Odissea poema epico
L'Iliade e l’Odissea sono poemi epici, ovvero opere letterarie in cui vengono narrate in versi le imprese di eroi valorosi. L’Odissea può essere considerato il primo poema “fantasy” della letteratura, nonché uno “spin off” dell'Iliade (alla cui spiegazione ho dedicato gran parte della lezione sulla civiltà micenea). Secondo la tradizione, entrambi sono stati scritti dall’aedo cieco Omero tra l'VIII e il VI sec. a.C.; tuttavia alcuni studiosi datano l’Odissea ad un’epoca più recente rispetto all'Iliade perché narra di civiltà non più guerriere ma di pastori e di viaggi in mare aperto. Si farebbe riferimento, dunque, ad un'epoca caratterizzata da commerci e da fondazioni di colonie, successiva agli scontri bellici raccontati nell'Iliade. Il poema narra del viaggio di ritorno di Ulisse e dei suoi compagni a Itaca dopo aver vinto la guerra di Troia. Le peregrinazioni dell'eroe acheo dureranno ben 10 anni (come gli era stato profetizzato dall'indovino Tiresia incontrato nell'oltretomba); tanto a lungo durerà il suo esilio a causa della vendetta del dio Poseidone, cui l’eroe greco era inviso perché colpevole di aver accecato suo figlio Polifemo. Durante questo viaggio Ulisse si scontrerà con esseri meravigliosi, godrà spesso dei doni dell'ospitalità e intratterrà relazioni amorose con donne bellissime quali Circe e Calipso, ma il richiamo della patria Itaca e della sua famiglia sarà più forte e gli darà la forza necessaria per far ritorno a casa.
Il personaggio di Ulisse
Il nome greco di Ulisse, Odisseo, significa “colui che suscita odio”: é il nonno Autolico ad imporlo ai genitori, forse presago di ciò che sarebbe successo a Troia. Eroe dal multiforme ingegno, é conosciuto come uno dei guerrieri achei più invincibili, non tanto per la sua forza ma soprattutto per la sua furbizia, oltre al fatto che era così abile nel parlare da convincere gli interlocutori a fare sempre ciò che lui suggeriva: non a caso nell’Iliade sarà incaricato da Agamennone di convincere Achille a tornare a combattere ed é sempre lui ad accompagnare Menelao a Troia per chiedere la restituzione di Elena onde evitare la guerra. Fisicamente Ulisse non è molto alto, ha gambe muscolose, le spalle larghe. Riesce a superare tutte le prove cui è sottoposto grazie alla protezione di Atena, dea dell'ingegno e, non a caso, della tessitura (arte in cui eccellevano le donne greche e in particolare Penelope) (fig.01).
Telemaco
La prima parte dell'Odissea é nota come Telemachia. Il poema, infatti, si apre con la narrazione dei viaggi di Telemaco (fig.02), figlio di Ulisse, presso Pilo e Sparta, alla ricerca di notizie del padre. Al pari di Penelope, il giovane principe non crede affatto che Ulisse sia morto. Grazie a questa prima parte, l'autore dell'Odissea crea un'atmosfera di aspettativa per il ritorno ad Itaca dell’eroe protagonista e rafforza il sentimento di solidarietà che il lettore prova nei confronti di Telemaco perché ne condivide l’avversione verso le ingiustizie subite dai Proci.
Nelle culture mediterranee 12 era considerato il numero perfetto: vedi ad esempio le fatiche di Ercole. Le tappe che caratterizzano il viaggio di ritorno di Ulisse da Troia a Itaca sono proprio in numero di 12: i Ciconi, i Lotofagi (paese dei mangiatori di loto), i Ciclopi, l’isola dei venti di Eolo, i Lestrigoni, l’isola Eèa di Circe con il regno di Ade, l’isola delle Sirene, Scilla e Cariddi, Trinacria, l’isola di Ogigia di Calypso, Scheria l’isola dei Feaci, Itaca. Il numero 12 compare frequentemente nel poema: 12 sono i figli di Eolo, i re feaci convocati da Antinoo, le mandrie possedute da Odisseo a Itaca, il numero di labrys che la freccia di Ulisse deve attraversare nella gara con l'arco e 12 erano le navi con cui l’eroe parte da Itaca alla volta di Troia. Studi recenti hanno messo in luce come, in origine, l'itinerario percorso da Ulisse avesse come sfondo le terre tra il Mar Nero e il Mar Egeo; col passare del tempo però i luoghi della narrazione si sono spostati ad ovest verso il Mar Tirreno ove erano sorte le nuove colonie (fig.03). Queste ultime, infatti, avevano finito con l’ambientare nelle loro terre le celebri vicende dell'eroe greco allo scopo di darsi prestigio e, nel contempo, farsi pubblicità presso gli ascoltatori dell’Odissea.
Prima tappa: i Ciconi
Attraverso un lungo flashback Ulisse, alla corte di Antinoo, racconta le sue passate avventure. Lasciata Troia, affamati per il lungo viaggio, I nostri eroi approdano nella terra dei Ciconi in Tracia (canto IX). Qui saccheggiano la capitale e fanno razzia delle donne. Ulisse lascia libero il sacerdote Marone il quale, per sdebitarsi, gli farà dono di quel vino dolcissimo che servirà ad ubriacare il gigante Polifemo.
Seconda tappa: i Lotofagi
Successivamente Ulisse approda nella terra dei Lotofagi (popolo dei mangiatori di loto) (fig.04), i quali si rivelano molto ospitali. Tuttavia, il cibo da loro offerto indurrà alcuni compagni all'oblio di sé stessi e dei loro cari.
Terza tappa: Polifemo e la terra dei Ciclopi
Polifemo è un ciclope (“occhi tondi”), un gigante con un solo occhio (fig.05). Omero, nel libro IX, sottolinea in maniera dispregiativa come questo essere non fosse civilizzato dal momento che seguiva comportamenti aborriti dalla civiltà greca come non mangiare pane e divorare carne cruda. Pastore e allevatore di pecore, montoni, arieti, è abile nel ricavare siero di latte da un buonissimo formaggio. Ha in spregio la legge dell'ospitalità: egli, infatti, essendo figlio di Poseidone, poteva permettersi di sfidare Zeus. Per questo motivo concede ad Ulisse, come unico dono dell’ospitalità, di divorarlo per ultimo dopo i suoi compagni.
Finirà accecato dai nostri eroi (fig.06) e, dopo essere venuto a conoscenza del vero nome di Ulisse (il quale, molto furbescamente, gli aveva riferito di chiamarsi “Nessuno”), invocherà la vendetta per mano del padre Poseidone: da qui l'origine delle disavventure che caratterizzeranno il lungo esilio del protagonista.
Nella grotta di Polifemo sono sistemati graticci carichi di formaggio mentre gli stazzi erano popolati da agnelli e capretti separati da steccati e divisi per gruppi. I ciclopi hanno vigneti resi floridi da Zeus, ignorano le leggi, vivono isolati gli uni dagli altri in grotte sparse tra i monti, non posseggono navi, né sono in grado di costruirle. Il paesaggio della loro terra è connotato da pioppi e grotte, simbolo del mondo degli inferi.
Quarta tappa: l’isola dei venti di Eolo
Eolo, il dio dei venti (fig.07), nel canto X si mostrerà ospitale con Ulisse. Il suo regno è un'isola galleggiante difesa da mura di bronzo. Insieme a lui vivono sei figli e sei figlie sposati tra loro. Tutti insieme banchettano per l'eternità con cibi e bevande raffinate. Ulisse racconterà loro le vicende della guerra di Troia, ma ometterà di essere inviso a Poseidone.
Eolo gli donerà un otre di pelle di bue, chiuso con una catenella d'argento, in cui sono racchiusi tutti i venti del mondo, fatta eccezione per uno che soffierà a favore della nave in modo da portarla direttamente e velocemente a Itaca. Giunti in prossimità della meta, il nostro eroe, fino ad allora sempre al timone, stremato da giorni e giorni di navigazione, cede ad un sonno profondo. I compagni, gelosi del dono fattogli dal dio dei venti e curiosi di conoscerne il contenuto, aprono l'otre. Tutti i venti allora iniziano a soffiare cosicché la nave con tutto l'equipaggio é spinta lontano da Itaca. La maledizione di Poseidone continua a imperversare…
Quinta tappa: i Lestrigoni
I Lestrigoni sono una popolazione dalla statura gigantesca, sollevano massi enormi e li scagliano contro le navi greche ormeggiate nel porto. Abitanti presso la roccia di Lamo, di certo non accolgono i nostri eroi seguendo i canoni dell'ospitalità: infatti il re re Antifate, assieme alla moglie, divora i compagni di Ulisse.
Sesta tappa: l’isola Eèa di Circe e la visita nel regno dell’Oltretomba
Grazie all'aiuto di Ermes, il quale suggerisce a Ulisse di mangiare le radici del fiore moly per sconfiggere l'incantesimo di Circe, l’eroe greco riesce a salvare i suoi compagni trasformati dalla maga in porci e, nel contempo, a sedurla. Circe è la sorella di Pasifae (la moglie di Minosse) e del re della Colchide Eeta (fig.08).
Presso la sua dimora Ulisse trarrà piacere per qualche anno dal cibo, dal sesso e dal vino, ma alla fine sceglierà di ripartire per tornare a casa, non prima però di aver ascoltato le profezie di Tiresia sul suo esilio (fig.09).
Per far ciò l’eroe greco, nel canto XI, dovrà scendere negli Inferi seguendo i suggerimenti di Circe. Nell’ Ade egli incontrerà le anime di Achille, Agamennone, della madre Anticlea, di Eracle e quella di Aiace Telamonio. Per evocare le anime ed esortarle a parlare, Ulisse deve dar loro da mangiare: scava allora una fossa in cui versa latte, miele, vino, acqua e la cosparge di farina di orzo. Successivamente sgozza le bestie sacrificali. Riesce così a incontrare Aiace Telamonio, anche se quest’ultimo non gli rivolge la parola perché è con lui adirato: alla morte di Achille, infatti, Agamennone deve scegliere a chi consegnare le armi dell'invincibile eroe tra Ulisse e Aiace. Decide allora di affidare il giudizio ai prigionieri troiani: chi aveva recato loro maggior danno, l'astuzia del re di Itaca o la forza del Telamonio? La risposta cade sul primo. Non sopportando l'onta ricevuta, Aiace in un impeto di pazzia, fa strage delle greggi greche scambiandole per i re achei che lo avevano tradito. Recuperata la ragione, grazie alla dea Atena, mosso dalla vergogna, decide di trafiggersi il petto con la spada. Achille, invece, rivelerà ad Ulisse che avrebbe preferito piuttosto vivere da servo sulla terra, ma continuare a godere della luce del sole e delle gioie della vita, piuttosto che avere un ruolo di primo piano fra i defunti grazie alla fama di cui godeva durante l’esistenza terrena (a nulla valgono dunque regni e potere!). La madre di Ulisse racconterà cosa succede al corpo nel momento della morte: “i nervi non tengono più la carne e le ossa, ma l’onda violenta del fuoco ardente le annienta, appena la vita abbandona le bianche ossa, e l’anima se ne vola via fluttuando come un sogno” (fig.10). Inoltre, rivela al figlio di essere morta di crepacuore dopo la sua partenza per Troia.
L'oltretomba dell'Odissea si colloca al confine con il regno dei Cimmeri: solo dopo aver bevuto il sangue degli animali immolati dal vello nero, raccolto nella fossa rituale, le anime iniziano a riconoscere le persone care, a ricordare il passato vissuto sulla terra e a profetizzare il futuro.
Settima tappa: isola delle Sirene
Durante la navigazione, come predetto da Circe, Ulisse incontra le Sirene (canto XII), creature che con il loro canto melodioso attirano i naviganti facendoli fracassare sugli scogli. Esse suonano la cetra (tipica della musica colta), la siringa (strumento del folklore pastorale) e il doppio flauto (simbolo della musicalità chiassosa): questi esseri leggendari, dunque, suonavano e cantavano tutti i generi musicali. Preso dall’ansia di conoscenza, Ulisse ordina ai suoi compagni di legarlo all’albero della nave così da poter ascoltare il famoso canto senza pericolo di morte (fig.11). L’equipaggio, invece, si tappa le orecchie con la cera rammollita così da poter attraversare il tratto di mare periglioso.
Ottava tappa: Scilla e Cariddi
Posizionati sullo Stretto di Messina, Scilla è un mostro orrendo a sei teste, ciascuna con tre fila di denti. Vive in una caverna e divora con ciascuna testa un uomo dopo averlo afferrato dalla prua della nave. Di fronte a Scilla, a ridosso di un gorgo infernale, imperversa Cariddi che per tre volte al giorno vomita acqua per poi riassorbirla (fig.12).
Nona tappa: Trinacria
L’ultima tappa, purtroppo, per l’equipaggio di Ulisse è l’isola del Sole, ove pascolano i buoi sacri (fig.13). Messo in guardia da Circe, l’eroe avverte i compagni: devono resistere ai morsi della fame e non uccidere gli animali ben pasciuti. Purtroppo, le sue raccomandazioni rimangono disattese: quando la nave mollerà gli ormeggi, il dio del Sole si vendicherà dell’affronto subito. Un’onda gigante investe l’imbarcazione: moriranno tutti tranne Ulisse che si aggrapperà ad un legno e approderà sull’isola di Ogigia.
Decima tappa: l’isola di Ogigia e Calipso
Dopo essere sopravvissuto al mare in tempesta, Ulisse giunge nell’isola di Ogigia (canto V). Egli rifiuta il dono dell'immortalità offertogli da Calipso perché vuole ritornare in patria (fig.14). Sarà Ermes, il messaggero degli dèi, a intimare alla dea di lasciare andare l'eroe perché così vuole Zeus. Calipso vive in una grotta circondata da pioppi, ontani, cipressi, popolata da gufi e sparvieri, uccelli infernali. L'ambiente è allietato da fonti di acque sotterranee (anche questo è un riferimento al mondo di Ade).
Undicesima tappa: Scheria e i Feaci
Approdato sull'isola dei Feaci (canto VI), Ulisse viene ben accolto dalla principessa vergine Nausicaa e da suo padre Antinoo. Viene dato ordine alle ancelle di lavarlo e di ungerlo con olio (il suo aspetto era orribile (fig.15) con i capelli arruffati, sporco di salsedine, coperto solo da frasche), ma l’eroe chiede di eseguire da solo il cerimoniale per rispetto alle giovani ancelle che accompagnavano la fanciulla (fig.16).
Il regno dei Feaci assomiglia molto ad Atlantide: le navi non hanno bisogno di un timoniere, ma procedono da sole verso la rotta desiderata; a guardia del palazzo ci sono dei cani automi fabbricati con oro e argento, porte dorate e muri di bronzo. Celebre é la descrizione del giardino di Alcinoo popolato da peri, melograni, fichi, viti rigogliosi in ogni stagione. Questo popolo si rivela essere così ligio alla legge dell'ospitalità da accettare di rischiare la distruzione: pur essendo devoto a Poseidone, infatti, Antinoo si offre di riportare Ulisse a Itaca sfidando la credenza leggendaria secondo cui il masso enorme in bilico sulla città e sul porto (esistente da tempo immemorabile) sarebbe caduto causandone la distruzione il giorno in cui uno straniero inviso a Poseidone sarebbe giunto a chiedere aiuto al re e alla sua famiglia per tornare in patria. Una curiosità: la moglie di Alcinoo, la regina Arete, si mostra assai emancipata per la sua epoca: giudica contese e prende parte ai banchetti insieme agli uomini.
Dodicesima tappa: Itaca. Penelope e i Proci
Penelope (fig.17) é figlia di Icario, fratello del re di Sparta Tindaro. La fedele sposa di Ulisse può essere considerata il modello femminile opposto a sua cugina Elena, la femme fatale causa scatenante della guerra di Troia. Penelope vive e lavora nell'appartamento superiore della reggia insieme alle ancelle. Nel megaron, dove ci sono i Proci, si reca eccezionalmente a viso coperto.
Per prendere tempo nei confronti dei Proci, principi che aspirano alla sua mano, promette loro di scegliere il futuro sposo solamente quando avrà terminato di tessere il sudario di Laerte, il padre di Ulisse. In realtà ogni notte ella disfa ciò che ha realizzato durante il giorno: in questo si dimostra una moglie degna dell'astuto Ulisse (fig.18).
Tuttavia, l'inganno viene scoperto da una delle sue ancelle amante di Antinoo, uno dei Proci. Penelope si mostra astuta quanto il marito anche in un'altra occasione: quando, per essere certa che colui che aveva sconfitto i principi rivali fosse davvero il suo sposo, ordina alle ancelle di portare giù il letto nuziale. Ciò era impossibile perché Ulisse lo aveva intagliato fra i rami di un albero di olivo e nessuno, tranne i due sposi, era a conoscenza di questo segreto. Un altro personaggio femminile importante è la nutrice Euriclea che, all’epoca della giovinezza, era stata l’amante di Laerte. Molto devota a quest'ultimo, la donna è la custode dei viveri e del vino presenti nella cantina della reggia, di cui solo lei possiede la chiave. La vecchia balia è la sola, insieme al fedele cane Argo (fig.19), a riconoscere nello sporco mendicante il re di Itaca, grazie alla cicatrice sulla gamba di cui lei si accorge nel momento in cui, per adempiere alle leggi dell'ospitalità, é chiamata a lavargli i piedi (fig.20).
Ulisse riuscirà a compiere la sua vendetta (canto XXII) grazie all'aiuto di Eumeo il porcaro e al figlio Telemaco. L'espediente con cui l’eroe riesce ad entrare nella reggia, grazie al travestimento di mendicante, ricorda quello del cavallo di Troia che, con l'inganno, era stato portato all'interno della città, così da fare strage dei Troiani disarmati, approfittando del fatto che erano profondamente addormentati: alla stessa maniera Ulisse massacrerà i Proci durante un banchetto cogliendoli di sorpresa. Penelope invita i principi rivali, che da mesi mangiavano e bevevano a sue spese nella reggia, a partecipare a una gara in cui dovevano essere in grado di maneggiare il pesante arco del suo amato marito: chi di loro fosse riuscito a scoccare una freccia attraverso gli anelli di 12 scuri, avrebbe vinto la competizione e sarebbe diventato il suo futuro sposo. Ulisse esce vincitore e svela la sua identità per poi fare strage dei Proci (fig.21).
Il finale
Sarà Atena a promuovere la pace tra il re appena tornato e le famiglie dei Proci che gridano vendetta per la morte dei figli. Ma finisce davvero così l'Odissea? Stando alle profezie di Tiresia, le traversie di Ulisse non finiscono qui: per rappacificarsi definitivamente con gli dèi egli dovrà intraprendere un ultimo viaggio verso terre lontanissime dal mare abitate da uomini che non conoscono il sale. Qui egli giungerà con un remo in spalla: quando uno degli abitanti scambierà quest’ oggetto per la pala che serve a separare la pula dal grano, allora sarà segno che Ulisse avrà raggiunto la sua meta. Offrirà così un sacrificio riparatore a Poseidone (un verro, un toro, un ariete) e solo allora potrà tornare nella sua amata terra ove vivrà fino alla fine dei suoi giorni.
L'Odissea è il poema dell'ospitalità (ospite in greco viene da xenos che significa straniero). Cominciamo dai Proci, i pretendenti alla mano di Penelope che trascorrono intere giornate a banchettare a spese della regina, in attesa che quest'ultima decida di scegliere il suo futuro sposo. Essi divorano maiali, pecore, buoi, capre e bevono il miglior vino; tutto a sue spese. Perché Penelope non si ribella? Non può scacciarli proprio per la legge dell'ospitalità. C’è poi l’esempio di Telemaco: protagonista della prima parte dell'Odissea, quando si reca presso le corti di Nestore e Menelao, viene accolto con tutti gli onori, alla stregua di un parente. Nestore gli offre carne, arrosto e vino in un calice dorato. Nel canto X, invece, Eolo darà, in onore di Ulisse, un ricco banchetto, così come farà il re dei Feaci (vedi menù storico). Al contrario Polifemo non rispetterà questo codice di comportamento dal momento che ha in spregio gli dèi. Secondo le credenze dell'epoca, l'ospite era sacro a Zeus e come tale andava servito e riverito: guai a non trattarlo con i dovuti riguardi o a scacciarlo! Il padre degli dèi avrebbe sicuramente punito il colpevole. L'ospite era sacro anche perché veniva da lontano e, in un'epoca in cui viaggiare risultava assai difficoltoso, era l'unico che poteva portare notizie e informazioni da paesi distanti. Dietro le sue sembianze, inoltre, poteva celarsi un dio che in incognito stava vigilando sul comportamento degli uomini. Secondo il cerimoniale l’ospite doveva essere accolto con un buon bagno, accudito dalle figure femminili della casa, unto con oli profumati, vestito con mantelle e tuniche pulite e rifocillato con un buon pasto allietato da danze e musiche. In quell'occasione si mettevano a tavola calici preziosi, si offriva vino di prima scelta: solo allora il viandante poteva rivelare la propria identità e i motivi del suo viaggio. Quando andava via, il padrone di casa gli faceva dono dei suoi beni più preziosi (pepli, crateri, calici, vino, ecc.), sicuro che un giorno il suo ospite o i suoi discendenti avrebbero ricambiato quanto ricevuto. Se l’ospitato non era in grado in quel momento di contraccambiare, lo avrebbe fatto in futuro o avrebbe demandato questo compito alle generazioni successive. Per coprirsi durante le notti gelide, il padrone di casa metteva a disposizione dell’ospite mantelli di lana, tappeti e coperte variopinte. Anche i ceti più umili rispettavano, secondo le loro possibilità, questo codice di comportamento: Eumeo il porcaro offre ad Ulisse, travestito da mendicante, quello che può: vino e miele in coppe di legno e qualche maialino da mangiare.
Durante il suo esilio Ulisse affronta avventure meravigliose ed è amato da splendide donne, ma il suo unico desiderio è quello di ritornare a Itaca, l’amata patria. L’isola (fig.22) viene descritta dall’eroe e da Telemaco come “pietrosa”, caratterizzata da un territorio aspro, difficilmente percorribile con i cavalli. Gli abitanti sono perlopiù dediti all'allevamento. Vi si trova, tuttavia, buon grano e buon vino.
Il mare dell'Odissea diviene metafora dei pericoli cui è sottoposta l'esistenza umana: la terra era considerata il regno naturale dell’uomo mentre il mare era un luogo di insidie. All'epoca in cui Omero scrive il poema (VIII sec.a.C.) la competenza nella navigazione era molto superiore rispetto agli anni in cui è ambientato il poema (XIII sec.a.C.) Omero considera civilizzati gli uomini che si nutrono di pane, mangiano carne cotta arrostita e bevono vino e non mangiano assolutamente pesce, se non per necessità; un esempio per tutti è il caso del re di Sparta Menelao che, quando durante il viaggio di ritorno a Sparta dalla guerra di Troia, rimane bloccato sull'isola di Faro vicino al Delta del Nilo, privo di provviste, non ricorre alla pesca per sostentarsi (come faranno i suoi compagni): piuttosto che dedicarsi ad un’attività per lui così degradante preferisce morire di fame. All'epoca di Omero esisteva una sorta di graduatoria tra le varie tecniche di pesca: la meno disonorevole era praticata con la fiocina, poi c'era quella con la lenza o con la rete, infine quella con le mani, diffusa tra i tuffatori. Un’altra spia che ci rivela come la pesca fosse considerata un’attività degradante è il caso di Scilla, il mostro che si nutre di pesci, i quali a loro volta mangiavano carne umana cruda: come sulla terra i cadaveri incustoditi vengono divorati da cani e avvoltoi, allo stesso modo il mare spesso causa la morte di uomini valorosi privandoli di diritti fondamentali quali la cremazione e la sepoltura. Comunque sia, la furia incostante delle acque costringe Menelao e Ulisse a prolungare le loro peregrinazioni; alla fine le ricchezze con cui riescono a ritornare in patria saranno una specie di risarcimento per tutto ciò che hanno dovuto soffrire.
Ulisse e le sue avventure sono stati uno dei soggetti più diffusi nell’arte di tutte le epoche. Tra gli episodi più apprezzati c'è sicuramente l'accecamento del ciclope (fig.23) in cui solitamente figurano tre o più uomini che privano il gigante della vista con un palo dalla punta arroventata.
Ricordiamo ancora la fuga di Ulisse e dei compagni dall’antro del mostro, grazie al fatto che riescono a legarsi alle pance di arieti e pecore (fig.24), l'incontro col cane Argo (fig.25), Ulisse e le sirene (fig.26).
In età romana repubblicana appaiono traduzioni latine dell’opera: il contesto è quello di una società in piena espansione nel Mediterraneo centrale e orientale, incline a identificarsi in un eroe che aveva affrontato e vinto insidie proprio di quel mare. Sui sarcofagi romani l'iconografia di Ulisse che acceca il ciclope probabilmente stava a simboleggiare la vittoria della razionalità sull'aspetto ferino dell'umanità così come anche l’augurio di vittoria per il defunto sui pericoli dell'oltretomba. La strage dei Proci, invece, simboleggiava la morte che giunge improvvisamente nel fiore degli anni. Le avventure di Ulisse sono state riprese, inoltre, dalla propaganda della gens Claudia perché proprio in seguito alla caduta di Troia, avvenuta grazie allo stratagemma del cavallo, Enea sarà costretto ad abbandonare la sua patria per approdare alla fine nel Lazio, ove darà origine alla stirpe che fonderà Roma.
Medioevo
Il Medioevo, come si sa, tende a reinterpretare in chiave cristiana i miti classici; nel caso di Ulisse il celebre eroe diviene simbolo dell'uomo che, dopo aver affrontato tante peripezie che lo mettono alla prova, approda finalmente alla salvezza dell'anima.
Rinascimento
Con il ritorno all'antico, in epoca rinascimentale, troviamo numerosi esempi di rappresentazioni nonché citazioni di episodi dell'Odissea, come nel caso del Ritratto di dama di Correggio (fig.27) (1530) (S.Pietroburgo Hermitage) in cui una misteriosa donna vestita con abiti eleganti posa con una patera argentea sui cui bordi è incisa un'iscrizione in lingua greca. Quest'ultima allude al portentoso farmaco, citato nel IV libro dell'Odissea, utilizzato da Elena durante un banchetto per placare il dolore di Menelao e Telemaco per la scomparsa di Ulisse. La citazione ci rivela come la committenza del quadro fosse raffinata e in possesso di un'ottima conoscenza della lingua greca.
Un altro esempio di “revival” dell'Odissea lo incontriamo nella Sala di Penelope presso Palazzo Vecchio a Firenze (fig.28) (1561 1563). L’ambiente, decorato dallo Stradano con storie che celebrano le virtù della moglie dell’eroe, vuole far riferimento ai pregi di Eleonora di Toledo, sposa di Francesco I, cui era destinata quest’ala dell’edificio.
Neoclassicismo e Romanticismo
La figura di Circe ammaliatrice ben rappresenta Emma Hart (Lady Hamilton) in un ritratto del 1782 (Aylesbury Waddesdon Manor) eseguito da George Romney (fig.29). La donna aveva fama di leggendaria seduttrice (era l'amante dell'ammiraglio Nelson). La figura si erge al centro della tela e sembra invocare l'attenzione dello spettatore. In mano tiene la bacchetta con cui Circe trasformava gli uomini in animali (le fiere a sinistra). Lo sfondo è una grotta vicino alla quale cresce una vegetazione selvaggia. Romney vuole così far riferimento all'isola di Eèa, cui approdano i naviganti in difficoltà (il cui simbolo è la nave in lontananza), in seguito trasformati dalla celebre maga in porci.
Ulisse alla corte di Alcinoo di F.Hayez del 1813 (Museo e Realbosco di Capodimonte) (fig.30) mostra invece l'episodio del canto VIII in cui, durante il banchetto organizzato dal re dei Feaci in onore di Ulisse, l'aedo Demodoco accompagnato dalla lira, celebra la presa di Troia e lo stratagemma del cavallo. Ulisse è allora sopraffatto dal pianto e copre il suo viso con un velo.
Penelope al telaio di Angelica Kauffmann (fig.31) (1764) (Brighton &Hove, The Royal Pavillon & Museum) ci mostra Penelope in una posa melanconica mentre langue per l'assenza di Ulisse. Ha il gomito appoggiato sul telaio. Quest’ultimo oggetto ci ricorda lo stratagemma con cui la donna cerca di rimandare il più a lungo possibile la scelta del suo futuro sposo tra i Proci. . Da notare il velo impalpabile e i dettagli pregiati con cui è reso il tessuto. Il cane e l’arco sono simboli di fedeltà: l’animale, infatti, sembra avere il compito di custodire l'arma del padrone fino al suo ritorno.
La Sirena di J.William Waterhouse (fig.32) (1900) (Royal Academy of Arts, Londra) è molto simile alla protagonista della fiaba di Andersen. L'essere meraviglioso si mostra in tutta la sua bellezza mentre sulla riva di una scogliera si pettina i lunghi capelli. La bocca aperta rivela il suo canto malinconico e ammaliatore. Su di una conchiglia, simbolo dell'amore, appare una collana di perle: secondo la leggenda queste ultime sarebbero state originate dalle lacrime dei marinai morti nell'impatto con gli scogli.
Simbolismo
Durante l’Ottocento i temi dell’Odissea che hanno ispirato la pittura simbolista sono due: le femmes fatales che hanno allietato le diverse tappe del viaggio di Ulisse e la lettura simbolica del suo esilio come percorso iniziatico. Tra gli esempi ricordiamo Ulisse e Calipso di Böcklin (fig.33) (1882) (Kunstmuseum Basilea), in cui l'eroe greco è rivolto di spalle rispetto agli anfratti su cui siede la dea. La sagoma scura dell'uomo si staglia sul cielo limpido e contrasta con il drappo rosso su cui è seduta Calipso. Trionfano i toni marroni che caratterizzano le rocce e l'oscurità dell'antro. Ulisse è solo e malinconico nonostante l’amore e il dono dell’eterna giovinezza offertigli dalla dea immortale. Egli nutre un solo desiderio: ritornare a casa per rivedere la sua patria e la sua famiglia.
Circe che offre la coppa ad Ulisse (fig.34) (1891) (Greater Manchester Gallery Oldham, Oldham) è la protagonista di un quadro di J. William Waterhouse. Dietro appare uno specchio su cui è riflessa la figura di Ulisse; la maga regge in mano la coppa il cui liquido, secondo i suoi piani originari, avrebbe dovuto trasformare l'eroe in maiale al pari dei suoi compagni, ma tutto questo non avverrà grazie agli avvertimenti di Ermes. Circe si mostra trionfante sul trono, con i capelli lunghi e crespi, come una vera femme fatale.
Sempre dello stesso autore è il quadro Ulisse le sirene (fig.35) (1891) (National Gallery of Victoria Melbourne): qui i terribili mostri hanno l'originale aspetto di uccelli, caro alla cultura classica. Sarà a partire dall’epoca medievale che nell'immaginario collettivo essi assumeranno la forma di esseri metà donne e metà pesci. Le sirene, durante il diciannovesimo secolo, diverranno il simbolo del raggiungimento di un sapere superiore cui aspiravano molti circoli dediti all'occulto.
Il personaggio di Ulisse ha ispirato opere letterarie come il canto XXVI dell’Inferno di Dante. Il poeta fiorentino incontra il celebre eroe nell’ottava bolgia, ove vengono puniti i consiglieri fraudolenti. L’anima dannata di Ulisse è imprigionata all’interno di una lingua di fuoco seguendo la legge del contrappasso: in vita, infatti, l’eroe greco ha approfittato della sua abilità dialettica per convincere le persone con l’inganno. Dante narra una versione alternativa della morte di Ulisse, molto diffusa in epoca medievale: in preda all’ ansia di conoscenza, egli partirà dall’isola di Eèa con i compagni non per ritornare in patria, ma con l’obiettivo di raggiungere i confini del mondo allora conosciuto. Una volta oltrepassate le colonne di Ercole, l’equipaggio avvisterà la montagna del Purgatorio: è qui che la nave verrà risucchiata da un vortice marino. Questa è la punizione per chi ha osato contravvenire alle leggi divine! Secondo gran parte della critica, in questo canto Ulisse prefigura la concezione dell’uomo tipica del periodo dell’Umanesimo: l’eroe, infatti, agisce in base alla sete di di conoscenza e per raggiungere questi obiettivi è disposto a sfidare il volere di Dio.
Ulisse è citato anche nel sonetto A Zacinto di U.Foscolo (1803): al pari di Ulisse anche il poeta è costretto all’esilio. Tuttavia, mentre Ulisse riuscirà alla fine delle sue sventure, volute dal Fato, a rivedere la sua “pietrosa Itaca”, Foscolo non tornerà in patria, motivo per cui sarà costretto ad abbracciare solo idealmente la sua terra natia e la figura della madre.
Anche Pascoli, nella poesia L’ultimo viaggio di Ulisse (Poemi conviviali) (1904), fa di Ulisse il simbolo della sconfitta della sete di sapere. Ormai in età avanzata, l’eroe decide di ripercorrere le tappe del suo mitico viaggio. Questa impresa si concluderà con un terribile smacco: egli, infatti, diviene consapevole del fatto che non esiste una conoscenza assoluta. Per ironia della sorte, il suo corpo verrà trascinato dalle onde del mare fino alla spiaggia dell’isola di Ogigia, dove dimora Calypso, la dea che un tempo gli offrì il dono dell’immortalità da lui rifiutato. Non appena tocca terra, egli si abbandona alla morte. Il finale della poesia è amaro: l’epoca contemporanea non ha bisogno di eroi; Ulisse durante la sua esistenza ha rincorso solo delle mere illusioni.
Infine, nella poesia L’incontro con Ulisse (Maia) (1903), D’Annunzio racconta di aver incontrato l’eroe leggendario mentre navigava le acque del mar Ionio. Lui e i suoi compagni gli chiedono di poterlo seguire per vivere con lui la sua ultima avventura. In particolare è D’Annunzio a supplicare Ulisse di prenderlo con sé: lo prega addirittura di essere sottoposto alla prova dell’arco per poter dar prova del suo valore. L’eroe greco non risponde, ma per un attimo rivolge al poeta vate uno sguardo abbagliante come folgore: da qui D’Annunzio intuisce il suo destino di grandezza che lo eleverà dalla mediocrità comune.
Il tema del viaggiatore solitario viene ripreso da A.Clarke nel suo celeberrimo romanzo “2001 Odissea nellospazio” (1968), fonte ispiratrice del film di S. Kubrik. Ho scelto di inserire questo libro all’interno del percorso incentrato su Ulisse, dal momento che il protagonista della vicenda, l’astronauta David Bowman, è l’unico superstite di una missione volta a scoprire cosa si nasconde dietro l’emissione di energia inviata verso Saturno da un monolite nero ritrovato sulla Luna. Bowman è consapevole di essere lontano miliardi di chilometri dalla terra, con la prospettiva di non poter essere recuperato per almeno altri quattro anni da una missione di soccorso. Egli trascorre il tempo supervisionando il funzionamento delle macchine, ascoltando musica classica o leggendo opere classiche, tra cui l’Odissea, perché sente che l’opera di Omero è quella che maggiormente riflette il suo stato d’animo di solitudine e la sua situazione disperata. Alla fine del romanzo egli si trasformerà in un essere superiore per volontà di esseri alieni e forse darà origine ad una nuova era di esseri umani.
Torta salata alla Telemaco:
Libri
Fumetti
Ospitalità tra passato e presente di Rossella Carpentieri contenuta nel testo Storie di ieri, mondo di oggi di F. Cioffi e A. Cristofori, edizioni Loescher 2022.
Una storia al femminile di Rossella Carpentieri contenuta nel testo Storie di ieri, mondo di oggi di F. Cioffi e A. Cristofori, edizioni Loescher 2022.
https://www.tuttoscuola.com/realizzare-un-gioco-tavolo-incentrato-sui-personaggi-dellodissea/ di Rossella Carpentieri.
Per il testo Odissea:
https://it.wikisource.org/wiki/Odissea_(Romagnoli)
Per canto XXVI Inferno:
https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Inferno/Canto_XXVI
Per il sonetto A Zacinto:
https://it.wikisource.org/wiki/Sonetti_(Foscolo)/A_Zacinto
Per L’ultimo viaggio di Ulisse di Pascoli:
https://it.wikisource.org/wiki/Poemi_conviviali/L%27ultimo_viaggio/XXIV_Calypso
Per le sequenze dello sceneggiato di M.Rossi:
Fig.01 http://iltaccuinodipan.blogspot.com/2018/02/odisseo-luomo-dalla-mente-dai-mille.html
Fig.02 https://pintacuda.it/2022/09/25/telemaco-e-odisseo-il-ritorno-del-padre/
Fig.04 https://it.wikipedia.org/wiki/Lotofagi#/media/File:Lotus-eaters.png
Fig.05 https://www.facciabuco.com/idolo/polifemo/
Fig.06 https://cultura.biografieonline.it/ulisse-polifemo/
Fig.07 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Odissea_Ulisse_e_Eolo.png
Fig.08 https://www.racconticon.it/i-vostri-racconti/la-vetita-di-circe/
Fig.09 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Odissea_Ulisse_e_Tiresia.png
Fig.11 https://www.studiarapido.it/ulisse-e-le-sirene-da-odissea-canto-xii/
Fig.14 https://www.boscodiogigia.it/cose-ogigia-lisola-immersa-nella-natura-di-calipso-e-ulisse
Fig.15 https://www.blendspace.com/lessons/u6NAF_qkhBjRiA/nausicaa-polifemo-odissea
Fig.16 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Odissea_Ulisse_e_Nausicaa.png
Fig.17 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Odissea_Penelope.png
Fig.18 https://trama-e-ordito.blogspot.com/2010/06/tela-di-penelope.html
Fig.19 https://www.facebook.com/mondogrecoromano/posts/2097423187248634/
Fig.21 https://it.wikipedia.org/wiki/Proci#/media/File:Mnesterophonia_Louvre_CA7124.jpg
Fig.22 http://yoursailor.com/meraviglie-del-mare/palazzo-di-ulisse/
Fig.23 https://mythologiae.unibo.it/index.php/2016/04/08/laccecamento-di-polifemo/
Fig.25 https://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=3247
Fig.26 https://mythologiae.unibo.it/index.php/2017/07/13/ulisse-e-le-sirene-2/
Fig.31 https://in.pinterest.com/pin/741897738609128635/
Fig.32 https://diversamenteaff-abile.gazzetta.it/2012/07/27/la-sirena-di-waterhouse-e-quella-di-alemanno/
Fig.33 https://it.wikipedia.org/wiki/File:Arnold_B%C3%B6cklin_008.jpg
Fig.35 https://progettoulisse.files.wordpress.com/2015/01/ulisse.jpg
Titolo | Descrizione |
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Miniserie televisiva Odissea | Regia F.Rosssi e M. Bava (1968) La serie, di 8 puntate, offre una ricostruzione esatta delle vicende narrate nell’Odissea, dell’ambientazione e dei costumi dell’epoca. Da non perdere assolutamente! Disponibile su Raiplay. |