Ancora oggi si discute su quali possano essere le origini del popolo etrusco. Purtroppo, le fonti scritte a nostra disposizione non ci aiutano perché sono pochissime. Tra queste ricordiamo: la Tabula Cortonensis (una lamina di bronzo che riporta una compravendita di terreni) (fig.01), il cippo di Perugia (una stele in pietra che segnalava il confine tra le proprietà di due famiglie) (fig.02), le lamine d'oro di Pyrgi con sopra incisa la dedica di un tempio alla dea Uni/Astarte da parte del governatore di Caere (odierna Cerveteri), le cui scritte sono tradotte in cartaginese (fig.03). Sappiamo inoltre che Tiberio Claudio, ispirato dalla prima delle quattro mogli di origini etrusche, scrisse una serie di libri su questo popolo. Opere letterarie e storiche non ci sono pervenute: abbiamo a disposizione solo iscrizioni e testimonianze di scrittori greci e latini.
L'ipotesi più accreditata è che la civiltà etrusca risalga all'XI secolo a.C. I territori occupati andavano dalla valle padana, all'Emilia, alla Toscana, al Lazio, al nord della Campania, l'Umbria, la Corsica e l’isola d’Elba (fig.04). I Latini li chiamavano Etrusci o Tusci mentre i Greci attribuivano loro il nome di Tirreni (Tyrsenoi o Tirrhenoi) dal mitico condottiero, Tyrrhenos, partito dalla Lidia durante una grave carestia, per stabilirsi nel territorio compreso tra la Toscana e il Lazio. Non a caso il mare che lambisce ad ovest queste regioni si chiama Mar Tirreno. Comunque sia, il nome degli Etruschi nella loro lingua era Rasenna. Ci sono diverse ipotesi sulle loro origini misteriose. Dionigi di Alicarnasso (l secolo a.C.) ne sosteneva l’autoctonia, ovvero l’origine nativa dell'Italia centrale. Erodoto, nelle sue Storie del V secolo a.C., dice che arrivavano dall'est. Per qualcuno, invece, provenivano dalle Alpi Retiche. Oggi i ricercatori sono arrivati alla conclusione che gli Etruschi sono il frutto dell'evoluzione della cultura villanoviana (vedi sitografia) a contatto con la Magna Grecia e i Celti. Si stanziarono in zone caratterizzate da un terreno fertile, ricco di legname e di risorse minerarie (rame, piombo, zinco, ferro nelle colline metallifere e nell'isola d'Elba). L’ affaccio sul mare ha permesso la costruzione di porti, la navigazione per scopi commerciali, la pratica della pesca. Tra le città più importanti ricordiamo Veio, Vulci, Volterra, Caere, Tarquinia mentre sulla costa c'era Populonia(fig.05).
Nella toponomastica dell'Italia centrale ci sono tracce della lingua etrusca: un esempio per tutti è il Lago Trasimeno che viene chiamato Tarsminas in un'iscrizione etrusca. L'estrema varietà del paesaggio, caratterizzato da foreste, colline, valli, reti fluviali, mare, ha contribuito a rafforzare l'autonomia delle città etrusche così che si può parlare di un vero e proprio sistema federale . Le fonti antiche parlano di 12 popoli dell'Etruria, ovvero di 12 città unite dal medesimo credo religioso la cui manifestazione più importante era la celebrazione annuale che avveniva nel santuario di Voltumna presso Volsinii (odierna Orvieto) . Originariamente gli Etruschi si espandono nel Lazio fino al Volturno perché più a sud c'erano le colonie della Magna Grecia. Roma deve moltissimo all'influenza etrusca: lo attestano la cinta quadrata delle mura, il sistema fognario della Cloaca Maxima , le necropoli dell'Esquilino e la denominazione delle tribù che hanno dato origine alla città (Tities, Ramnes, Luceres). Secondo Fabio Pittore (vedi sitografia) sarebbe stato un nobile di Corinto, dal nome di Demarato , a trasferirsi a Tarquinia verso l' VIII secolo a.C . insieme ad altri suoi concittadini. La scelta era caduta proprio su questa città perché vi aveva intrattenuto rapporti commerciali. Secondo la leggenda Demarato era il padre di Lucio Tarquinio detto il Prisco , futuro re di Roma. Non solo: il greco contribuì alla civiltà del popolo etrusco perché aveva introdotto la scrittura e aveva portato al suo seguito artisti greci così da far conoscere alle popolazioni del luogo le arti plastiche. Sotto Tarquinio il Prisco (616 -578 a.C.) Roma si trasformò da un insieme di villaggi a città dotata di pavimentazioni stradali, luoghi di culto in pietra, opere di canalizzazione. Un'altra leggenda narra di Porsenna , re di Chiusi nel 507 a.C ., il quale aveva aiutato Tarquinio il Superbo , violento e vendicativo, a riprendere il trono di Roma, da cui era stato cacciato nel 510 a.C. , stringendo d'assedio la città . Il tentativo finì in un fallimento, ma a partire da quel momento molti etruschi decisero di trasferirsi a Roma. Come sempre, la leggenda cela una parte di verità perché iscrizioni vascolari attestano che questa comunità si insediò nel quartiere cosiddetto Vicus Tuscus nella zona del Velabro. Lo scrittore Erodoto ci ricorda la famosa battaglia navale, avvenuta nel 535 a.C presso la costa della Corsica, tra la flotta degli Etruschi, alleati con Cartagine, e quella dei Focei (gli Ioni provenienti dalla Focide a nord della costa turca) con la sconfitta di questi ultimi. Gran parte del merito della vittoria andò a Caere che, infatti, dopo questa impresa dedicò al santuario di Delfi un proprio thesauros (piccolo santuario). L'amicizia tra Cartagine e gli Etruschi è testimoniata da un'iscrizione riportata sulla lamina d'oro del VI-V secolo a. C . in etrusco e fenicio, destinata al santuario di Pyrgi (città etrusca). La dedica si rivolge alla dea fenicia Astarte e ciò fa presumere che il tempio fosse frequentato anche da Cartaginesi, legati agli Etruschi dal patto reciproco di ospitalità. Nel V secolo a.C., anche a causa di numerose azioni di pirateria effettuate nel Mediterraneo, gli Etruschi si inimicano la città di Cuma, alleata con Siracusa. In seguito alla disfatta del 474 a.C., essi rinunceranno al dominio della Campania. Nel 438 a.C. Veio verrà cinta d'assedio dai Romani. La leggenda narra che il condottiero romano Furio Camillo riuscì a penetrare all'interno della città e a vincere grazie alla scoperta di un cunicolo. Si dice che il condottiero romano invocò l'aiuto di Giunone, la dea protettrice di Veio, giurando che, in caso di vittoria, le avrebbe consacrato un tempio a Roma. Veio cadde definitivamente nel 396 a.C : la popolazione venne trucidata o venduta come schiava. Oramai i Romani erano diventati i padroni indiscussi del Tevere. Nel frattempo, sempre a partire dal IV secolo , dall'Europa centrale scendono in gruppi sempre più numerosi i Galli che si stanziano nella zona che va dalle Alpi fino alla valle del Po. Anche questo popolo subirà l'influenza della cultura etrusca: a testimonianza di questo ci sono oggetti di oreficeria e vasellame prezioso all'interno dei loro sepolcri. A questo punto della storia all'Etruria rimane solo la Toscana e una parte dell'Umbria. Le polèis etrusche cadranno una ad una perché non si sono alleate contro il nemico comune non essendo mai state accomunate da un sentimento di identità nazionale. Tarquinia e Cerveteri provano insieme a far fronte al pericolo di Roma ma con esiti negativi. Nel 351 a.C . i Cereti, ormai sotto il giogo romano, non possono più decidere autonomamente né della pace e né della guerra, né possono esercitare il potere legislativo e giudiziario. Furono inoltre costretti a pagare ingenti tributi. Per di più, anche se formalmente risultavano essere cittadini romani, non godevano di diritti politici. Alla fine del IV secolo Roma si intromette nelle questioni interne alle città etrusche in veste di paciere e di moderatrice di contrasti, ma in realtà il suo scopo è quello di allargare sempre più la sua sfera di influenza: quasi tutte le città dovettero cederle dei territori e ogni anno dovevano fornire contingenti all'esercito, pur non traendo alcun vantaggio dalle vittorie. Nel 281 a.C . viene conquistata Tarquinia e nel 264 a.C si assiste alla distruzione di Orvieto. Tra la prima e la seconda guerra punica l'Etruria siglò un patto di alleanza con Roma che, nel frattempo, iniziò a far propri diversi aspetti della civiltà etrusca a partire dalla ripartizione in lotti dei territori conquistati, chiamati centurie, e assegnate a città o a privati. Nel 90 a.C . la lex Iulia concesse finalmente agli Etruschi tutti i privilegi dei cittadini romani (soprattutto il diritto di votare ed essere eletti alle cariche pubbliche) come ricompensa del fatto che durante la guerra dei socii (vedi sitografia) non erano insorti contro Roma.
Tra l'VIII e il VII secolo a.C. nella società etrusca predominano i principes, una classe dominante che ostenta la ricchezza ottenuta grazie alle rendite fondiarie e allo sfruttamento della forza lavoro degli schiavi. Le tombe dei principes, infatti, esibiscono un fasto orientaleggiante. Essi si distinguevano per i costumi di lusso e per l’organizzazione di banchetti sontuosi. Tra il VII e il VI secolo queste famiglie affidano il compito di governare ad un re, detto lucumone, che esercitava il potere giudiziario nelle udienze pubbliche ogni otto giorni. Egli era inoltre la massima autorità religiosa e il capo dell’esercito. I suoi simboli erano: la corona d'oro, lo scettro con l'aquila, il trono, l'uso dei fasci (fig.06) portati in processione da un littore (cerimonia poi ripresa nell'antica Roma), il chitone di porpora e oro.
Tra il VI e il V secolo si assiste al passaggio alla repubblica oligarchica: le famiglie più in vista si uniscono in matrimonio per siglare alleanze. Il potere viene esercitato dai magistrati eletti da un organo collegiale formato da p rinceps. Essi duravano forse in carico un anno e rendevano conto dei loro operato davanti ad un senato formato dai capi delle famiglie gentilizie. I titoli delle magistrature appaiono in iscrizioni funebri che riportano la carica ricoperta accompagnata, in alcuni casi, da un elogio poetico. Tra le cariche più prestigiose ricordiamo lo zilath , di durata annuale, il cepen (con funzione sacerdotale) e il maru che si occupava di edilizia pubblica. Al di sotto dell'aristocrazia c'era il ceto medio borghese che viveva del proprio lavoro. Le classi più basse erano formate da servi, attori, giocolieri e stranieri che vivevano in povertà. Le fonti greche riguardo le classi subalterne dell'Etruria parlano di domestici addetti al servizio dell'oikos (casa) che non erano schiavi ma pur sempre sottoposti. Nei dipinti tombali erano rappresentati di dimensioni minori rispetto ai signori per sottolinearne l'inferiorità. Si dice che i servi che avevano il compito di accogliere gli ospiti invitati ai banchetti vestissero in maniera lussuosa per ostentare la ricchezza dei padroni. In questo quadro sociale prevalevano gli aristocratici ei ceti medi benestanti che vivevano nel lusso e nell'agiatezza: da qui il giudizio loro attribuito di mollezza, raffinatezza, passione per il buon cibo, la musica e il vino. Nel carme 39 di Catullo (vedi sitografia) , infatti, definisce l'etrusco obesus per antonomasia. Posidonio (vedi sitografia) , dal canto suo, sosteneva che la causa della decadenza degli Etruschi andava individuata proprio nella rilassatezza dei loro costumi.
Nel VII secolo i commerci erano nelle mani dell'aristocrazia che importava soprattutto vasellame. Gli Etruschi vivevano anche di attività agricole: il grano da loro prodotto era in così grandi quantità che Roma vi si è rifornita in epoca di carestie. Il vino e l'olio erano dapprima importati dalla Grecia per poi essere prodotti in loco. Il vino inizialmente era appannaggio solo degli aristocratici, in seguito il consumo si diffuse anche tra le classi meno elevate. L'olio utilizzato per scopi estetici era custodito in balsamari. Si allevavano suini, greggi, buoi per i lavori nei campi. In alcune pitture tombali di Tarquinia ci sono scene in cui appare il cinghiale etrusco. Dagli ovini si ricavava la lana, la carne e il latte (famoso era il formaggio di Luni). Il legname era impiegato per la carpenteria ma anche per fabbricare sostegni per i vasi bronzei. Il territorio si caratterizzava per i ricchi vigneti, platani, cipressi, alberi di melograno, pino da pinoli, piante di alloro. La caccia era praticata solo dai ceti aristocratici. Le risorse minerarie erano estratte dalle Colline Metallifere, l'Elba, i Monti della Tolfa. La metallurgia veniva impiegata per la fabbricazione di armi, oggetti di pregio, strumenti agricoli. I forni per la fusione non erano lontani dalle miniere. Populonia era il centro siderurgico per eccellenza, primeggiava nell’esportazione del ferro ed è stata la prima città a battere moneta (ricordiamo quella che da un lato ritrae la testa di Sethlans, l'omologo del dio Efesto, mentre sul retro figurano i suoi simboli del martello e delle tenaglie, strumenti dei fabbri ferrai)(fig.07).
Molto probabilmente la lavorazione dei metalli in origine era svolta da maestranze vaganti; a partire dalla fine del VII secolo gli artigiani di provenienza greca ed orientale entrarono a far parte delle comunità locali e iniziarono a diffondere nuove tecniche di oreficeria o di ceramica. Ci fu così una vera e propria specializzazione di questo mestiere e i manufatti prodotti iniziarono ad essere richiesti dai ceti dominanti. Molto apprezzati erano anche gli orefici. Nel corso del VI secolo si diffonde la produzione di coperte ricamate, vasi d'argento, arredi particolari esportati anche in Grecia: molti di questi oggetti facevano parte dei corredi rinvenuti nelle tombe degli aristocratici e costituivano dei veri e propri status symbol della condizione del defunto. Rinomata era la produzione delle anfore etrusche di forma standardizzata per essere ammassata nelle stive delle navi: è la prima volta nella storia che si assiste ad una produzione organizzata di questo genere. Le anfore erano spalmate internamente di resine e chiuse con tappi di sughero sigillati con la pece. L'isola d'Elba era chiamata anche Aethalia (terra dei fuochi) perché illuminata dalle fiamme dei forni che fondevano il metallo. Gli Etruschi erano rinomati per la produzione di buccheri (fig.08), vasi e recipienti di colore nero in ceramica che a partire dal VI secolo sono decorati a rilievo o graffiti con motivi geometrici, figure umane o di animali. Prima della moneta etrusca i buccheri erano utilizzati come merce di scambio.
In origine (IX-VIII secolo) gli Etruschi abitavano in capanne costruite con canne o rami e rivestite di argilla (fig.09). Il tetto era fatto di fieno, erba secca, paglia mentre il pavimento era in terra battuta e all’ esterno c’era un canale di scolo. Le costruzioni avevano forma circolare o ellissoidale. Nel sesto secolo le case delle classi più abbienti avevano una pianta tripartita di origine orientale ed erano dotate di un atrio scoperto che raccoglieva l'acqua piovana. Quest’ambiente era circondato da stanze. Le camere da letto si caratterizzavano per la poca mobilia: letti di ferro con materassi di paglia, cassapanche con dentro i vestiti. Il pavimento era coperto da lastroni di pietra. C'erano stanze dedicate al culto degli dèi, il gineceo (dove le donne lavoravano e si facevano belle) e poi c'era la cucina. Le aree comuni sfoggiavano oggetti costosi. Il tetto era a doppio spiovente mentre i muri di mattoni crudi tenevano lontani gli incendi. Possiamo ricostruire tutto questo grazie alla forma delle urne cinerarie che simulavano le capanne e alle testimonianze tombali di cui parlo nella sezione dedicata all’arte.
Gli Etruschi erano famosi per gli atti di pirateria compiuti nel Mediterraneo: per le loro scorribande avevano dotato le loro navi di ancore di piombo, uncini in grado di arpionare le imbarcazioni prese d’assalto, rostri di bronzo sulla prua con cui speronarle (fig.10). L'utilizzo di un secondo albero rendeva le navi commerciali più veloci in modo da battere sul tempo i mercanti stranieri loro avversari. Le navi da guerra avevano una forma più lunga e affusolata per essere più veloci e muoversi con più destrezza. Una volta arpionate con gli uncini e speronate con il rostro (fig.11) le imbarcazioni etrusche colpivano gli avversari con saette infiammate per poi catapultarsi all'arrembaggio della nave attaccata. I pochi superstiti venivano fatti prigionieri per poi essere messi a lavorare come schiavi all'interno delle case dei ceti più ricchi.
Il soldato etrusco (fig.12), appartenente alle classi abbienti, era equipaggiato con gli schinieri in bronzo per proteggere le gambe, gli elmi decorati con creste metalliche (fig.13) e corazze fabbricate con una o due lastre di bronzo tenute insieme da lacci di cuoio (fig.14). Gli scudi bronzei avevano più maniglie. Le lance erano aste di legno lunghe circa 2 m con all’estremità un aculeo di metallo in modo tale da poter essere conficcate nel terreno se si voleva avere la mano libera. C'erano vari tipi di spade: da quelle con la lama ricurva, al tipo lungo e dritto a doppio taglio, a quelle simili al gladio romano lunghe qualche decina di centimetri. Gli Etruschi si servivano di bighe (carri trainati da due cavalli). Andavano in guerra i cittadini maschi di età superiore ai 17 anni in grado di maneggiare abilmente le armi. I più ricchi ricoprivano i ruoli di maggior prestigio. Gli opliti erano di estrazione aristocratica, marciavano in fila e facevano parte della fanteria pesante. La fanteria leggera era armata con scudo, elmo, spada ma era priva di corazza. C’erano guerrieri armati di ascia e tiratori di fionda. Le armi erano considerate un bene di lusso e venivano mostrate agli ospiti in segno di prestigio: non a caso sono state ritrovate all’interno di corredi funebri di personaggi facoltosi.
La scrittura etrusca ancora adesso è di difficile comprensione: sappiamo che si legge da destra a sinistra e che ci sono dei puntini tra le parole, a metà altezza, che ci permettono di distinguerle le une dalle altre. Gli scribi appartenevano ad un ceto elevato e il loro lavoro consisteva nel redigere i documenti importanti. Le leggi erano considerate sacre: regolavano la convivenza civile, prescrivevano i riti con cui si fondavano le città, si celebravano le cerimonie funebri e si consacravano i luoghi di culto. Sacerdoti e magistrati, nelle loro sepolture, erano effigiati con un rotolo di lino in mano con sopra delle scritte. Si scriveva su tavolette di avorio o di bronzo con sopra spalmata la cera per incidervi sopra i segni con uno stilo. Si scriveva anche sui fogli di lino. Probabilmente sono stati i Greci a importare in Etruria la scrittura perché sui vasi di loro produzione c'erano infatti riportate delle frasi o parole che probabilmente all’inizio sono state copiate dai Tirreni per scopi ornamentali. Successivamente essi hanno rielaborato l'alfabeto greco secondo le proprie esigenze fonetiche e da lì è nata la lingua etrusca. Le poche testimonianze pervenuteci, come si è detto, consistono in iscrizioni e nomi di componenti familiari. Della letteratura etrusca non ci rimane alcuna traccia.
I medici etruschi erano famosi in tutto il Mediterraneo soprattutto per quanto riguarda il ramo dell'odontoiatria e la produzione di farmaci anestetici ricavati dalle erbe. Nei santuari sono state ritrovate riproduzioni in bronzo e in argilla di quelle parti del corpo (utero, genitali maschili, piedi, occhi ecc.) (fig.16) che si chiedeva agli dèi di proteggere o curare. Nelle tombe dei medici sono stati rinvenuti bisturi, tenaglie per estrarre i denti, sonde per verificare la profondità di ferite, ecc.
Al pari dei Greci anche gli Etruschi amavano molto il teatro (in particolar modo Euripide). Tra le varie forme di spettacolo praticavano la danza in costume. Le prime scenografie appaiono nel V secolo a.C. e sono caratterizzate da fondali marini, colonne e alberi. C'erano attori professionisti, probabilmente alle dipendenze di personaggi potenti; qualcuno lavorava come “freelance” pagato in base agli spettacoli cui partecipava. Alcune rappresentazioni si svolgevano nei santuari, altre nelle case o nei giardini dei ceti aristocratici e potevano avvenire anche in concomitanza di riti funebri. Le maschere erano di terracotta, si caratterizzavano per i lineamenti mostruosi ed erano colorate in maniera vistosa: alcuni esemplari sono stati rinvenuti all’interno di corredi funebri appartenenti a personaggi abbienti; tuttavia, le loro dimensioni erano assai ridotte probabilmente perché si voleva alludere al fatto che durante le celebrazioni per la loro morte erano avvenute rappresentazioni teatrali a riprova della loro appartenenza ad un ceto elevato. Gli Etruschi si dilettavano nel gioco degli astragali (fig.17), gli antenati dei dadi in osso, che sulle quattro facce riportavano come punteggio 1,3,4,6 mentre i numeri 2 e 5 non c'erano. Ne lanciavano quattro alla volta: il colpo più fortunato era quello cosiddetto di Afrodite in cui in un unico lancio bisognava ottenere un punteggio diverso per ogni astragalo. Ancora, si lanciavano in area cinque astragali per farli atterrare sul dorso della mano. Questi antenati dei nostri dadi servivano anche a prevedere il futuro: l’indovino, dopo averli tirati, dava il suo responso a seconda dei numeri usciti e delle loro combinazioni. Un altro passatempo preferito consisteva nel mettere in un sacchetto una serie di ossicini e invitare l'avversario a indovinare se fossero in numero pari o dispari.
Secondo la leggenda Tages (fig.18), divinità figlio di Genius e nipote di Giove, era sceso a Tarquinia per dettare al popolo etrusco i fondamenti della religione (profondamente influenzati dalla divinazione mesopotamica). I precetti erano contenuti nei Libri Haruspicini, Libri Fulgurales, Libri Rituales. Nei primi si parla delle tecniche di divinazione attraverso la lettura delle viscere degli animali.
Nei Fulgurales si interpreta il volere degli dèi con l’osservazione dei fulmini, nei Rituales vengono affrontate le modalità per erigere un luogo di culto e consacrarlo, per fondare una città, suddividere i campi e si impartiscono gli ordinamenti civili e militari. Sempre secondo la leggenda i Libri Fulgurales sono stati dettati dalla ninfa Vegoya, divinità femminile alata. Ricordiamo ancora gli Ostentaria, tradotti in latino, che parlano dell'interpretazione dei miracoli e i Libri Fatales sull’ oltretomba e il destino degli uomini. Secondo gli Etruschi il mondo terreno riflette il macrocosmo delle divinità e per questo motivo esso deve essere ripartito secondo l'ordine stabilito dagli dèi; nulla accade per caso, ma tutto è riconducibile ad una struttura unitaria che presiede l'intero cosmo: ecco perché i sacerdoti, seguendo i dettami dei libri citati, dicevano di essere in grado, dall'osservazione dei fenomeni naturali, di leggere la volontà degli dèi e di prevedere il futuro. Il metodo di questi indovini consisteva nel ripartire lo spazio coinvolto dal fenomeno in settori che riflettono la suddivisione del mondo celeste; per esempio, riguardo i fulmini, hanno diviso il cielo in 16 parti, ciascuna poi suddivisa in ulteriori settori, ognuno corrispondente ad una divinità. Tra queste ricordiamo la triade formata da Tin o Tinia (= Zeus, Giove), Uni (= Era, Giunone), Menerva (=Atena, Minerva). Poi ci sono Fufluns (=Dioniso, Bacco), Sethlans (=Efesto,Vulcano), Turms (= Afrodite,Venere), Apulo (Apollo), Aritimi o Artumes (=Artemide, Diana), Aita (=Ade, Plutone) (fig.19) e Phersipnai (= Persefone, Proserpina) (fig.20). A queste divinità si aggiunsero i cosiddetti Dei Involuti (avvolti nel mistero) e gli Dei Complici consiglieri di Tin. Ricordiamo infine i Penati, i Lari, i Mani.
Il dio Tinia (fig.21) poteva scagliare solo tre fulmini, ma alla presenza e con l'approvazione degli dèi involuti e degli dèi complici. Il primo fulmine serviva ad avvertire, il secondo ad atterrire, il terzo a distruggere. A seconda della direzione in cui avvenivano i fenomeni nel cielo (nuvole, fulmini, volo degli uccelli) gli indovini erano in grado di sapere quali eventi sarebbero accaduti e a quali divinità ci si poteva rivolgere per evitarli o incentivarli. Molto importanza aveva il colore del fulmine: chiaro era quello di Giove, scuro quello di Saturno, rosso quello di Marte. Il luogo colpito dalla folgore era oggetto di riti purificatori: si raccoglievano i tizzoni per poi seppellirli in un luogo recintato dedicato al dio saettatore. Il tutto era accompagnato da canti religiosi. Si sacrificava poi una pecora con i denti incisivi particolarmente sviluppati (bidens). Tutto ciò che era stato colpito dal fulmine doveva essere sepolto immediatamente.
Gli aruspici erano sacerdoti appartenenti a famiglie altolocate. Erano in grado di leggere la volontà degli dèi dalle viscere degli animali (pecore e tori). In particolare, esaminavano il fegato, i polmoni, il cuore, la milza. L’ aruspice di famiglia indossava un copricapo a punta, il cepen, con un laccio sotto il mento, una tunica con fibule di bronzo e un mantello ricavati dalle pelli di un animale sacrificato. L'abbigliamento ricorda quello dei pastori, indizio del fatto che queste pratiche rituali risalivano a tempi molto antichi (fig.22). Il Senato romano convocava gli aruspici in casi di eccezionale gravità: ciò che decretavano era indiscutibile, motivo per cui godevano di un'autorità e di un prestigio immenso. Pensate che nel 152 a.C., a causa di un loro responso, un intero collegio di magistrati fu costretto a dare le dimissioni! Una curiosità: durante i rituali la vittima sacrificale non doveva mostrare segni di riluttanza nel momento in cui veniva portata presso l’altare; se ciò fosse avvenuto il rito sarebbe stato invalidato.
Il fegato di Piacenza (Museo Civico di Piacenza I-II secolo a.C.) (fig.23)ci fornisce un'idea della epatopatia, ovvero della branca del sapere religioso degli Etruschi che permetteva l'interpretazione divina attraverso la lettura del fegato, in questo caso quello di una pecora. Secondo le credenze questo organo era la sede del coraggio e dell'intelligenza. Dopo averlo estratto dal corpo ancora caldo dell'animale, l’aruspice procedeva con l'esaminarlo con attenzione. Il ministrante reggeva il fegato con la sinistra e lo palpeggiava con la mano destra. L’organo si divideva in una pars familiaris e una hostilis. La prima era riservata a chi stava facendo il consulto e la seconda all'avversario. Un segno favorevole nella parte nemica era considerato di buon auspicio, il contrario avveniva nel caso di segno sfavorevole. Sul modello di bronzo é visibile la ripartizione in settori che ricalca la suddivisione del macrocosmo divino di cui si è già detto precedentemente. La divisione del cielo in 16 regioni corrisponde alle caselle del nastro esterno. La superficie interna è divisa ulteriormente in altri settori, ciascuno con sopra riportato il nome della divinità che lo presiede. La mancanza dell'organo, la sua scarsa evidenza o l'avviluppamento delle membrane era un segno nefasto. Ai fini del responso era importante anche l'osservazione del colore.
A queste forme di divinazione si aggiunge l'interpretazione del volo degli uccelli ad opera degli àuguri. Questi indovini impugnavano il lituo, un bastone ricurvo di bronzo o legno (fig.24). Lo scrittore latino Servio ci racconta ad esempio che la città di Capua (vicino Caserta) era stata fondata in seguito all'osservazione del volo di un falco il cui nome nella lingua etrusca corrisponde a capys. Si credeva ci fossero piante nefaste così come animali presaghi di cattivo augurio (topi, api). Se una pecora o un ariete presentavano chiazze dorate o purpuree sul velo sarebbero stati forieri di grandi fortune. Un’altra forma di divinazione era la libanomanzia ovvero lo studio del fumo di incensi ricavati da preziose essenze importate dall’Oriente.
Anche i confini terrestri dovevano rispettare le suddivisioni del macrocosmo, ragione per cui prima di fondare una città (fig.25) innanzitutto si consultavano le divinità per sapere se l'area fosse fausta. Successivamente si identificavano le vie principali: il cardo (in direzione Nord-Sud) e il decumano (in direzione Est-Ovest) perpendicolari fra loro (questa pianta sarà ripresa in seguito dall’urbanistica romana) (fig.26).
Dopo aver scavato questi assi viari, si versavano all’interno dei solchi le offerte e si delimitavano con dei cippi (segnali in pietra) i confini tra le varie aree rettangolari. Il confine della città era segnato con un aratro di bronzo, trainato da buoi, lungo il quale venivano edificate le mura intervallate da porte. Infine, si eseguiva un sacrificio solenne. Oltrepassare il perimetro senza autorizzazione significava invadere la città e violare ciò che avevano stabilito gli dèi e, di conseguenza, si era passibili di morte. Nel codice etico-religioso degli Etruschi la violazione di proprietà era punita con l'annientamento della famiglia, la morte e la perdita di tutti i beni. Chi mentiva o giurava il falso era condannato all'esilio. All'interno delle mura c'era il pomerium, una porzione di terreno che doveva rimanere libera perché destinata alle divinità protettrici. I santuari erano ubicati a ovest della città mentre le botteghe e i mercati a est. Il centro etrusco religioso principale era il Fanum Voltumnae (vicino Orvieto) (fig.27): in questa sede una volta all'anno si riunivano i lucumoni rappresentanti le 12 città etrusche che facevano parte della dodecapoli. L'incontro avveniva in primavera o quando c'era un pericolo imminente. Per l’occasione si celebravano riti, si discuteva di questioni comuni e si eleggeva il capo della federazione etrusca.
Nel I secolo d.C. l'imperatore Augusto ordinò che i libri sacri della disciplina etrusca fossero custoditi nel tempio di Apollo Palatino, così da essere tutelati e controllati dallo stato. In seguito con l'avvento del cristianesimo queste fonti caddero in disgrazia fino a quando Teodosio, nel 385 d.C., e Onorio, nel 409 d.C., li misero definitivamente al bando.
Un personaggio assai caratteristico della mitologia etrusca era il demone Charun (fig.28). Antenato del greco Caronte, egli brandiva un terrificante martello. L’attrezzo non fungeva da arma, ma aveva la stessa funzione dell'utensile utilizzato dai custodi delle grandi porte delle città antiche incaricati di sbloccare i chiavistelli e le sbarre che ne chiudevano le porte. Il demone, dunque, era il guardiano dell'oltretomba. Figura ereditata dal folklore greco, diventerà un personaggio presente nella letteratura dell'Ottocento. Si caratterizzava per la carnagione scura, si spostava su un cavallo nero e aveva una moglie di nome Charontissa o Charissa. Charun aveva l’abitudine di rapire i giovani più vigorosi per utilizzarli come colonne portanti del suo palazzo infernale. Inoltre, usava le trecce delle fanciulle più belle a mo’ di corde, pestava agli uomini nel suo tino e ne utilizzava il sangue come mosto. Se era in vena di mietere, uccideva a colpi di falce tutti coloro i quali incontrava sul suo cammino. Charun nel corso dei secoli ha ispirato la storia della letteratura: in un canto risalente al XIX secolo viene descritta la tavola da lui imbandita insieme alla moglie Charissa; in essa appaiono bicchieri e piatti rovesciati, tovaglioli neri e come posate figurano le mani dei morti. Insomma, i due personaggi anticipano gli orchi delle fiabe!
Gli etruschi hanno amato le gioie della vita. Tuttavia, nell’ultima età della loro epopea sono divenuti presaghi della loro caduta e di questo sono testimoni le raffigurazioni tombali.
Architettura
Le città etrusche erano dotate di mura con porte ad arco: un esempio è quella di Volterra (datata III-II a.C.) (fig.29). Riutilizzata dai Romani dopo la conquista, è larga 4 m e alta 7. L'apertura si caratterizza per 19 conci, ovvero blocchi di forma trapezoidale che si dispongono a formare un semicerchio. I conci sono in calcare grigio e poggiano su due pilastri di tufo. L'arco è decorato da tre teste scolpite che rappresentano probabilmente la triade Giove, Giunone, Minerva, aggiunte forse posteriormente in seguito alla conquista della città da parte dei Romani. Il peso si scarica dall'alto verso il basso spostandosi sui conci laterali.
Per quanto riguarda i templi, essi erano costruiti in legno e con decorazioni in terracotta per cui non ci sono giunti, ma possiamo provare a ricostruirli grazie ai testi di Vitruvio e ad alcuni modellini che facevano parte di corredi funerari. Il tempio etrusco sorgeva su di un alto podio in pietra e vi si accedeva grazie ad una gradinata ubicata frontalmente (fig.30).
Al contrario del tempio greco le colonne erano distanti tra loro, avevano un'alta base ed erano disposte solo sulla facciata su due file da quattro. Il fusto era liscio con una scarsa rastremazione verso l'alto. L’ordine che le caratterizzava è detto tuscanico. La cella si suddivideva in tre ambienti, ognuno dedicato ad una divinità (fig.31) ed occupava la parte posteriore dell'edificio. La decorazione in terracotta ornava solo il tetto di legno e consisteva in acroteri e antefisse (fig.32) (vedi sitografia) collocate sulle tegole ricurve lungo la linea di gronda con funzione apotropaica. Le statue erano disposte sulla cornice del frontone. Nella trabeazione erano assenti metope e triglifi.
La scultura
Per quanto riguarda il materiale scultoreo gli Etruschi preferivano la terracotta al marmo perché, al contrario dei Greci, insistono sul concetto di transitorietà dell'uomo anziché idealizzarlo. Un esempio importante di statuaria etrusca ci è fornito dal sarcofago degli sposi (530-520 a.C.) Roma Museo Nazionale di Villa Giulia) (fig.33). Il fatto che nei monumenti funebri le donne siano ritratte con le stesse dimensioni dell'uomo, anche se nella realtà erano più minute, sta a significare che erano diventate parimenti importanti. Proveniente dalla necropoli della Banditaccia di Cerveteri, questo sarcofago custodiva le ceneri della coppia rappresentata a grandezza reale. In origine il manufatto presentava una colorazione che si è persa nel corso dei secoli (cosa che osserveremo anche in altre opere). Il materiale adoperato é la terracotta. I due sposi si trovano su un triclinio con letti e cuscini e appaiono sdraiati su un fianco, intenti a brindare probabilmente alla loro morte. Le coppe che avevano in mano sono andate purtroppo perdute. L'uomo è a torso nudo e con i piedi scalzi; con un gesto affettuoso poggia la mano sulla spalla della moglie. Quest'ultima è abbigliata in maniera molto elegante con in testa un TUTULUS, copricapo a calotta indossato dalle donne abbienti. Segno dell’appartenenza ad un’elevata classe sociale sono anche le scarpe alla moda con la punta all’insù. I cuscini su cui sono adagiati sono simbolo di sensualità. La donna, con atteggiamento di complicità, si appoggia al busto scoperto del marito (simbolo di virilità). Sono evidenti le influenze della scultura ionica greca nella resa degli occhi a mandorla, la forma ovale dei volti, il panneggio. Lo scultore ha aumentato lo spessore dei busti e allo stesso tempo ha diminuito quello delle gambe. Predominano gli spigoli nella resa dei menti e della barbetta.
Apollo di Vejo (510- 500 a.C.) Roma Museo Nazionale Etrusco Villa Giulia (fig.34). Realizzato in terracotta, faceva parte in origine di un gruppo di dodici statue a grandezza naturale riunite della decorazione acroteriale del tempio del Portonaccio a Veio, costruito nel VI secolo a.C. Sono visibili ancora tracce dell'originaria policromia portata alla luce da un recente restauro dopo aver tolto strati sovrapposti di cera protettiva mista a polveri. L'autore è Vulca, uno scultore così famoso da essere chiamato a lavorare a Roma da Tarquinio Prisco per il tempio di Giove Capitolino. Nello scavo è stata rinvenuta anche una statua di Eracle: probabilmente il dio e l’eroe greco erano collocati uno lateralmente all’altro per dare l’illusione, allo spettatore che osservava dal basso, di stare per affrontarsi frontalmente. L’episodio cui si fa riferimento è la cattura della cerva Cerinea, animale sacro ad Artemide e dotato di corna dorate e zoccoli di bronzo: il dio del sole, fratello della dea, secondo l'iconografia originaria del gruppo, era sceso in campo per farsi restituire la preda dall’eroe greco.
L’Apollo di Veio mostra con evidenza l'influenza della scultura greca arcaica nel sorriso enigmatico. Ha un’acconciatura caratterizzata da trecce, con sopra una fascia (originariamente i capelli erano di colore nero). I lineamenti del viso sono molto evidenti perché la scultura doveva essere ammirata da una grande distanza (é alta 1, 86 cm). Gli occhi a mandorla erano contornati da una linea scura, l'iride era di colore bianco mentre le pupille erano scure (fig.35). La carnagione era di colore bruno. Apollo indossa un chitone e un mantello, entrambi color crema e con una bordatura marrone. La palma funge da sostegno. Manca parte del braccio destro, quasi tutto il sinistro, parte dei piedi. Il braccio destro piegato corrispondeva alla gamba portata in avanti a simulare il passo. L’altro braccio era probabilmente piegato all’indietro e reggeva l’arco. La tensione dei muscoli è resa con linee dipinte (vedi le gambe). I vari pezzi sono stati realizzati separatamente e poi assemblati nel momento che precede la cottura.
Sarcofago degli sposi (350-300 a.C.) Boston Museum of fine Arts (fig.36) Questo sarcofago in alabastro ritrovato a Vulci presso una tomba, ci mostra una coppia abbracciata sotto le lenzuola, in atteggiamento intimo. Bellissima é la resa del panneggio; i volti sono rappresentati in maniera realistica. Committente dell’opera è la famiglia Arnt Tetnies.
La chimera di Arezzo (V-IV secolo a.C.) Firenze Museo Archeologico Nazionale (fig.37). La chimera, fusa in bronzo, è stata rinvenuta presso Arezzo. Si tratta del famoso animale mitologico con il corpo di leone, la coda di serpente e sul dorso una testa di capra che, secondo la leggenda, vomitava fuoco. Il mostro é rappresentato nella posa di attacco contro Bellerofonte, l'eroe che l'ha uccisa (vedi sitografia). Le ciocche della criniera sono di forma triangolare e ricordano i collari indossati dai cani dei pastori abruzzesi per proteggerli dai morsi dei lupi. I muscoli del corpo sono tesi, il muso è rivolto verso l'alto con aria minacciosa. Le vertebre sul torace dell'animale sono evidenti quasi a sottolineare la sua fame insaziabile. Il serpente che morde la testa di capra é un'aggiunta posteriore. Su una delle zampe anteriori è inciso il nome di Tinia, il dio etrusco: questo ci rivela che probabilmente si tratta di un'offerta votiva (fig.38). Le unghie fuoriescono dalle dita. Cosimo I dei Medici, quando fu scoperta la scultura il 15 novembre 1553, la inserì subito nelle sue collezioni perché la assurse a simbolo del nemico da sconfiggere a tutti i costi. Il Granduca stesso si considerava erede della cultura e dell’egemonia etrusca tanto è vero che si faceva chiamare dux hetruriae.
L’Arringatore del Trasimeno (100 a.C.- 1 a.C.) Firenze Museo Archeologico Nazionale (fig.39) La scultura bronzea si chiama così perché è stata rinvenuta nei pressi del lago Trasimeno. L’ effigiato é Aulo Metello, un notabile etrusco vestito alla romana con i calcei, calzari dotati di strisce di cuoio con due nodi (indossati solo dai senatori) e una lunga toga sul cui orlo è incisa un'iscrizione onoraria. L'uomo apparteneva ad una classe elavata ed era entrato a far parte del Senato di Roma. Si tratta anche in questo caso di un'offerta votiva. La testa è visibilmente piccola rispetto al corpo e manca dei bulbi oculari. Aulo Metello é qui raffigurato mentre sta chiedendo al pubblico il silenzio per poter parlare. La mano è rappresentata con dimensioni più grandi del normale proprio a sottolineare questa sua richiesta. La resa realistica del volto contrassegnato da rughe segue i dettami dell’arte romana repubblicana: oramai a questo punto della storia la civiltà etrusca si era perfettamente omologata a quella romana.
Urna funeraria con scena di commiato (100-1 a.C.) Perugia Antiquarium di Corciano (fig.40) L’urna è stata rinvenuta in una necropoli ad est di Perugia. Apparteneva alla famiglia ANEI MARCNA. Il periodo di datazione è quello immediatamente precedente alla fusione della cultura etrusca con la civiltà romana, tanto è vero che nella suddetta necropoli coesistono nomi etruschi e latini. L’urna è in travertino ed è caratterizzata da un’iscrizione in lingua etrusca che rimanda ad una personalità maschile. Sul coperchio è visibile un personaggio recumbente (in posizione semiseduta) con una mano che regge una ghirlanda e l’altra appoggiata ai cuscini. I capelli sono rossi e corti e sono coperti da un velo. Sulla cassa è rappresentata una scena di commiato tra due coniugi che si stringono la mano destra in segno di addio. Il defunto è l’uomo; egli indossa una lunga tunica rossa che arriva sotto le ginocchia, un mantello bianco e un paio di stivaletti neri. La moglie é abbigliata con una veste rossa ed è accompagnata da un’ancella che le regge un cofanetto. Alle spalle del marito figura un servo che regge uno scudo. Gli occhi sono delineati da una linea scura e sui volti sono visibili lacrime di colore nero in segno di lutto. Lo sfondo era colorato di blu egizio: ciò denota la ricchezza del committente.
Le tombe
Conosciamo la struttura e la mobilia delle case etrusche grazie alle loro tombe che simulavano le abitazioni con i relativi arredi. Il tipo più comune era la tomba a tumulo (fig.41) che esternamente ha la forma di una collinetta per armonizzarsi perfettamente con il paesaggio circostante e proteggere al contempo la camera funeraria sottostante (ove c’era spazio sufficiente per ospitare da due a quattro tombe). Un esempio è la necropoli della Banditaccia (VII-VI sesto secolo a.C.) Cerveteri (Roma).
La Tomba degli scudi e delle sedie, ivi ubicata, simula con le sue sei camere una casa etrusca del VI secolo avanti C. Nell’area del vestibolo si conservano sedili in tufo con poggiapiedi (fig.42). Le finte travi del soffitto sono in rilievo. Sporgenti sono anche le cornici tutt’ attorno le porte. Ai lati delle pareti ci sono lettini su cui erano posati i corpi dei defunti maschi (le donne erano deposte in casse a sarcofago). I 20 dischi sulle pareti vogliono simulare degli scudi (probabilmente è un’allusione ai trofei conquistati in guerra dal proprietario della camera) (fig.43).
La Tomba dei rilievi, sempre nella necropoli della Banditaccia, apparteneva alla famiglia Matunas. Si tratta di una tomba ipogea (scavata nel sottosuolo). È sorretta da due pilastri quadrangolari, ha un tetto tufaceo a spioventi e si caratterizza per il fatto che tutt’ attorno il perimetro della stanza si possono contare circa 32 spazi destinati ai defunti e 13 loculi, ovvero nicchie, ove erano sistemati i familiari più importanti (fig.44).
Sui pilastri e attorno ai loculi compaiono simulazioni in stucco di scudi, elmi, spade, asce, vasi e altri oggetti che facevano parte dei corredi funerari. I colori in origine erano sgargianti: rosso, giallo, azzurro. I loculi vogliono alludere alle klinai greche (vedi lezioni Antica Grecia) perché si credeva che l'aldilà fosse un eterno banchetto. Sono riprodotti anche simulacri di animali domestici come oche e gatti. Da notare la raffigurazione di Tifone, il dio degli inferi (che ritroveremo anche nelle testimonianze pittoriche) con le gambe anguiformi e in compagnia di Cerbero, il cane a tre teste guardiano dell’oltretomba (fig.45) (vedi lezione Antica Grecia Il mito e la religione).
Le pitture parietali
Le testimonianze pittoriche etrusche si trovano all’interno di camere sepolcrali e riguardano soprattutto immagini che celebrano il defunto. Nelle tombe più antiche la pittura era applicata direttamente sulla superficie del muro. Generalmente i personaggi sono dipinti di profilo e sono resi con zone di colore piatto circondate dalla linea di contorno scura. Per dipingere si utilizzavano pennelli ricavati dalla setola gli animali e si coloravano le figure seguendo il segno delle incisioni.
Tomba dei tori Tarquinia (540 a.C.) Necropoli dei Monterozzi Agguato di Achille a Troilo La tomba prende il nome dal soggetto di alcune decorazioni. Questa scena é divisa in due da una palma e si ispira all'Iliade. Achille è nascosto dietro una fontana sormontata da due leoni e sta attendendo l'arrivo del principe troiano Troilo (che indossa il copricapo e i calzari etruschi) per tendergli un agguato: secondo la profezia, infatti, Troia non sarebbe stata espugnata se il fanciullo avesse compiuto vent'anni. Quest'ultimo incede da destra su un cavallo la cui lenta andatura comunica la tranquillità del principe che lo sta conducendo (fig.46). L'animale è rappresentato in modo sproporzionato perché ha le zampe molto lunghe. In alto, su una striscia soprastante, sono riprodotte scene erotiche che rimandano al desiderio sessuale provato da Achille alla vista del fanciullo (fig.47). Seppur stilizzata la realtà è rispettata e ci sembra quasi di ammirare una pittura vascolare.
Tomba degli àuguri (VI secolo a.C.) Tarquinia Necropoli dei Monterozzi Le figure questa volta giganteggiano sulla parete e, dunque, non sono più riprodotte solo in una fascia centrale. Al centro figura la porta che conduce all'oltretomba mentre ai lati ci sono due àuguri, disposti in maniera simmetrica, che stanno celebrando un funerale (fig.48).
Accanto é rappresentata una scena di lotta perché durante i riti funebri si svolgevano competizioni sportive, banchetti, danze, lotte tra animali in onore del defunto (fig.49). La linea di contorno è molto marcata. A sinistra è visibile un arbitro con un bastone ricurvo. Uno dei personaggi protagonisti é PHERSU (fig.50), un uomo mascherato spesso rappresentato in scene di giochi funebri etruschi: una teoria collega questo personaggio alle rappresentazioni teatrali che si svolgevano in occasione di funerali di personaggi facoltosi. Phersu indossa abiti molto particolari consoni al costume di un attore: la veste rossa e corta e il cappello a punta.
Tomba della caccia e della pesca (V secolo avanti C.) Necropoli dei Monterozzi Tarquinia L'ambiente si caratterizza per le scene di caccia e di pesca. Ci troviamo dinanzi ad un importante documento iconografico che testimonia come gli uccelli si catturassero con le fionde(fig.51). Sulla barca figurano dei pescatori circondati da delfini: secondo antiche leggende questi ultimi accompagnavano l'anima del defunto nell'aldilà (fig.52).
La scena occupa tutta la parete di fondo: nella parte superiore i defunti proprietari della tomba stanno celebrando un banchetto (imbandito in onore della loro morte: vedi spiegazione successiva relativa ai banchetti). La donna è riccamente ingioiellata e ha una acconciatura elaborata. Insieme al marito sta mangiando e bevendo mentre alcuni suonatori allietano la scena. Ci sono anche servi e serve all'opera (fig.53).
Sulle pareti c'è anche una scena che illustra un tuffatore e che vuole alludere al passaggio dell’anima del defunto nell'oltretomba (fig.54). La pittura precede di poco il tuffatore di Paestum (vedi lezione Antica Grecia L’arte): ciò denota l'influenza dell'arte etrusca su quella della Magna Grecia.
Tomba François di Vulci (II a.C.) Necropoli di Ponte rotto Roma villa Albani Collezione Torlonia Questa tomba, sempre in provincia di Viterbo, prende il nome dal suo scopritore che l'ha rinvenuta nel XIX secolo. Sono rappresentate scene di scontro che mettono a confronto episodi dell'Iliade con le guerre condotte dagli Etruschi contro Roma. In Achille sacrifica due prigionieri troiani durante le cerimonie funebri di Patroclo, l'eroe acheo sta colpendo a morte con un pugnale un prigioniero troiano (fig.55). A sinistra la dea alata Vanth (vedi sitografia) attende di portarlo via nell'oltretomba. Al centro risalta l’orribile Charun (vedi paragrafo il demone Charun e la sua eredità) dal naso adunco e dal colore livido tipico dei cadaveri, armato di martello. Sull'altro lato, a questa scena ne corrisponde un'altra che raffigura una battaglia tra Etruschi e Romani e, in particolare gli eroi vulcenti Aulo Vibenna e Mastarna, futuro re di Roma col nome di Servio Tullio. Essi sono ripresi mentre lottano contro soldati romani: la storia, dunque, si intreccia con il mito (fig.56).
Il proprietario della tomba di nome Vel Saties, avvolto in un prezioso mantello, appare mentre sta consultando il parere degli àuguri chiamati a interpretare il volo del picchio trattenuto da un giovane servo (fig.57).
Tomba del Tifone (fine II secolo a.C.) Necropoli di Monterozzi Tarquinia La tomba apparteneva alla famiglia Pumpu. La copertura imita un soffitto cassettonato. Viene rappresentato un mostruoso gigante alato nell'atto di sorreggere il soffitto. Ha i capelli anguiformi, le ali e le gambe che terminano con delle spire ed è rappresentato nudo. La linea di contorno è molto marcata e trasmette l'idea di dinamismo e di drammaticità: l'aldilà non è più considerato un ambiente sereno ove trascorrere l'eternità, bensì un luogo inquietante popolato da mostri terribili (fig.58). È come se gli Etruschi avessero intuito la fine della loro civiltà e la loro imminente assimilazione a quella romana. Ricordiamo, inoltre, che Tifone era un essere malvagio contro il quale aveva combattuto Zeus.
La produzione vasaria
Gli Etruschi erano molto rinomati per la produzione di buccheri, vasi di ceramica di colore nero e lucidi ottenuti seguendo una procedura molto particolare che mira ad imitare il metallo (materiale all’epoca considerato molto prezioso) (fig.59). La cottura del manufatto avveniva in assenza di ossigeno: all'interno del forno si bruciavano i ciocchi di legno resinoso così da liberare l'ossido di carbonio. Questo andava poi a combinarsi con l'ossido di ferro rosso presente nell'argilla diventando così ossido ferroso nero. Tutta la superficie del vaso assumeva un colore sicuro su cui poi si incidevano motivi decorativi geometrici, figure umane e animali. Il bucchero inizialmente era destinato al simposio ed era apprezzato in particolar modo dalle classi aristocratiche. Probabilmente le prime produzioni facevano capo ad una bottega in cui lavoravano maestranze greche o che comunque si erano formate in Grecia.
Il museo è sito nella residenza costruita da Jacopo Vignola, Giorgio Vasari, Bartolomeo Ammannati nel XVI secolo per Papa Giulio III. Si trova sulla via Flaminia. La costruzione si avvale di un particolare porticato a forma di emiciclo. Alla fine dell'Ottocento Felice Barnabei ebbe l'idea di restaurarla per ospitare reperti di civiltà preromane tra cui quella etrusca. Lo scopo era perlopiù didattico. Gran parte del patrimonio vi è affluito agli inizi del XX secolo dopo la scoperta dei siti di Veio e Cerveteri; a questo si sono aggiunti vasi greci importati dagli Etruschi. Grazie all'acquisizione della vicina Villa Poniatowski (fig.61), avvenuta nel 2012, il Museo Nazionale di Villa Giulia è diventata la collezione italiana più importante riguardante la civiltà etrusca.
Il cibo
L'Etruria era molto famosa per la fertilità delle sue terre: produceva soprattutto cereali in grande quantità. Gli Etruschi bonificavano le campagne e irrigavano i campi coltivati. Molto diffusi erano il farro e l' orzo . I cereali to eranostati, battuti e macinati per preparare pappe e polente, da qui l'epiteto di pultiphagi con cui venivano chiamati gli Italici dagli orientali. Alle polente di farine si mescolavano acqua e latte e, a piacimento, uova, miele, verdure, bocconcini di carne e pesciolini. Pensate che in epoca di carestie Roma si approvvigionava di grano dall'Etruria! Un pane molto particolare era il panis picentinis ottenuto con il succo di uva passa : si poteva mangiare solo se inzuppato nel latte e miele. Accanto ai cereali, alimento base dell'alimentazione etrusca, c'erano legumi, ceci, lenticchie, fagioli, fave . I legumi erano utilizzati per le zuppe o per ottenere farine alternative per ricavare pani e focacce. La dieta ricca di proteine vegetali e carboidrati era integrata con frutta, verdura, latticini, carne di pecora, di capra e di suino (i maiali erano allevati al suono di strumenti musicali). La pianura padana all'epoca era popolata da querceti e faggi . Per quanto riguarda la frutta sappiamo che da Cartagine arrivava una particolare varietà di ciliegie chiamata cerasum aproniamus , dal nome di Apronio , un cittadino di Perugia che ne aveva contribuito alla diffusione. Le melagrane erano molto presenti nelle case degli aristocratici. Si consumavano anche noci, castagne, fichi, cornioli . Molto rinomata era la frutta secca (destinata all'esportazione). Il formaggio era molto apprezzato, soprattutto la ricotta. Famosissimo era il formaggio di Luni che si avvaleva addirittura di un marchio che ne certificava la provenienza e il pregio. Nei corredi funerari sono state ritrovate grattugie perché c'era l'usanza di grattugiare il formaggio nel vino e di aggiungere a quest'ultima le spezie, così come facevano i Greci (vedi lezione antica Grecia Alimentazione e sport) . Dall'ottavo secolo aC si sono importati cannella, pepe, coriandolo . Gli Etruschi erano anche dei rinomati apicultori: il miele era impastato nelle focacce, ma era utilizzato anche in campo farmaceutico. Il lino coltivato serviva a fabbricare le reti da caccia. L'allevamento era praticato in ambito familiare e riguardava i suini, i bovini, il pollame (galli, galline, faraone, oche, papere, colombe, anatre). Nella tomba Golini I ad Orvieto (metà quarto secolo a.C.) é visibile un bovino macellato appeso al gancio, la cui testa è a terra (fig.62).
I buoi venivano macellati in vecchiaia, quando ormai non servivano più a trainare aratri e carri (il divieto era però spesso aggirato dalle classi aristocratiche). I buoi venivano preferiti ai cavalli perché più resistenti al duro lavoro nei campi. Dall'incrocio delle razze migliori si è ottenuta la chianina, tutt'oggi apprezzata. Gli Etruschi esportavano prosciutti nella zona della Val padana. Cacciavano cinghiali attirandoli spesso con il suono di strumenti musicali. Si cacciava con giavellotti,lance, spade e spiedi. Si mangiavano anche i ghiri: dopo essere stati catturati, venivano rinchiusi in vasi di terracotta provvisti di fori in modo da assicurare la circolazione dell'aria (pratica ereditata dai Romani). La pesca nei corsi d'acqua interni veniva esercitata da tutti i ceti perché non necessitava di un equipaggiamento costoso necessario, invece, per poter pescare in mare. Sui dipinti che effigiano le pareti della tomba della caccia e della pesca di Tarquinia (VI secolo a.C.) è visibile una scena di caccia alle anatre con la fionda (fig.51). Si pescavano tonni, lucci, pesce spada. I metodi di conservazione erano la salamoia, l’affumicamento e la riduzione in salsa. Gli utensili per la pesca erano: fiocine, tridenti, reti e arpioni in bronzo. Sulle ceramiche etrusche troviamo spesso decorazioni con delfini mentre su alcune monete di Populonia erano rappresentati i polpi. Con il miele si credeva di pagare il viaggio nell'aldilà. Le uova si mangiavano da sole, lessate, o si utilizzavano per le frittate. Avevano una valenza simbolica perché alludevano alla rinascita, così come mostra la pittura parietale della tomba dei Leopardi a Tarquinia (480 a.C.) necropoli Monterozzi (fig.63): l’uomo a destra (rimasto in vita) sembra cedere l'uovo alla figura femminile a sinistra voltata verso di lui (la defunta) forse per alludere alla speranza di vita oltre la morte.
Gli utensili in cucina
Nei corredi funerari risalenti al periodo tra il VII e il VI secolo a.C. sono stati ritrovati vasi di ceramica e utensili per cucinare le carni. Le cucine erano presenti solo nelle case dei ricchi dove c'erano forni per la cottura e magazzini riservati alla conservazione di derrate alimentari. I cibi venivano bolliti sui fornelli oppure arrostiti su fiamme o sulle braci con l'ausilio di spiedi (oreloi). Si utilizzavano anche pinze, attizzatoi, coltelli e grandi forchettoni dai rebbi arcuati. Strumenti da cucina sono stati rinvenuti in corredi funerari appartenenti anche a donne (al contrario, in Grecia, sono presenti solo in quelli maschili). C'erano anche gli scaldavivande. Per versare il vino c'era l’oinochoe (fig.64) mentre per berlo si utilizzavano gli skiphoi (fig.65).
Pregiati contenitori di cereali, olio, vino sono stati ritrovati all’interno di corredi funerari perché alludevano allo status symbol del defunto. L’olio di oliva all’inizio era usato solo per scopi sportivi (vedi lezione antica Grecia Alimentazione e sport) o per l'illuminazione: a Cortona è stato infatti ritrovato un lampadario (fig.66) con 16 beccucci (ognuno corrispondente ad una zona del cielo governata dagli dèi) con ampolline che contenevano il combustibile. Un altro uso era quello cosmetico. Le olive erano molto apprezzate come alimento, tanto è vero che in un relitto ritrovato al largo dell'isola del Giglio sono stati rinvenuti noccioli contenuti in anfore.
I servizi da tavola
Tra gli oggetti che componevano i servizi da tavola ricordiamo:
-i thina, contenitori in cui si mischiavano acqua e vino. Potevano avere un coperchio e contenere anche le ceneri del defunto;
- il larnas, una giara senza anse per contenere bevande, olio, cereali;
-il chulichna, vaso da simposio che conteneva il vino cui attingevano i commensali;
-l’hydria, grande contenitore per acqua a tre manici;
-l’oinochòe o prochum, brocca per versare il vino o acqua nelle coppe degli invitati;
-la patera (fig.67), una scodella bassa a forma di piatto che aveva un rialzo corrispondente ad un foro sulla parte retrostante in modo da poterla afferrare. Era usata durante le libagioni in onore delle divinità;
-il simpulum (fig.68), un mestolo per attingere i liquidi.
Il cibo veniva servito in ciotole e piatti posti sulle trapeze, tavolini a treppiedi collocati vicino ai klinai, i letti conviviali. Quello più consistente come carne, frittata, formaggi, pane, focaccia e frutta, era disposto in piatti poco profondi. Le ciotole più profonde, invece, contenevano cibi liquidi come zuppe, minestre, ecc. I foculi (fig.69) erano invece dei vassoi col bordo rialzato che servivano a mantenere calde le vivande dato che erano riscaldati da braci ardenti. Queste stoviglie potevano essere realizzate sia in bucchero (vedi paragrafo L’arte etrusca) che in argilla refrattaria. Sulla tavola c’erano anche piccoli contenitori con all’interno salse, spezie (rosmarino, pepe, menta, etc.).
Il graffione (fig.70) era uno strumento usato per arrostire le carni senza infilarle negli spiedi. Qualche studioso ipotizza il suo uso come strumento portatorce dato che è stato rinvenuto nelle mani dei defunti, quasi come se avesse la funzione di illuminare la strada verso l'aldilà. Una curiosità: gli Etruschi mangiavano con le dita dato perché forchette e coltelli erano utilizzati solo in cucina: il cibo era servito nei piatti già tagliato.
I banchetti
Non abbiamo documenti scritti per quanto riguarda i banchetti etruschi. Il tema però è molto presente negli affreschi tombali, al contrario di quanto avveniva nell'antica Grecia. A queste manifestazioni conviviali partecipavano anche le donne, in compagnia dei mariti. Gli inservienti, vestiti di tutto punto, erano pronti a fornire agli invitati acqua per lavare le mani e salviette. Gli ospiti appaiono sdraiati sui klinai, alla maniera greca. La cerimonia era allietata dal suono di strumenti musicali e da danze sensuali. La ricchezza della tavola etrusca è testimoniata dal vasellame pregiato, dalla raffinatezza dei cibi e dal numero dei domestici servitori. Il simposio (vedi Lezione Antica Grecia Alimentazione e sport) avveniva dopo il banchetto. Tra le testimonianze iconografiche sull’argomento ricordiamo il coperchio di urna monoansata (670- 650 a.C.) rinvenuto a Montescudaio vicino Pisa Valdicecina Firenze Museo Archeologico Nazionale (fig.71). Accanto ad un personaggio seduto di fronte ad un tavolo appare una schiava raffigurata con dimensioni più piccole (l’usanza di banchettare sdraiati comparirà qualche decennio più tardi). Il tavolo è rotondo, a tre zampe e su di esso ci sono pani e focacce. A lato si trova un dinos, il recipiente in cui si mescolavano acqua e vino. Forse si voleva alludere ad un banchetto che aveva luogo nei Campi Elisi, cui stava partecipando il defunto. In genere i convitati non sono rappresentati nell'atto di mangiare, ma hanno in mano vasi potori, (da cui bevevano il vino) come la patera, che offrono ai compagni. L’aria era profumata da incensieri. Il vino veniva raffreddato immergendo il contenitore in un bacile con dentro neve o acqua fresca; i servitori lo attingevano con l’ausilio di ramaioli per poi filtrarne i residui con dei colini (fig.72) e, dopo averlo mescolato con l’acqua negli oinochoai, lo versavano nelle coppe dei convitati.
Il banchetto era allietato da giochi come il cottabo (vedi lezione Antica Grecia Alimentazione e sport). Nella tomba della caccia della pesca (Tarquinia) 510 a.C. necropoli Monterozzi (fig.73) appaiono un committente e sua moglie seduti uno di fronte all'altro. L'uomo ha in mano una PHIALE (vedi sitografia). Il servo si dirige verso il cratere per attingere il vino mentre uno schiavo sta suonando uno strumento a fiato. Sul dipinto appaiono anche oggetti di uso quotidiano come la cesta e lo strumento della lira. La moglie indossa abiti eleganti di colore verde oliva e lussuose scarpe a punta, molto in voga tra le classi più abbienti. Sul capo ha il tutulus, copricapo di origine orientale (vedi paragrafo La condizione femminile). L'ancella sta intrecciando una corona.
Nella tomba Golini I di Orvieto i servi stanno preparando un banchetto in cui fanno da protagoniste le melagrane. Essi tagliano la carne a ritmo del flauto. I tavoli hanno zampe equine. Un servo sta triturando a destra delle spezie aromatiche (fig.74). Nella sala del banchetto Ade e Persefone, insieme ai familiari del defunto, stanno attendendo l’arrivo di quest’ultimo su un carro. Su un tavolo a tre zampe ci sono vasi che servono a contenere il vino, altri sono portati da un servitore nudo (fig.75).
Il vino
Probabilmente in origine il vino era importato: lo possiamo dedurre dalla presenza di anfore greche rinvenute in tombe di aristocratici. Gli Etruschi forse lo hanno iniziato a produrre a partire dall'VIII secolo avanti C. Era molto denso, alcolico e aromatico. L'acqua vi era mescolata in quantità doppia e spesso era addolcito col miele. Lo chiamavano VINOM o VINM. Dio del vino era Fufluns (fig.76), il cui simbolo originariamente era il kantharos, ma con il passar del tempo ha acquisito tutti gli attributi di Dioniso: i pampini, il tirso e l'edera. Pensate che l'antico nome di Populonia era Fufluna! Dal sesto secolo a.C. il vino si diffonde anche tra le classi meno abbienti. Era molto apprezzato quello di Luni. Dai Greci verrà ereditata la pratica del simposio (vedi lezione Antica Grecia Alimentazione e Sport). La bevanda era esportata in grandi quantità nella Gallia meridionale (Francia del Sud), la Sicilia e la Corsica. Una curiosità: era particolarmente apprezzata una qualità di Moscato dal sapore dolcissimo.
Già a partire dal VI secolo a.C. le donne etrusche non svolgono più solo il ruolo di madri, ma iniziano ad uscire dalle mura domestiche per partecipare alla vita pubblica. Mentre a Roma le donne erano identificate col nome della gens cui appartenevano, in Etruria esse mantenevano il nome proprio. Oggetti, come nel caso degli specchi, spesso riportavano incisioni con il nome della proprietaria: questo ci rivela che le donne erano in grado di leggere. Al Museo Gregoriano Etrusco presso i Musei Vaticani è custodita una olla, che serviva a contenere alimenti, ove si legge la scritta “mi ramuthas kansinaia”, ovvero “io sono di Ramutha Kansinai”. Le donne benestanti si facevano effigiare sui coperchi dei sarcofagi o sulle pareti tombali: le immagini e i reperti dell'epoca ci hanno tramandato un'idea di donna raffinata, colta, amante dei piaceri e del lusso, molto attenta nel curare il proprio aspetto, che sperimentava acconciature elaborate, indossava gioielli preziosi e ricopriva un ruolo importante a livello familiare e sociale.
Sarcofago di Larthia Seianti (150-130 a.C.) Museo Archeologico Nazionale di Firenze (fig.77) La donna veste una lunga tunica stretta in vita; indossa vistosi orecchini a forma di disco e un’armilla (bracciale d'oro) e regge in mano uno specchio. È ripresa nell’atto di scostarsi il velo dal viso, gesto che allude allo status di donna sposata.
Nei corredi funerari sono stati rinvenuti oggetti che rimandano alla filatura e alla tessitura (attività cui erano dedite le donne benestanti, assistite dalle ancelle), specchi, gioielli, unguentari e morsi di cavallo. Quest'ultimo reperto fa ipotizzare che le donne etrusche si muovevano in piena autonomia anche per viaggiare senza la compagnia di un maschio della famiglia.
Busto di donna ritratta nell'atto del compianto funebre (VI secolo a.C.) Chiusi Museo Nazionale Etrusco) (fig.78) Statue e ritratti ci mostrano una grande varietà di pettinature: molto di moda erano le trecce che pendevano sul seno o i capelli lunghi portati all'indietro in modo da ricadere dietro le spalle.
Nella tomba delle bighe di Tarquinia (Boston Museum of Fine Arts) (fig.79) osserviamo che in una delle tribune dalle quali gli spettatori assistono ai giochi sportivi ci sono donne di diverse età e anche una coppia in cui la moglie abbraccia l'uomo: si tratta di un gesto molto moderno perché denota la parità dei sessi.
Se la donna etrusca partecipava a spettacoli, ai giochi e ad eventi pubblici altrettanto frequentemente prendeva parte a banchetti. Tutto ciò suscitava scandalo nel mondo contemporaneo perché a Roma e in Grecia (vedi lezione Antica Grecia Le donne il teatro) le uniche donne ammesse e banchetti erano le etere. Orazio (vedi sitografia) accusava l’uomo etrusco di essere succube della moglie. Teopompo (vedi sitografia), storico greco, ricorda in maniera spregiativa come le donne etrusche tenessero in particolare considerazione la cura eccessiva per il proprio corpo, facevano esercizi ginnici da sole o in compagnia di uomini e soprattutto, la cosa che suscitava maggior scandalo, era che durante i banchetti non si sedevano vicino al marito ma accanto al primo venuto per brindare alla salute di chicchessia. Lo scrittore le accusa di essere delle forti bevitrici e sottolinea la bellezza del loro corpo. A parte la considerazione sul loro splendido aspetto fisico, evidente nelle raffigurazioni che ci sono pervenute, tutto il resto delle accuse è infondato. Aristotele stesso afferma, infatti, che durante i banchetti etruschi ogni marito giaceva sotto il manto con la propria moglie. Dai calici e brocche appartenenti a corredi funerari è emerso come in verità probabilmente amassero il vino. I matrimoni erano combinati per stipulare alleanze tra famiglie potenti; alla donna aspettava la conduzione della casa, la gestione delle ancelle e delle risorse alimentari, l'educazione dei figli, la tessitura e la filatura. Simboli di appartenenza all'aristocrazia erano il flabello (ventaglio) e il parasole con cui si riparava nelle giornate roventi. Teopompo probabilmente non apprezzava il fatto che le etrusche fossero libere dalla tutela di padri e mariti e che potessero trasmettere il proprio nome ai figli insieme a quello del marito oltre al fatto che possedevano schiavi e gestivano attività produttive. Nonostante tutto quello che si è detto gli studiosi però concordano sul fatto che la società etrusca non fosse affatto matriarcale perché nelle iscrizioni prevalgono i nomi dei padri; tuttavia, sono certi del fatto che le donne godevano di una libertà sconosciuta alle loro contemporanee, libertà che avrebbero perso nel momento in cui la loro civiltà sarà inglobata in quella romana.
Oggetti di bellezza
Le donne etrusche usavano molto gli specchi perché li consideravano indispensabili strumenti di bellezza: nei corredi funerari ne sono stati ritrovati in gran numero, dotati di manici, insieme a pinzette per depilarsi, spilloni, alabastra (vasi in alabastro che contenevano profumi e unguenti), collane, armille, strigili. Questi oggetti erano custoditi in cistae alte fino a 50 cm, in bronzo e in rame, o in cofanetti di avorio. Un esempio di cista molto famosa é la Cista ficoroni (IV secolo a.C.) Museo Etrusco Nazionale Villa Giulia (fig.80) decorata con la scena di Polluce che sconfigge Amico (episodio tratto dal mito degli Argonauti). In alto, sul coperchio, ci sono tre statuette di Dioniso che danza con due satiri. Rinvenuto a Preneste (vicino Roma), il manufatto deve il nome al suo scopritore, Francesco Ficoroni, che l'ha portata alla luce nel 1738. Un'iscrizione rivela che la cista era un dono di nozze della madre Dindia Macolnia alla figlia.
Per quanto riguarda lo specchio (fig.81) il suo uso era diffuso anche tra gli strati più bassi della popolazione, ovviamente in una versione meno raffinata. Era un prezioso dono di nozze in bronzo, oro o argento. La superficie convessa restituiva un'immagine più piccola e più precisa. I manici erano fabbricati in avorio o in osso. La forma tonda, più diffusa, ricordava il sole. Sul retro era riportato il nome della proprietaria insieme a scene mitologiche con protagonisti Afrodite, Paride ed Elena, eccetera. Quando si rompevano venivano riparati.
Donne etrusche nella storia
Tanàquil
Donna etrusca di origine aristocratica vissuta tra il VII e il VI secolo a. C. , sposa Lucumone , figlio di Demarato di Corinto, un ricco commerciante che si era trasferito a Tarquinia dalla Grecia per portare avanti le sue attività commerciali (vedi paragrafo quadro storico) . I due coniugi decidono di trasferirsi a Roma (al tempo una comunità di pastori che vivevano in capanne) perché nella loro città si poteva aspirare a ricoprire importanti cariche pubbliche solo se si apparteneva a famiglie di origini etrusche e di nobili natali. Lucumone evidentemente non poteva fare carriera perché non aveva questi requisiti. Al contrario Roma era un centro in piena espansione ove chiunque poteva fare fortuna senza incorrere in pregiudizi. Si racconta che, una volta aggiunti sul Gianicolo, un'aquila in volo abbia sottratto il cappello a Lucumone per poi farglielo ricadere sulla testa: da brava aruspicina qual era, Tanaquil lesse in tutto questo un parere favorevole degli dèi circa il futuro politico del marito . I due coniugi si insediarono sul Campidoglio e seppero ingraziarsi i favori di Anco Marzio (allora il quarto re di Roma), cosicché Lucumone potè far carriera aiutata dalle sue ricchezze e dalla abilità politica di Tanaquil. Divenne così consigliere reale e capo della cavalleria per poi essere eletto re di Roma col nome di Tarquinio Prisco alla morte di Anco Marzio. Tanaquil si legò molto al figlio della sua schiava di guerra Ocrisia (il cui nome, secondo alcune fonti, era Mastarna ) al punto da adottarlo. Si racconta che il bambino fu protagonista di un evento portentoso: quando era ancora nella culla lo si vide circondato dalle fiamme, ma ne uscì sorprendentemente illeso. E' da questo episodio che l'aruspicina Tanaquil comprese che Mastarna era destinata ad un futuro glorioso. Si incaricò della sua educazione e, quando Tarquinio Prisco fu ucciso durante una congiura ordita dai figli di Anco Marzio, la regina fece in modo di farlo eleggere come re col nome di Servio Tullio a ricordare le sue umili origini di schiavo. Tanaquil in queste circostanze si comportò da abile stratega perché fece in modo di non far trapelare subito all'esterno la notizia della morte del re per permettere a Servio Tullio di organizzare al meglio la presa del potere. Messa alle strette, la regina fu costretta a fare un'arringa alla folla che, saputa la notizia della morte di Tarquinio, aveva iniziato ad accalcarsi di fronte al palazzo. La leggenda narra che Tanaquil aveva pronunciato il discorso affacciata da una piccola finestrella. Grazie alle sue abilità retoriche ella seppe persuadere il popolo ad accettare temporaneamente Servio Tullio come reggente e, successivamente, a farlo diventare il sesto re di Roma. La figura di Tanaquil é rimasta così impressa nella memoria collettiva da far coniare l'espressione “ quiritare dalla finestrella”, ovvero arringare una folla composta da quiriti, cioè i romani. L'episodio sta ad indicare il carisma e la decisione che contraddistinguevano la sovrana. Tuttavia, col passare del tempo, la tradizione ha edulcorato questa figura storica perché ne ha obliato le capacità politiche per sottolinearne solo il ruolo matronale. Nel primo secolo a.C. Tanaquil era ricordata da una statua di bronzo vestita con una tunica di lana con in mano una conocchia e un fuso: quest'opera era stata fatta realizzare da Servio Tullio in ricordo della madre che aveva tessuto personalmente la tunica di lana che rivestiva la statua della Dea fortuna cui era dedicato il tempio fatto erigere dal re. Questo è solo uno dei tanti esempi di come una società patriarcale abbia trasformato nel corso del tempo una regina dalle abili capacità diplomatiche in una mera matrona protettrice delle virtù domestiche.
La moda etrusca
Gli Etruschi influenzeranno la moda romana: introducono infatti la tebenna, il mantello ricamato e decorato a strisce antenato della famosa toga romana. Ess iIndossavano già vesti color porpora, erano abili gioiellieri e lavoravano l’oro con la tecnica della granulazione, ovvero saldavano su una base liscia tanti piccoli granelli d'oro in modo da creare un effetto scintillante. Questa danzatrice sulla tomba dei giocolieri (500 a.C.) (fig.83) Tarquinia indossa stivali a punta molto in voga all'epoca e un chitone orlato (lunga tunica). L'acconciatura risente dell'influenza minoica (vedi lezione civiltà minoica), indossa bracciali ed orecchini enormi. Un motivo decorativo molto apprezzato sugli abiti consisteva in tre cerchi. I capelli erano lunghi e raccolti in trecce o in chignon e intrecciati con nastri. I mantelli erano variopinti. I ricchi usavano parasoli protettivi (moda mutuata dalla Persia) e scarpe di cuoio a punta che rivelano l'influenza della moda greca e persiana. Caratteristico era il titulus, copricapo di forma conica.
Benvenuti al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma! Vi racconto la mia visita…
Per la storia e la descrizione del cortile con portico leggere il paragrafo Breve storia della museografia.
Per la descrizione delle capanne leggere il paragrafo Le case
Per gli Etruschi pirati leggere il paragrafo Rinomati pirati
Per gli ex voto leggere il paragrafo La medicina
Per cosmesi e bellezza delle donne etrusche leggere il paragrafo La condizione femminile
Per il Sarcofago degli Sposi leggere il paragrafo L'arte (purtroppo parte del coperchio é in restauro)
Per lamine di Pyrgi leggere il paragrafo Carenza fonti scritte
Per lo specchio leggere il paragrafo Oggetti di bellezza
Per la cista Ficoroni leggere il paragrafo Oggetti di bellezza
Per i ramaioli e la patera leggere il paragrafo dedicato ai banchetti
Per Apollo di Veio leggere il paragrafo L'arte
Coniglio all'etrusca e dessert fantasia primavera:
Ubicato nel Palazzo della Crocetta, il Museo comprende reperti che provengono dalla Toscana, dal Lazio e dall'Umbria. Si avvale anche di ua preziosa collezione egizia e di vasi greci rinvenuti in tombe etrusche.
Visita al museo di Tarquinia
Necropoli dei Monterozzi (Tarquinia):
Per le unità di apprendimento sulla condizione femminile all'epoca degli Etruschi:
Una storia al femminile di Rossella Carpentieri contenuta nel testo Storia di ieri, mondo di oggi Corso di Storia antica e medievale di F. Cioffi e A. Cristofori Edizioni Loescher, 2022.
Per cultura villanoviana:
https://it.wikipedia.org/wiki/Cultura_villanoviana
Per Fabio Pittore:
https://it.wikipedia.org/wiki/Quinto_Fabio_Pittore
Per Verrio Flacco:
https://it.wikipedia.org/wiki/Verrio_Flacco
Per guerra dei socii:
https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_sociale
Per carme 39 Catullo:
https://www.versionitradotte.it/versioni/catullo/page/2/
Per Posidonio:
https://it.wikipedia.org/wiki/Posidonio
Per le case degli Etruschi:
https://youtu.be/Egs1_gI8mw4?si=HT4NKAzkAqFWE_RA
https://youtu.be/6Jue3FPVfYE?si=zkbqhKVV7aejAJqG
Per le città etrusche:
https://youtu.be/LxDi56s0iEo?si=0VmH6FSkVI8KPbAD
Per le armi degli Etruschi:
https://youtu.be/YjtnIunMaW0?si=lV8Xsq-KzV2owPbI
Per il Fanum Voltumnae:
Per Charun:
https://pilloledifolklore.org/2021/06/08/charun-folklore-etrusco/
Per la religione etrusca:
https://youtu.be/xDcUatU6y-I?si=Jxzzbc4MTX-Zo0h8
Per il tempio etrusco:
Per acroterio:
https://it.wikipedia.org/wiki/Acroterio
Per antefissa:
https://it.wikipedia.org/wiki/Antefissa
Per il sarcofago degli sposi:
https://youtu.be/ifWgscU_c1A?si=QJTM7NN9pB0Q2hy3
Per Apollo di Veio:
Per Chimera di Arezzo:
Per Bellerofonte:
https://it.wikipedia.org/wiki/Bellerofonte
Per la tomba dei rilievi:
https://youtu.be/1AV-cynqS-8?si=6QgKdKcDC28ONOWp
Per la dea Vanth:
https://www.treccani.it/enciclopedia/vanth_(Enciclopedia-dell'-Arte-Antica)/
Per le tombe etrusche:
Per la necropoli della Banditaccia:
Per banchetti e cucina etrusca:
Per la phiale:
https://it.wikipedia.org/wiki/Phiale
Per alimentazione Etruschi:
Per la donna etrusca:
https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/donna-etrusca-libera-bellissima-moderna
Per Orazio:
https://it.wikipedia.org/wiki/Quinto_Orazio_Flacco
Per Teopompo:
https://www.treccani.it/enciclopedia/teopompo-di-chio/
Per la donna etrusca:
Per gli Etruschi e i Greci:
https://youtu.be/7fZAy39whVw?si=1_k4JpBQ_29pCs32
Fig.01 https://it.wikipedia.org/wiki/Tabula_Cortonensis#/media/File:Cortona_Tablet.jpg
Fig.03 https://www.museoetru.it/opere/lamine-doro-da-pyrgi
Fig.04 https://it.wikipedia.org/wiki/Etruschi#/media/File:Etruscan_civilization_italian_map.png
Fig.05 https://orsolinescuolablog.wordpress.com/2018/04/16/larchitettura-delle-citta-etrusche/
Fig.06 https://www.archeomedia.net/michele-zazzi-origine-etrusca-del-fascio-littorio/
Fig.07 https://bertolamifineart.bidinside.com/it/lot/18524/etruria-populonia-late-3rd-century-bc-/
Fig.08 https://www.museoetru.it/etru-a-casa-veio/anforetta-di-bucchero
Fig.09 https://www.studiarapido.it/case-etrusche-come-erano-fatte/
Fig.10 https://www.nauticareport.it/dettnews/report/gli_etruschi_e_il_mare-6-4346/
Fig.11 https://www.nauticareport.it/dettnews/report/gli_etruschi_e_il_mare-6-4346/
Fig.14 https://fr.wikipedia.org/wiki/Fichier:Marte_di_todi,_fine_del_V_sec_ac._02.JPG
Fig.15 https://www.skuola.net/storia-antica/lingua-etrusca.html
Fig.17 https://www.labellarivoluzione.it/2022/08/24/lantico-gioco-degli-astragali/
Fig.18 https://museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com/2014/05/21/tagete-chi-era-costui/
Fig.19 https://www.museoetru.it/etru-a-casa-aiser/novembre-e-il-dio-suri
Fig.22 https://www.centrostudilaruna.it/zosimo-gli-aruspici-venuti-da-narnia.html/aruspice
Fig.23 https://www.archeomedia.net/luciano-proietti-il-fegato-di-piacenza-e-la-geografia-della-tuscia/
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Fig.25 https://www.tuttomaremma.com/roselle.htm
Fig.26 https://dituttoenientefabio.wordpress.com/2021/08/03/urbanistica-romana/
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Fig.42 https://www.canino.info/inserti/monografie/etruschi/etruschi_tuscia/cerveteri/scudi_sedie.htm
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Fig.46 https://it.wikipedia.org/wiki/Troilo#/media/File:Etruscan_mural_achilles_Troilus.gif
Fig.47 https://tarquiniaturismo.com/tomba-dei-tori/
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Fig.49 https://tarquiniaturismo.com/tomba-degli-auguri/
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Fig.51 https://tarquiniaturismo.com/tomba-della-caccia-e-della-pesca/
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Fig.54 https://tarquiniaturismo.com/tomba-della-caccia-e-della-pesca/
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Fig.62 https://journals.openedition.org/mefra/8047
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Fig.66 https://www.accademia-etrusca.org/oggetto/lampadario/
Fig.68 https://museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com/tag/simpulum/
Fig.69 https://www.lombardiabeniculturali.it/reperti-archeologici/schede/50050-00084/
Fig.71 https://mostre.sba.unifi.it/bellezza-salvata/it/20/museo-archeologico
Fig.73 https://www.pinterest.it/pin/461830136782589638/
Fig.74 https://web.uniroma1.it/polomuseale/node/6393
Fig.75 https://www.aboutumbriamagazine.it/2017/03/03/la-pittura-etrusca-area-volsiniese/
Fig.76 https://www.museoetru.it/etru-at-home-aiser/febbraio-e-il-dio-fufluns
Fig.78 https://cultura.gov.it/luogo/museo-nazionale-etrusco-necropoli-di-poggio-renzo-e-tomba-del-colle
Fig.79 https://collections.mfa.org/objects/200829
Fig.81 https://romeguides.it/2023/09/08/gli-specchi-etruschi/
Fig.82 https://it.wikipedia.org/wiki/Tanaquil#/media/File:Domenico_Beccafumi_-_Tanaquil_-_WGA1539.jpg
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