravura con cui i Micenei utilizzavano la tecnica a sbalzo su lamina dorata.
Ceramica micenea
Per comprendere la differenza tra gli stili che contraddistinguono la decorazione dei vasi cretesi da quelli micenei basta paragonare la brocchetta di Gournià (fig.48), descritta nella lezione dedicata alla civiltà minoica, al cratere con polpo (fig.49)(1375 1300 a.C.) (Londra British Museum). Entrambe affrontano il medesimo soggetto assai prezioso per l’alimentazione di questi popoli (vedi paragrafo dedicato). La civiltà micenea utilizza uno stile molto più schematico perché colloca l’animale marino in posizione simmetrica; esso, inoltre, risulta quasi irriconoscibile tanto è rappresentato in maniera stilizzata.
Un reperto assai singolare, rinvenuto da Schliemann nella città di Micene, é invece il cratere con guerrieri, altrimenti noto con il nome di vaso dei guerrieri nasoni, attribuitogli dallo stesso archeologo (fig.50) (1200 a.C.) (Atene Museo Archeologico Nazionale). Il vaso, in cui veniva diluito il vino con acqua, è decorato da una schiera di soldati in marcia resi sia di profilo che di tre quarti. Notiamo la resa dell'armatura, dell'elmo, dello scudo e della lancia insieme alla caratteristica inusuale dei nasi prominenti. Il fatto che ci sia un fagotto appeso ad ogni lancia ci rivela che il cammino dei soldati diretti al campo di battaglia sarà assai lungo. La consuetudine di trasportare in un sacco (plécos) provviste quali aglio, cipolle, pane, formaggio e olive, sufficienti per tre giorni, sarà praticata dai cittadini ateniesi che parteciperanno alle guerre persiane e alle guerra del Peloponneso.
Ricordiamo ancora l'elsa di un pugnale con caccia al Leone (fig.51) (XVI sec. a.C. Atene Museo Archeologico Nazionale) rinvenuta in una tomba a Micene, decorata con la tecnica della niellatura (bronzo niellato in oro e argento): la superficie viene incisa con scanalature riempite con una miscela liquida di colore nero ottenuta con la fusione di diversi metalli così da far risaltare i dettagli.
Zuppa di cipolle alla Nestore:
Per la rubrica Culturnauti in viaggio condivido alcune foto da me scattate nell'estate 2023 durante il tour Grecia classica e isole saroniche organizzato dalla Boscolo viaggi. Tra le tappe c'erano Atene e Micene.
Libri consigliati
Fumetti consigliati
Per la civiltà micenea e Iliade:
Per Valerio Massimo Manfredi e la civiltà micenea:
Per civiltà minoica e civiltà micenea:
Per civiltà micenea:
Per un confronto divertente tra Cretesi e Micenei:
Fig.01 https://www.liceoluciopiccolo.edu.it/e-teacher/storia/Gli_Achei_e_la_Civilta_Micenea.pdf
Fig.02 http://www.poesialatina.it/_ns/Greek/html/GRegIs.html
Fig.03 http://www.storico.org/prime_civilta/civilta_micenea.html
Fig.04 https://www.studiarapido.it/antica-grecia-chi-era-aedo/
Fig.05 https://it.wikipedia.org/wiki/Acropoli
Fig.06 https://mywowo.net/it/grecia/atene/agora/storia
Fig.07 http://www.latelanera.com/mostri-creature-leggendarie/creatura-leggendaria.asp?id=245
Fig.08 https://www.sicilymag.it/chirone-il-centauro-raffinato.htm
Fig.10 https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/gli-equini-in-contesti-funerari-tra-eta-classica-ed-ellenismo/
Fig.11 https://www.studiarapido.it/il-tallone-di-achille-dal-mito-al-modo-di-dire/
Fig.12 https://www.vitapensata.eu/2022/01/04/corpi-sacrifici-e-filosofia-nella-grecia-antica/
Fig.14 https://www.7per24.it/gastronomia-2/ulisse-pericle-e-i-72-pani-di-alcibiade/
Fig.15 https://it.wikipedia.org/wiki/Vasca_da_bagno
Fig.16 https://www.storicang.it/a/i-simposi-i-banchetti-dei-greci_15255
Fig.18 https://www.skuola.net/mitologia-epica/iliade-omero/la-lite-tra-achille-e-agamennone.html
Fig.19 https://www.facebook.com/1048719748498484/photos/a.1048726361831156/1052769901426802/?type=3
Fig.20 http://deiuominimiti.blogspot.com/2013/12/scudi-mitici-intermezzo.html
Fig.21 https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_Troia#/media/File:Ilioupersis_Louvre_G152.jpg
Fig.22 https://it.wikipedia.org/wiki/Il_sacrificio_di_Ifigenia_%28dramma%29
Fig.23 https://it.wikipedia.org/wiki/Cavallo_di_Troia
Fig.24 https://www.ilsuperuovo.it/la-peste-nellantica-grecia-attraverso-la-lente-del-poeta-e-dello-storico/
Fig.25 https://www.rivistacorner.ch/iliade-guerra-giochi-onore/
Fig.26 ltermopolio.com/archeo-e-arte/il-vaso-francois-un-cratere-mitico
Fig.27 https://it.wikipedia.org/wiki/Omero#/media/File:Homer_bust,_Farnese_collection_(Naples).jpg
Fig.28 https://www.studiarapido.it/priamo-e-achille-il-colloquio-nella-tenda/
Fig.29 https://it.wikipedia.org/wiki/Achille_e_Patroclo
Fig.30 https://www.siracusaculture.com/2021/03/23/la-cultura-dell-ospitalita/
Fig.31 https://www.skuola.net/mitologia-epica/iliade-omero/glauco-diomede-parafrasi.html
Fig.33 https://www.facebook.com/cicloclassici/posts/2747770975233762/
Fig.34 https://it.wikipedia.org/wiki/Cassandra_%28mitologia%29#/media/File:Cassandra1.jpeg
Fig.35 https://it.wikipedia.org/wiki/Elena_%28mitologia%29#/media/File:Helen_of_Troy.jpg
Fig.37 https://www.storicang.it/a/troia-ricostruzione-storica_15950
Fig.38 https://fashionfortravel.com/micene-sito-archeologico-grecia-mycenae/
Fig.40 https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_dei_Leoni_%28Micene%29#/media/File:Lions_Gate_detail.JPG
Fig.41 https://i.pinimg.com/originals/0c/b7/77/0cb77724bf1788953330926cbf5f638b.jpg
Fig.42 https://www.elementari.net/2010/01/la-civilta-micenea.html
Fig.43 https://it.wikipedia.org/wiki/Tesoro_di_Atreo#/media/File:Treasure_of_Atreus.jpg
Fig.46 https://www.artesvelata.it/maschera-agamennone/
Titolo | Descrizione |
---|---|
Troy | Regia W.Petersen (2004) La pellicola non sempre è fedele all’Iliade, tuttavia la consiglio per un primo approccio alla tematica. |