Antica Roma Le origini, l'età monarchica, l'età repubblicana Storia- Religione-Cinema e teatro

Antica Roma Le origini, l'età monarchica, l'età repubblicana Storia- Religione-Cinema e teatro

Le origini

La regione che attualmente corrisponde al Lazio è stata abitata da diverse popolazioni appenniniche, tra cui i Latini, un popolo di pastori che occupò l'area corrispondente ai Colli Albani, il Circeo e la parte bassa del Tevere. In questa zona sorsero tanti villaggi indipendenti che però condividevano le stesse pratiche religiose e la stessa lingua (fig.01)

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fig.01

Queste popolazioni si riunirono in un'alleanza dal nome di Lega Latina che aveva scopi difensivi e religiosi. A capo della confederazione c'era la città di Alba Longa (attuale Castel Gandolfo). I Latini erano bravi agricoltori, allevatori di maiali, pecore, api. Per quanto riguarda la nascita di Roma (il cui nome forse deriva dall’etrusco e significa “città del fiume” o “città della collina”) gli studiosi hanno rinvenuto tracce di un villaggio risalente all’ VIII secolo a.C. la cui posizione geografica risultava ottimale perché sorgeva sul Palatino, un colle scosceso e facilmente difendibile a ridosso del fiume Tevere che fungeva da via di accesso al Mar Tirreno dall'entroterra (fig.02)

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fig.02

A nord delle foci c'erano poi le saline, fonte di ricchezza perché il sale permetteva di insaporire i cibi e conservarli più a lungo. Le capanne in cui abitavano queste antiche popolazioni erano costruite con pali di legno e argilla mescolata alla paglia ed essiccata al sole, erano circondate da frutteti e dotate di un pozzo d'acqua, recinti per animali, forni per produrre oggetti di ceramica (fig.03).  Ad un certo punto gli abitanti del Palatino hanno cominciato a popolare anche i colli limitrofi (Esquilino, Capitolino, Viminale, Celio Quirinale) (fig.04).

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fig.03
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fig.04

Si racconta che quando Crono fu spodestato da Zeus (vedi lezione antica Grecia Il mito-La religione), si rifugiò nei boschi del Lazio: qui egli avrebbe preso le sembianze di un contadino di nome Saturno (il “seminatore”) per insegnare agli uomini l'arte dell'agricoltura. Gli altri dèi venerati in questa prima fase della storia romana erano: Giano, il dio bifronte, Fauno (fig.05) e Silvano, divinità legate al mondo dei boschi. 

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fig.05

Secondo la leggenda, avvalorata da ritrovamenti archeologici, Roma è stata fondata nel 753 a.C. da Romolo che fu anche il primo re; tra i suoi antenati c’era l'eroe Enea il quale, fuggito dall'incendio di Troia con il padre Anchise e il figlio Iulo, dopo varie peripezie sbarcò nel Lazio (fig.06). Qui Iulo avrebbe fondato la città di Albalonga.

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fig.06

 

L’età monarchica: i sette re

Romolo (753-716 a.C.)

Presso Albalonga sorgeva il tempio dedicato a Giove. Secondo la leggenda il re della città Proca ebbe due figli maschi: Numitore e Amulio. Quest'ultimo conquistò il potere con la forza e scacciò il fratello dal regno. Non solo: durante una battuta di caccia ne fece assassinare il figlio in modo tale da non avere concorrenti. L'unica discendente rimasta era la nipote Rea Silvia, figlia di Numitore. Amulio la fece nominare vestale (vedi lezione antica Roma Le origini- L’età monarchica-L’età repubblicana L’arte-la condizione femminile- Il teatro e l’opera) così da costringerla alla verginità: in questo modo la fanciulla non avrebbe generato pericolosi discendenti che potevano reclamare un giorno il trono di Albalonga. Ma l'usurpatore non aveva fatto i conti con gli dèi perché Marte si innamorò follemente della bella vestale e dalla loro unione nacquero Romolo e Remo (fig.07)

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fig.07

Accortosi dell'inganno e spaventato dalla nascita dei gemelli (allora considerata un evento miracoloso perché raro) Amulio mise in una cesta i due fratelli e li abbandonò nelle acque del fiume (la vicenda assomiglia molto ai natali di Perseo vedi lezione antica Grecia Il mito- La religione).  Si dice che Rea Silvia fu sepolta viva (condanna destinata alle vestali che infrangevano il voto di castità) o annegata nel Tevere. La cesta, sicuramente per volontà degli dèi, finì con impigliarsi tra i rami di un fico selvatico (da cui il soprannome di fico ruminale, divenuto pianta sacra). Miracolosamente, una lupa che aveva appena partorito, si avvicinò agli infanti e iniziò ad allattarli. Un pastore di nome Faustolo vide la scena e capì che si trattava di un prodigio voluto dagli dèi (fig.08). La lupa scomparve cosicché il pastore decise di prendere in custodia i piccoli, raggiunse la sua casa sul Palatino e da quel giorno se ne prese cura insieme alla moglie Acca Larenzia. La capanna in cui hanno dimorato i due gemelli divenne nota col nome di tugurium faustoli (fig.09) ed è stata considerata un luogo sacro fino alla fine dell’Impero romano.

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fig.08
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fig.09

Fino qui abbiamo raccontato la ben nota leggenda, ma esiste una versione più verosimile sull'accaduto secondo la quale Faustolo era il servo incaricato da Amulio di uccidere i gemelli. Il nonno Numitore lo pregò di salvarli cosicché il pastore li affidò segretamente a sua moglie Acca Larenzia che, a quanto pare, era chiamata la Lupa (soprannome dato alle meretrici) perché si prostituiva con i pastori dei boschi.  Romolo e Remo, dunque, crescono in una comunità di pastori che vivevano di saccheggi ed erano in continua guerra con i popoli limitrofi. Proprio durante una razzia Remo é fatto prigioniero dai pastori al servizio di Numitore, portato ad Alba Longa e condannato a morte da Amulio (fig.10)

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fig.10

Il giovane però é riconosciuto dal nonno per un intervento divino e, in seguito, é tratto in salvo da Romolo accorso in suo aiuto. Il perfido zio viene ucciso e i due gemelli restituiscono al nonno il trono. Ma Romolo e Remo non si accontentarono di vivere nella città che li aveva espulsi, ma ne vogliono fondare una nuova su cui regnare. Nell'impresa sono accompagnati da pastori, forestieri, girovaghi, gente che non aveva nulla da perdere ma anche da esponenti dell'aristocrazia di Alba Longa. Viene deciso che chi tra i due fratelli avvistava per primo un volo di uccelli sarebbe stato il fondatore della nuova città. Fu così che dalla cima dell'Aventino Remo scorse uno stormo di sei avvoltoi che volavano da sinistra (segno fausto) ma Romolo dal Palatino ne vide dodici. In più, subito dopo, si sentì il fragore di un tuono e cadde una folgore: era chiaro che Giove aveva decretato il vincitore. Remo protestò dicendo che era stato lui ad avvistare per primo il segno inviato dagli dèi e dunque era lui il predestinato. Nella zuffa che ne seguì egli perse la vita. La storia di Roma, dunque inizia purtroppo con un lugubre fratricidio. Livio riporta anche la versione secondo la quale Remo, per compiere un oltraggio al fratello, oltrepassò il confine che Romolo aveva tracciato con l'aratro, il cosiddetto pomerium. Questo gesto significava sfidare gli dèi (vedi lezione Gli Etruschi) e per questo venne ucciso per mano del fondatore.  L’episodio avvenne il 21 Aprile 753 a.C. Per espiare la sua colpa Romolo istituì una festa detta Lemuria, in occasione della quale si scacciavano con riti magici i fantasmi che uscivano dall'oltretomba. Durante il rito di fondazione di Roma venne scavata una fossa dentro cui ogni futuro cittadino gettò una zolla raccolta dalla terra di provenienza; tutte le zolle furono poi rimescolate così come sarebbe accaduto ai futuri abitanti che, se pur di origini differenti, si sarebbero amalgamati (fig.11).  

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fig.11

Dal momento che i romani erano un popolo di pastori privo di ricchezze sufficienti per essere barattate in cambio di future mogli, bisognava ora risolvere il problema della carenza di donne, cosicché, con la scusa di una celebrazione religiosa, si invitarono in città i Sabini, una popolazione limitrofa. Tutti gli uomini potevano partecipare alla festa a patto di entrare a Roma disarmati per motivi religiosi. Durante i festeggiamenti si scatenò appositamente un tumulto. Le donne sabine ospiti della festa vennero rapite: tra questi c'era Ersilia, futura moglie di Romolo. I sabini mossero allora guerra ai romani e cercarono di entrare di nascosto in città con l'aiuto della vestale Tarpea (vedi lezione Antica Roma Le origini- L’età monarchica-L’età repubblicana L’arte-la condizione femminile-Il teatro e l’opera). Infuria così una feroce battaglia fino a quando intervennero le donne sabine, mogli ormai dei romani e figlie e sorelle dei sabini, il loro popolo di origine.  Esse supplicheranno le due fazioni di arrivare alla pace perché nel caso di vittoria di uno o dell’altro avrebbero comunque compianto i loro cari (fig.12).

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fig.12

I due popoli fecero allora la pace e si fusero in uno solo. Romolo e Tito Tazio (re sabino) condivisero il trono: in futuro Roma, a ricordo di questo, verrà governata da due consoli. I confini della città inclusero i colli del Celio e del Quirinale. Tazio fu ucciso a tradimento e il suo corpo fu sepolto in un bosco di allori sull'Aventino. La figlia Tazia sposò il secondo re di Roma Numa Pompilio.  Secondo la tradizione Romolo promulgò una costituzione in cui 100 patres familias appartenenti alle famiglie più ricche e prestigiose andarono a costituire il Senato (letteralmente “assemblea di anziani”). Essi faranno parte dei patrizi mentre chi non aveva privilegi era la schiera dei plebei (per la maggior parte populus,cittadini liberi ma privi di diritti politici).  Romolo divise i cittadini in tre tribù: Ramni (forse di origine etrusca), Tizi, Luceri. Ognuna si suddivideva in dieci curie; ciascuna di esse doveva fornire al re contingenti militari. Il potere era nelle mani dei patres familias che decidevano del destino dei figli finché erano in vita (potevano anche ucciderli o venderli come schiavi). Erano obbligati ad allevare tutti i figli maschi e la prima delle figlie femmine (le altre potevano esporle ovvero abbandonarle). Ma come è morto Romolo? Plutarco ci racconta che sparì all'improvviso un 7 di luglio. Circolava la voce che in un giorno di tempesta, quando tutti gli elementi naturali erano in subbuglio, svanì senza lasciare alcuna traccia, rapito dagli dèi ed assunto a dio col nome di Quirino. Questa era la versione fatta circolare dai patrizi: forse in realtà lo avevano ucciso proprio loro, mal disposti a sopportarne il potere crescente. A lui fu consacrato il Colle del Quirinale. Secondo alcuni la sua tomba sarebbe il lapis niger (fig.13), un cippo coperto da marmo nero in segno di lutto ubicato nel foro romano e che riporta un'iscrizione risalente al VI secolo a. C. con un'antica maledizione.

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fig.13

Numa Pompilio (715-673 a.C.)

Dopo la morte di Romolo, dopo una breve esperienza che ha visto coinvolti a turno i senatori nel governo provvisorio di Roma, si decise di affidare la carica di re a Numa Pompilio, un sabino di quarant'anni, la cui moglie Tazia era figlia di Tito Tazio, il re dei sabini che aveva governato con Romolo. Si dice che Numa Pompilio fosse molto saggio e prudente e che addirittura fosse consigliato da una sorta di spirito guida, la ninfa Egeria (fig.14)

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fig.14

Egli aveva la sua casa regia sul Palatino e una sul Quirinale. Secondo la leggenda sotto il suo imperio un giorno cadde dal cielo un immenso scudo di legno, segno che Marte proteggeva Roma: l’ oggetto andava dunque custodito e protetto a mo’ di talismano; ciò fu il motivo per cui Numa diede ordine di replicare l’originale in  undici copie date poi in consegna ai Saliari, un ordine sacro che aveva il compito ogni primo marzo (il mese del dio della guerra) di portare gli scudi in giro per la città e nel frattempo danzare e recitare una cantilena magica in latino arcaico che tenesse lontane le forze infauste con la protezione di Marte. Numa introdusse i culti religiosi, tra cui anche la festa delle vestali (vedi lezione antica Roma L’ arte- La condizione femminile- Il teatro e l’opera), i giorni fasti e quelli nefasti (durante i quali non si facevano azioni pubbliche perché vietate). Numa fu il primo dei re romani che assunse anche la carica religiosa di pontifex. In origine i pontefici erano in numero di cinque e appartenevano a famiglie patrizie. Nei secoli successivi anche i plebei riusciranno ad accedere alla carica grazie alla lex Ogulnia del 300 a.C. quando da cinque diventeranno nove. Il termine pontifex significa costruttore di ponti: evidentemente si vuol alludere alla capacità di questi sacerdoti di creare un legame tra il mondo dei vivi e quello delle forze divine. I pontefici erano incaricati di custodire le leggi ed interpretarle. Il capo supremo della congregazione si chiamava pontefice massimo: alla fine di ogni anno veniva esposta davanti la sua casa una tavola sbiancata con la calce su cui erano riportati i nomi dei magistrati in carica insieme agli eventi avvenuti ritenuti degni di essere ricordati (gli annales). Ogni romano in epoca repubblicana che voleva scalare il potere era obbligato a rivestire la carica di pontefice massimo (come nel caso di Giulio Cesare e Augusto). In età arcaica si sono istituiti anche i Flamini (vedi paragrafo la religione). Numa fece inoltre erigere il santuario di Giano (vedi paragrafo la religione) in una zona del Foro. Muore a 80 anni. Fu sepolto sul Gianicolo accompagnato da una solenne processione.

Tullio Ostilio (673-641 a.C.)

Tito Livio (vedi sitografia) descrive Tullio Ostilio come assai più feroce di Romolo.  Questo re diede il nome di Celio a un colle boscoso, popolato da querce, in onore dell'etrusco Celio Vibenna che lo aveva aiutato ad ascendere al potere. Distribuì le terre ai braccianti aumentando così il numero di cittadini che poteva permettersi di acquistare le armi e militare così nell'esercito. Il suo regno è divenuto celebre per lo scontro con la città di Alba Longa cui è legata la leggenda degli Orazi e Curiazi. Si narra che il re di Alba Longa morì improvvisamente mentre stava guidando il suo esercito contro Roma e al suo posto venne eletto il dittatore Mettio Fufezio, il quale propose di risolvere la faida tra i due popoli con un duello tra i tre gemelli di Alba Longa, i Curiazi, e i trigemini di Roma della famiglia degli Orazi (fig.15)

 

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fig.15

Nel duello i due Orazi muoiono, ma feriscono gravemente gli avversari. L'Orazio superstite si rende conto di essere rimasto l'unico fratello in vita e inizia a correre inseguito dai tre Curiazi ringalluzziti al pensiero di avere la vittoria in tasca. Dopo averli seminati l’Orazio li attaccò separatamente con colpi ben assestati. Fu così che li sconfisse tutti e tre, vinsero i Romani e Alba Longa divenne suddita di Roma perché fu obbligata a rifornirla di contingenti militari in caso di guerra. In seguito, Mettio Fufezio venne ucciso perché colpevole di tradimento nei confronti di Roma in guerra con Fidene. Alba Longa fu distrutta e tra gli abitanti che si trasferirono a Roma ci furono molti aristocratici che entrarono a far parte del Senato: tra questi c'era la gens Iulia cui apparterrà Giulio Cesare. La leggenda narra che Tullio Ostilio morì fulminato da Giove perché aveva compiuto un rito sacrificale senza rispettarne il cerimoniale: in realtà morì ucciso e gli assassini, prima di fuggire, appiccarono il fuoco all’edificio in cui si trovava. 

Anco Marzio (641-616 a.C.)

Anco Marzio (fig.16), quarto re di Roma, ha voluto la costruzione del porto di Ostia (“bocca”, “foce”) e del Pons Sublicius che metteva in comunicazione le due sponde del Tevere (fig.17). La struttura fu edificata completamente in legno per motivi sia pratici che religiosi. In caso di assedio, infatti, sarebbe stato più facile segarlo per impedire ai nemici di arrivare nel cuore della città. Era privo di elementi in ferro perché questo materiale era solitamente lavorato per produrre armi e dunque non poteva essere utilizzato per costruire un qualcosa che dovesse fungere da tramite tra il mondo degli uomini e quello degli dèi (era questa la funzione del ponte per la religione romana). Anco Marzio era nipote di Numa Pompilio, l'ultimo re sabino, e si dice che avesse fatto parte della congiura ordita per assassinare il precedente re Tullo Ostilio. Anco Marzio ebbe il merito di far incidere su tavole le leggi sacre di Numa per poi esporle in mezzo al foro (purtroppo però non ne è rimasta alcuna traccia perché si era utilizzato il legno, materiale deperibile).  Creò un esercito organizzato e ben addestrato, fortificò l'Aventino (popolato da piante di alloro e per questo chiamato Lauretum) e incoraggiò il trasferimento a Roma delle popolazioni sconfitte. Morì di vecchiaia dopo aver regnato per ben 25 anni.

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fig.16
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fig.17

Tarquinio Prisco (616-579 a.C.) (fig.18)

Tarquinio Prisco era di origini etrusche (vedi lezione Gli Etruschi). Il suo vero nome era Lucumone, ma quando si trasferì a Roma con la moglie Tanaquil assunse il nome romano di Lucio Tarquinio Prisco. Sul Gianicolo Tarquinio fu oggetto di un segno divino che lo indicò come futuro re di Roma. In seguito, divenne consigliere di Anco Marzio e alla sua morte, mentre i figli del defunto re furono abilmente allontanati dalla città, si fece riconoscere come sovrano dai comizi riuniti. È stato il primo della storia a pronunciare un discorso elettorale. Riuscì a raggiungere i suoi obiettivi grazie alle ricchezze possedute, distribuite opportunamente, e ai consigli della moglie.  Durante il suo regno Tarquinio Prisco nominò cento nuovi senatori, costruì le installazioni lignee del futuro Circo Massimo e fu il primo ad inaugurare i circenses (giochi sportivi, tra cui le gare ippiche). Ricordiamo che all’epoca i ludi romani duravano un solo giorno per poi estendersi fino a 15 giorni. Fece costruire la cloaca Maxima (da “cluere” = bonificare) il cui sbocco era costituito da un arco a triplice ghiera di conci: a proteggere la fogna era la dea Cloacina fig.19.

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fig.18
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fig.19

Servio Tullio (578-535 a.C.)

Anche di questo re ho trattato nella lezione dedicata agli Etruschi . Secondo alcune fonti era figlio di Odrisia, un'aristocratica di Corniculum fatta prigioniera dai Romani. Praticamente il ragazzo, dopo essere stato oggetto di eventi prodigiosi, fu adottato da Tanaquil e Tarquinio Prisco ed ascese al trono in seguito all'omicidio di quest'ultimo, anche grazie alle abilità politiche e dialettiche della regina la quale, rimasta vedova, gli diede in sposa la figlia. Servio Tullio, il cui nome ricorda le sue origini di schiavo, ha riempito la città di Roma di templi dedicati alla dea Fortuna . Gli Etruschi però raccontano un'altra versione delle sue origini: il suo vero nome era Mastarna . Feroce avventuriero, fu compagno di Celio e Aulo Vibenna (vedi sitografia)  che avrebbe aiutato ad evadere dalle prigioni romane. L'impatto della componente etrusca sulla cultura romana divenne molto forte a partire dal trasferimento di questa popolazione all'interno di Roma, in particolare nel quartiere chiamato per l'appunto vicus etruscus . Ricordiamo inoltre che gli aruspici e gli auguri etruschi a Roma erano i più esperti ei più richiesti nell'arte divinatoria. All'inizio Servio si presentò al popolo romano come tutore di Lucio e Arrunte, i due figli di Tarquinio Prisco. Solo, in seguito, si fece eleggere re. La cinta muraria che fece erigere comprendeva tutti i colli della città. Con una legge obbligò le classi più ricche a contribuire per larga parte alle spese militari: divise infatti il ​​popolo in cinque classi in base alla ricchezza. Ogni classe venne ripartita in centurie, ossia gruppi di cento uomini che si schieravano in battaglia in blocchi compatti ed eleggevano un loro comandante chiamato centurione . La classe più ricca ovviamente era quella maggiormente equipaggiata. Coloro i quali non avevano i mezzi economici sufficienti per armarsi erano chiamati proletari : erano esentati dal servizio militare, ma non avevano diritti politici. Durante l'assemblea delle centurie, chiamata comitia centuriata , ogni centuria esprimeva un voto. Essendo le prime due classi, le più ricche, le più numerose é chiaro che i loro voti erano quelli che alla fine decidevano le sorti della città. Servio Tullio morì assassinato per mano del figlio di Tarquinio Prisco (secondo alcune versioni il nipote), il quale diventerà il futuro re di Roma con il nome di Tarquinio il Superbo . Complice dell'omicidio fu la figlia di Servio Tullio di nome Tullia minore . Quest’ultima e Tarquinio, infatti, si alleano per eliminare i reciproci sposi e uccidere il re. Tarquinio convocò i comizi (cosa che poteva fare solo il sovrano) per dichiarare deposto Servio Tullio, ma il suo piano non ebbe successo perché il popolo appoggiò il re in carica. Tuttavia, Tarquinio non fu punito e finse di pentirsi del suo gesto. Nel 535 a.C. ci riprova osando sedere sul trono con le insegne imperiali durante una seduta del Senato convocato illegalmente, Quando Servio Tullio accorre cerca con la forza di far alzare l'usurpatore dal trono, ma viene da lui trascinato fuori dall'aula con la forza e scagliato giù per le scale (fig.20). Finirà pugnalato a morte dai seguaci e, secondo la leggenda, è stato calpestato dal carro su cui viaggiava la figlia traditrice (la strada, a ricordo, fu chiamata sceleratus vicus). Il corpo fu fatto seppellire fuori città per motivi scaramantici. 

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fig.20

Tarquinio il Superbo (535-509 a.C.)

Il nuovo re non riuniva il Senato, non nominava nuovi senatori, né convocava i comizi, ma amministrava da solo Roma e questo ovviamente non andava a genio al popolo che prese a odiarlo per il suo carattere dispotico ed arrogante. Fece alleanze con i Latini, sconfisse varie città sabine, i Volsci e completò il tempio dedicato a Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio che era stato iniziato da Servio Tullio: tutti i bottini di guerra erano qui deposti e ivi terminavano le processioni trionfali dell'esercito di Roma quando tornava vittorioso. Era qui che i consoli assumevano la loro carica e si racconta che proprio in questo tempio erano custoditi i Libri Sibillini contenenti le profezie dettate dalla Sibilla Cumana. Secondo la leggenda il merito della cacciata dei re da Roma con l'esilio di Tarquinio Superbo si deve a Lucrezia (vedi lezione Antica Roma Le origini- L’età monarchica-L’età repubblicana L’arte-La condizione femminile- Il teatro e l’opera). In seguito all'episodio, che vede protagonista il suicidio della ragazza violata da Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, il popolo indignato si ribella al tiranno che viene esiliato dalla città insieme ai figli, fatta eccezione per Sesto Tarquinio che finì ucciso dagli abitanti di Gabi presso cui aveva cercato rifugio. Da questo momento i comizi centuriati dichiararono decaduta la monarchia e nominano due consoli in carica per un anno per governare la città: i primi della storia di Roma sono stati Lucio Giunio Bruto (lo “sciocco”) e Collatino (il marito di Lucrezia). Quest'ultimo dovette però rinunciare all'incarico assai presto perché era un Tarquinio. Ma la storia non finisce qui perché Tarquinio Il Superbo cercò invano di ritornare a Roma con la complicità dei figli di Bruto i quali, essendo stati scoperti, furono condannati alla flagellazione e alla decapitazione davanti al padre che non poté fare nulla per salvarli (il bene dello Stato per il codice di comportamento dei romani veniva prima dell'amore filiale) (fig.21).

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fig.21

Tarquinio non demorde e muove Veio e Tarquinia contro Roma. Infine ricorre a Porsenna, il re di Chiusi che era a capo di una confederazione di città etrusche, promettendogli che, in caso di vittoria, Roma si sarebbe a lui sottomessa. Porsenna risulta vittorioso (vedi lezione Gli Etruschi) , ma viene a patti: la città non sarà invasa militarmente ma dovrà pagare un tributo e disarmare l'esercito. Più tardi Porsenna sarà sconfitto nella guerra contro Ariccia (alleatasi con il tiranno greco Aristodemo di Cuma) per cui Roma divenne di nuovo libera e continuerà ad espandersi nel Lazio. Tarquinio morì a Cuma l'anno dopo essere stato sconfitto per l'ennesima volta dai romani nella battaglia avvenuta nel 496 a.C. presso il lago Regillo

L’età repubblicana

Nel 509 a.C., all'indomani della cacciata di Tarquinio il Superbo, Roma diventa una repubblica aristocratica. Si nominano due consules, eletti annualmente dai comizi curiati, ognuno dei quali aveva poteri di veto sull'altro. Detenevano inoltre poteri civili e militari: convocavano le riunioni al Senato, mantenevano l'ordine pubblico, applicavano le leggi, condannavano i cittadini per i reati commessi, guidavano l'esercito in guerra e stipulavano trattati di pace e alleanze. Le magistrature romane si caratterizzavano per tre caratteristiche fondamentali:

  1. la temporaneità: i consoli duravano in carica un anno, ma potevano essere rieletti per non più di due anni consecutivi;
  2.  la collegialità: su ciascuna carica vigilavano almeno due o più uomini al fine di ottenere un maggiore controllo e la garanzia di un equilibrio. Quando c’era un disaccordo prevaleva chi si opponeva all'esecuzione di un'azione. Nei casi di estrema emergenza in cui c'era in ballo la sicurezza del popolo si affidavano per sei mesi pieni poteri ad un dictator;
  3. l'elettività: ogni carica era scelta dalla votazione dei comizi. Al termine del mandato si doveva procedere con un'altra elezione. 

I magistrati erano controllati nello svolgimento del loro operato perché alla fine del mandato, se avevano commesso errori o reati, potevano essere processati o condannati. Siccome non si riceveva alcun compenso per il lavoro svolto è chiaro che poteva aspirare alla carriera politica solo chi era di estrazione aristocratica: il fulcro del potere, dunque, era nelle mani del Senato che decideva in materia di politica estera, controllava l'operato dei magistrati e, in caso di emergenza e pericolo, eleggeva il dictator. Compito dei senatori (“uomini di età matura”) era quello di verificare che le leggi proposte fossero conformi alle tradizioni di Roma. La carica di senatore era a vita. Oltre ai consoli altre cariche erano:

i pretori: amministravano la giustizia e promuovevano gli editti; 

i questori: controllavano e gestivano la riscossione delle tasse e il denaro pubblico;

 i censori: facevano i censimenti al fine di decidere l'importo delle tasse da far pagare a ciascun cittadino; successivamente vigileranno sull'onestà dei magistrati.

In età repubblicana acquisiscono importanza i comizi centuriati che eleggevano consoli, pretori, censori e potevano approvare o respingere le leggi proposte dei magistrati. Avevano diritto anche di esprimersi in merito alla stipula di trattati di pace, dichiarazioni di guerra e condanne capitali. Tuttavia, ciò che decidevano i comizi centuriati poteva essere approvato o respinto dal Senato.

Le conquiste in Italia

Roma nel V secolo secolo a.C. dovette fronteggiare le popolazioni unite in una Lega Latina ostile alla sua espansione nel centro Italia. Il conflitto si concluse con la pace del 493 a.C. in cui si stabiliva la supremazia di Roma sulla Lega e l'assistenza militare reciproca in caso di guerra (foedus cassiano).  Nel 430 a.C. uno schieramento di Romani e Latini conquista gli Equi e i Volsci. L'espansione nel centro Italia continua con la sconfitta di Veio nel 396 a.C. (vedi lezione Gli etruschi). Dopo una lunga guerra Roma diviene padrona del Lazio, ma un altro pericolo era all'orizzonte: i Sanniti, una popolazione guerriera suddivisa in tribù riunite in una confederazione militare. Nel IV secolo a.C. si erano insediati nella Campania e nella Magna Grecia venendo a scontrarsi con i romani che li hanno combattuti nelle tre guerre sannitiche (343- 290 a.C.). Se i Sanniti furono sconfitti fu anche grazie all'alleanza con le popolazioni limitrofe (fig.22). 

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fig.22

Fondamentale è stata la costruzione della via Appia (da Roma a Capua) per lo spostamento delle truppe. In questo momento storico Roma si estendeva anche nelle Marche, nella Puglia e in Etruria. Nel 390 a.C. i Galli senoni giungono alle porte di Roma guidati da Brenno (vedi sitografia) per saccheggiare la città ma furono allontanati grazie al pagamento di un lauto tributo. Le città della Lega Latina cercarono di approfittare del momento per sconfiggere definitivamente la rivale (guerra latina) e chiedono la revisione dei vecchi trattati. Roma ebbe tuttavia la meglio: nel 340 a.C. il suo dominio comprendeva anche il Lazio. Tutti i popoli erano stati sconfitti separatamente. Nel 280 a.C. la città di Taranto chiese aiuto a Pirro, re dell'Epiro (fig.23), per respingere l'invasione dei Romani. Nonostante le vittorie conseguite a Eraclea nel 280 a.C. e ad Ascoli Satriano nel 279 a.C. Pirro firmò la pace con i Romani perché le perdite si erano rivelate ingenti (da qui il detto “E’ una vittoria di Pirro” per indicare un successo ottenuto, ma il suo conseguimento ha comportato perdite sproporzionate rispetto al successo stesso). Dopo essere stato duramente sconfitto dai cartaginesi in Sicilia, il re dell'Epiro fu battuto dai romani nella battaglia di Malevento nel 275 a.C. (la località da quel momento prese il nome ben augurante di Benevento).

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fig.23

In seguito alla ritirata delle armate di Pirro, Taranto venne conquistata dai romani nel 272 a.C. Roma insegue nel frattempo l’espansione verso nord sottomettendo le ultime città etrusche rimaste libere arrivando così ad occupare un territorio che andava da Rimini a Messina. Ma come furono organizzati i nuovi domini? Il territorio si divise in: colonie, municipi,città federate (fig.24).  

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fig.24

Le colonie erano città nuove e si distinguevano in romane e latine. I cittadini delle colonie romane godevano dei diritti civili e politici: si recavano a Roma per partecipare ai comizi esprimendo i loro voti e potevano ricoprire cariche pubbliche. Gli abitanti delle colonie latine avevano origini latine, non godevano di diritti politici ma detenevano i diritti civili: ad esempio potevano contrarre matrimonio con cittadini romani e vedere riconosciuta la cittadinanza ai figli. I municipi erano insediamenti abitati da popolazioni latine fedeli a Roma: mantenevano le proprie leggi, versavano tributi, fornivano uomini all’ esercito e in caso di vittoria avevano diritto alla spartizione del bottino. Non tutti godevano dei pieni diritti politici: per esempio solo gli abitanti di alcuni municipi potevano votare nei comizi. Le città federate non erano abitate da Latini ed erano alleate di Roma; attraverso una serie di trattati dovevano subire saltuariamente l'occupazione di guarnigioni, erano esentate dal pagare tributi e in caso di guerra dovevano rifornire Roma di uomini e navi. I romani non volevano apparire come un popolo di dominatori per cui cercarono di assimilare i popoli sottomessi grazie alla concessione della cittadinanza romana nel caso in cui fossero stati meritevoli di fiducia perché avevano dato prova di fedeltà. L’immenso territorio era percorso da una rete di strade (fig.25) lastricate costruite secondo il modello etrusco: dopo aver fatto un sopralluogo dell'area interessata intervenivano gli agrimensori, i quali tracciavano il percorso e lo segnalavano con dei pali conficcati nella terra. La larghezza doveva permettere almeno il passaggio contemporaneo di due carri affiancati (tra i quattro e i sei metri). La parte centrale del tracciato era più alta rispetto ai lati per permettere all'acqua, in caso di pioggia, di defluire verso i bordi laterali. Dopo aver scavato il terreno fino ad arrivare ad uno strato roccioso più impermeabile vi si ponevano sopra delle pietre grosse, sopra ancora uno strato di pietre più piccole ed infine sabbia e ghiaia (fig.26). Dal 123 a.C. divenne obbligatorio segnalare ogni miglio con ceppi militari ad una distanza di circa 148 m l’uno dall’altro. Per i viaggi brevi si utilizzavano carri a due ruote, per tutti gli spostamenti quelli con quattro ruote. Lungo le strade c'erano le stationes (stazioni di posta), le mansiones (locande per la notte), le mutationes (fermate per cambiare i cavalli). 

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fig.25
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fig.26

Lotte tra patrizi e plebei

All'inizio dell'età repubblicana si assiste all'interno della società romana al contrasto tra patrizi e plebei .  I patrizi erano il ceto dominante, l'unico che godeva di tutti i diritti civili e politici: hanno la supremazia militare, sono i soli a spartirsi il bottino ottenuto con le conquiste territoriali. I plebei avevano l'obbligo di combattere in guerra ma non il diritto di godere dei frutti delle vittorie, appannaggio solo degli aristocratici, neanche dell'ager publicus  (spartizione delle terre conquistate). Quella parte della plebe che col passare del tempo era riuscita ad accumulare ricchezze inizia però a reclamare il godimento dei diritti politici e l'accesso all'agro pubblico. Fino a questo momento le due classi sono state completamente separate. L'unico rapporto ammesso era quello della clientela in base alla quale un plebeo si sceglie un patrizio come suo patrono (protettore): in cambio di vari servizi (anche prestazioni in natura) quest'ultimo gli concede la sua protezione, la rappresentanza in tribunale ed aiuti economici. Mentre i plebei più abbienti chiedevano la parità giuridica con i patrizi, quelli più indigenti reclamavano una revisione delle leggi in merito alla riduzione in schiavitù per debiti in caso di insolvenza. Nel 494 a.C. i plebei decisero, nel bel mezzo delle numerose campagne militari portate avanti da Roma, di rifiutarsi di andare a combattere: ebbe così luogo la secessione dell'Aventino (dal nome del colle su cui si ritirarono in segno di protesta). Nel corso delle assemblee che vi si susseguirono essi istituirono un nuovo organo istituzionale chiamato concilio della plebe che aveva il compito di eleggere dei propri magistrati chiamati tribuni della plebe . Questi ultimi alla fine entrarono a far parte delle magistrature romane: tra i loro compiti c'erano quelli di difendere i plebei dalle decisioni arbitrarie prese dai patrizi e porre il veto a decisioni che minacciavano di rivelarsi dannose per il popolo. Il Concilio della plebe si esprimeva attraverso decreti chiamati plebisciti . Nel corso del tempo i tribuni passarono da due a dieci ed erano inviolabili: nessuno poteva cioè far loro del male, pena la confisca dei beni e la condanna a morte. Venne creò inoltre un'altra magistratura, gli edìli ,i quali avevano il compito di gestire e custodire gli archivi con i plebisciti e il tesoro comune della plebe custodito sull'Aventino, si occupavano della manutenzione delle strade e dell'edilizia pubblica e dell' organizzazione di spettacoli pubblici. Nel 451-450 a.C. per la prima volta le leggi furono incise su tavole di bronzo (leggi delle XII tavole) (fig.27) poi esposte nel foro romano. Il fatto che fossero scritte significava che erano consultabili da tutti e tutelate dall'arbitrio dei patrizi. 

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fig.27

Nel 445 a.C. con la legge Canuleia vengono legittimati i matrimoni misti tra patrizi e plebei, successivamente si permise a questi ultimi di diventare questori. Nel 367 a.C. con le leggi Licinie- Sestie si ridussero i debiti contratti dai plebei più poveri e si stabilì a 500 iugeri il massimo dell'estensione delle terre di agro pubblico che si potevano possedere. I plebei potevano diventare consoli e si finì con lo stabilire in seguito che su due consoli uno doveva essere plebeo. Nel 326 a.C. questa classe sociale poté accedere alla carica religiosa del pontificato. La legge Ortensia del 287 a.C., infine, sancì che tutte le decisioni prese dal Concilio della plebe dovevano essere valide anche per i patrizi.

Le guerre puniche

L'espansione di Roma nel Mediterraneo causò immediatamente lo scontro con Cartagine, una città fondata dai coloni fenici (da cui il nome di punici attribuitogli dai romani) nell' 800 a.C. sulla costa settentrionale dell'Africa nei pressi dell'odierna Tunisi. Centro fiorente, nel III secolo a.C. possedeva gran parte della Sicilia, la Sardegna, la Corsica, le coste meridionali della Spagna (fig.28)

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fig.28

Dotata di una flotta potentissima, era governata da un senato e due magistrati eletti annualmente. Anche l'esercito era abbastanza forte: reclutava soldati mercenari mentre i comandanti uscivano dalla scuola ellenistica. Nel 264 a.C. i Mamertini, soldati mercenari che avevano occupato Messina, chiedono aiuto ai romani perché insidiati dalla città di Siracusa alleatasi con Cartagine. Ha inizio la prima guerra punica (fig.29) alla fine della quale Roma costrinse Siracusa alla resa, conquista Agrigento e parte dei territori cartaginesi in Sicilia. Durante il conflitto i romani sperimentano l'utilizzo dei corvi, ponti ribaltabili che venivano estesi dopo aver agganciato le navi nemiche trasformando lo scontro navale in un corpo a corpo (fig.30).

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fig.29
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fig.30

Dopo circa vent'anni di guerra i cartaginesi, in seguito alle numerose sconfitte, tra le quali la battaglia al largo delle isole Egadi, nel 241 a.C. siglano la pace con Roma. Secondo il trattato Cartagine fu costretta a pagare un'ingente indennità di guerra e a perdere i suoi possedimenti in Sicilia. In seguito, approfittando delle rivolte interne che avevano messo in ginocchio la città africana, Roma conquisterà anche la Sardegna e la Corsica che, insieme alla Sicilia, diventano province romane (originariamente col termine provincia si intendeva la sfera d'azione su cui esercitava il potere un magistrato). Nelle province viene inviato un pretore o un console col compito di amministrare il territorio; spesso questi governatori rimanevano al potere anche per diversi anni successivi alla loro nomina). Nel frattempo, dopo aver combattuto strenuamente i Galli, Roma conquista la città di Milano nel 220 a.C. e fonda Cremona e Piacenza. Inoltre, occupa l'Illiria arrivando così a controllare le coste del Mar Adriatico. Dopo la dura sconfitta subita tuttavia, Cartagine non si dà per vinta e inizia la conquista della Spagna: come primo passo verso la guerra non rispetta l'accordo secondo il quale non doveva, nella sua espansione, andare al di là del fiume Ebro. È infatti Annibale (fig.31), figlio del comandante Amilcare Barca, ad assalire nel 219 a.C. la città di Sagunto alleata di Roma.

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fig.31

Inizia così la seconda guerra punica durante la quale Annibale vuole mettere in atto un piano molto azzardato: invadere l'Italia spingendo alla ribellione le città italiche conquistate da Roma in modo da ottenere il loro aiuto. Dopo aver lasciato in Spagna le truppe al comando del fratello Asdrubale, attraversa i Pirenei, la Gallia meridionale, le Alpi con 38 elefanti (che morirono quasi tutti durante la traversata) (fig.32)

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fig.32

Nel 218 a.C. arriva nella pianura padana e sconfigge gli avversari sul Ticino e sul Trebbia riuscendo poi ad avanzare fino al lago Trasimeno. Nella speranza di portare dalla sua parte quante più città possibili alleate di Roma Annibale scelse di non attaccarla subito ma di spostarsi in Puglia. Vista la gravità della situazione viene eletto dittatore Quinto Fabio Massimo, il quale non si scontrò in campo aperto con gli avversari, ma preferì adottare la strategia della guerriglia (per questo venne soprannominato il “temporeggiatore”).  I romani non tollerarono questo modo di agire e affidarono l'esercito al console Terenzio Varrone, il quale si scontrò a Canne nel 216 a.C. con i terribili avversari uscendone gravemente sconfitto (fig.33). Annibale, nonostante la vittoria, preferì fermarsi a Capua nell’ attesa di rifornimenti dalla madrepatria e nell'intento sempre di siglare alleanze con i nemici di Roma, ma le sue attività diplomatiche non ottennero un buon successo. Roma riesce a riconquistare Siracusa, Capua e Taranto tra il 212 e il 209 a.C. Asdrubale venne cacciato dalla Spagna dall’esercito guidato da Publio Cornelio Scipione (fig.34) che in quattro anni riconquistò il territorio.

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fig.34

Il cartaginese raggiunse il fratello in Italia ma trovò la morte presso il fiume Metauro nelle Marche (207 a.C.). Dopo essere stato eletto console Scipione sbarca in Africa e sconfigge Annibale nel 202 a.C. nella battaglia di Zama grazie anche all'aiuto della Numidia (Algeria). La seconda guerra punica termina con condizioni durissime imposte agli sconfitti: Cartagine perde tutti i possedimenti, consegna ai romani tutti gli elefanti e quasi tutte le navi da guerra, non può dichiarare guerre se non con il previo consenso di Roma; tuttavia, conserva il diritto di commerciare liberamente nel Mediterraneo (fig.35)

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fig.35

Quale fu la fine di Publio Cornelio Scipione? In seguito alla sconfitta di Annibale in terra africana egli venne soprannominato l'Africano. Grazie ai successi militari, al prestigio di cui godeva nell'esercito e alla convinzione di essere protetto dagli dèi conquistò un potere tale da far intravedere al Senato il pericolo di una deriva monarchica. Da questo timore nasce l'iniziativa di vincolare la carriera politica a delle norme ben precise tra le quali ricoprire nel seguente ordine le magistrature curuli: questura, edilità curùle, pretura, consolato con un intervallo minimo di due anni tra l'una e l’altra: così facendo non si poteva diventare consoli prima dei 33 anni. Le province, inoltre, saranno assegnate per sorteggio. La guerra con Cartagine giunse ad una conclusione definitiva nel 146 a.C. quando gli africani, continuamente attaccati dalle incursioni dei numidi alleati di Roma, rompono il trattato di pace e non rispettano l'ultimatum che viene loro imposto ovvero quello di abbandonare la città per fondarne un’altra nell'entroterra. Con questa scusa interviene l'esercito romano, guidato dal nipote di Scipione l'Africano, che assediò Cartagine radendola al suolo: le sue rovine furono cosparse di sale, gesto che voleva alludere al fatto che oramai la sua civiltà, completamente distrutta, non sarebbe più rifiorita. Tutti i cartaginesi vengono deportati come prigionieri di guerra e il territorio divenne provincia romana d'Africa.

Le altre guerre combattute nel II secolo a.C.

Nel quadro di una politica estera aggressiva finalizzata all’espansione dei suoi confini ricordiamo altre importanti guerre condotte da Roma: innanzitutto quella a nord del Po contro i Galli che furono sconfitti tra il 200 e il 190 a.C. In Liguria e nel nord-est viene fondata la colonia di Aquileia. Nel 197 a.C.  la Spagna diviene in provincia romana. Per quanto riguarda l'espansione verso est Roma interviene nelle questioni interne tra le polèis greche prestando aiuto ad Atene contro Filippo V re di Macedonia, alleato di Cartagine. Si scatena così la prima guerra macedonica (215- 205 a.C.) cui seguì una seconda terminata nel 197 a.C. Filippo V venne sconfitto definitivamente grazie al console Tito Quinzio Flaminio (fig.36)

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fig.36

A questi due conflitti ne seguì subito un altro contro il re di Siria Antioco III istigato da Annibale, ospite presso la sua corte e divenuto suo consigliere. Nel tentativo di occupare la Grecia la Siria viene sconfitta dai romani intervenuti in difesa delle polèis presso le Termopili in Grecia e a Magnesia (Asia minore). I territori del Regno di Siria furono ceduti al Regno di Pergamo, alleato di Roma e in seguito trasmessi in eredità ai romani da Attalo III. Alla fine di una terza guerra macedone (171- 168 a.C.) la Macedonia venne divisa in distretti autonomi per poi divenire provincia romana. La Grecia e le sue polèis godranno solo di un'indipendenza formale.

Riorganizzazione del regno dopo le conquiste

Alla fine del II secolo a.C. i domini di Roma comprendevano: la Spagna, la Gallia narbonense, la penisola italiana, la Corsica, la Sardegna, il Nordafrica, l’Illiria, la Macedonia arrivando in Asia fino all'ex regno di Pergamo (fig.37). Il governo delle province viene affidato ai proconsoli o propretori (consoli e pretori che avevano terminato il loro mandato a Roma) in carica per un anno, spesso con proroghe. Detenevano il potere militare, fiscale (erano loro che decidevano a chi dare l'appalto della riscossione dei tributi), civile (erano incaricati di mantenere l'ordine pubblico) e giudiziario. Gli abitanti delle province erano sottoposti a pesanti tassazioni dal momento che non erano considerati cittadini romani. I privati ai quali era affidato l'appalto della riscossione dei tributi erano detti pubblicani.

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fig.37

Tiberio e Caio Gracco

Nel 133 a.C. diventa tribuno della plebe Tiberio Sempronio Gracco, il quale presenta un progetto di legge che limitava a 500 iugeri l'estensione dell'ager publicus dato in concessione a ogni cittadino: tutti quelli che superavano questa soglia dovevano restituire le terre eccedenti allo stato che le avrebbe distribuite ai più poveri dietro corresponsione di un canone annuo. La concessione era ereditaria ma vigerà il divieto di rivendere la terra ottenuta per evitare che si potessero creare nuovamente concentrazioni di possedimenti nelle mani dei patrizi. Ovviamente tutto ciò scatena l'ostilità del Senato che in questo modo sarebbe stato espropriato di gran parte dei beni immobili posseduti; organizza così una serie di tumulti in occasione dei quali fu assassinato lo stesso Tiberio (fig.38)

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fig.38

Anche i popoli alleati erano contrari al provvedimento perché sarebbero stati espropriati delle loro terre e, al contempo, non avrebbero usufruito di nessuna spartizione riservata meramente ai cittadini romani. Nel 123 a.C. viene eletto come tribuno della plebe Gaio Sempronio Gracco, fratello di Tiberio, di cui ripropose la legge agraria (fig.39)

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fig.39

Attraverso una serie di plebisciti si approvò una legge frumentaria che prevedeva la distribuzione di grano a prezzo fisso e ridotto per i nullatenenti. Per ottenere l'appoggio dei cavalieri Gaio fece approvare una legge che dava loro l’incarico di far parte dei tribunali per poter giudicare l'operato dei magistrati a fine mandato. Propose inoltre la fondazione di altre colonie in Africa in Sicilia per assegnare terre a chi era in difficoltà economiche. Infine, nelle sue intenzioni, c'era la volontà di concedere gradatamente la cittadinanza romana a tutte le popolazioni italiche in modo da rinsaldare il legame tra gli alleati e Roma. Proprio questa proposta di legge causò la fine di Gaio Gracco perché il Senato gli aizzò contro la stessa plebe romana affermando che, se questa iniziativa fosse stata approvata, essa avrebbe dovuto spartire con gli italici la distribuzione del grano. Anche i cavalieri divennero ostili a Gaio Gracco perché non vedevano di buon occhio l'estensione della cittadinanza cosicché, dopo una serie di tumulti, nel 121 a.C. il tribuno della plebe, inseguito dai nemici, si tolse la vita.

La guerra giugurtina

Tra il 125 e il 118 a.C. diventa provincia la Gallia narbonense (Provenza). Nel 112 a.C. inizia la guerra giugurtina, dal nome del re della Numidia (Algeria), terra alleata di Roma. Giugurta, all'indomani della morte del re Micipsa, contrariamente alle volontà testamentarie, anziché dividere il potere con i cugini si proclama unico sovrano e procede al massacro della popolazione, tra cui c'erano parecchi italici. Il Senato mostrò una tolleranza particolare nei confronti dei crimini perpetrati da Giugurta e questo non andò a genio ai cavalieri che costrinsero Roma a dichiarare guerra alla Numidia. Nel 112 a.C. avvennero però gravi scandali ed episodi di corruzione: questo non fece altro che accrescere l’ostilità nei confronti del Senato. Nel 107 a.C. diventa console Gaio Mario, membro del ceto equestre fortemente sostenuto dai popolari, che viene mandato in Numidia per affrontare la guerra contro Giugurta riuscendo a riportare quest'ultimo in catene a Roma nel giro di due anni. 

Mario e Silla

Gaio Mario (fig.40) è un homo novus, il primo cioè della sua famiglia a ricoprire la carica di console (pensate per ben 5 anni consecutivi!). 

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fig.40

Viene anche mandato a fronteggiare i Cimbri e i Teutoni, due popolazioni germaniche che stavano penetrando in Gallia e in Italia. Dal momento che stavano iniziando a scarseggiare i soldati perché pochi potevano permettersi l’acquisto dell’equipaggiamento necessario, Gaio Mario promosse un'importante riforma militare in cui si stabiliva l'arruolamento volontario dei nullatenenti: lo stato avrebbe loro pagato un salario, distribuito armi, armature, etc. Inoltre, al momento del congedo, chi aveva prestato servizio per 16 anni, avrebbe ricevuto un appezzamento di terra da coltivare. I comandanti, essendo anche magistrati, diventavano protettori dei loro sottoposti in caso di rivendicazioni da far valere. Si crea così un esercito di professionisti fedeli, addestrati e stipendiati. Nel 100 a.C. scoppiano dei tumilti contro i quali il Senato manda Mario a combattere per poi successivamente essere allontanato da Roma per assumere un incarico in Oriente (98 a.C.) Nel 90 a.C. il tribuno della plebe Marco Livio Druso vuole riprendere alcuni punti delle riforme proposte dai Gracchi tra cui l'estensione della cittadinanza romana agli italici: anche questa volta scoppiano delle rivolte. Druso viene assassinato e la legge è abolita. Si scatena allora una guerra sociale (da socii= alleati) dal 91 all' 88 a.C. Le popolazioni italiche ribelli arrivarono addirittura a creare uno stato federale con un valoroso esercito che seppe dare a Roma del filo da torcere. In un primo tempo la difesa di Roma venne affidata a Mario, richiamato dal Senato, e in seguito a Lucio Cornelio Silla (fig.41), un generale patrizio che aveva combattuto al suo fianco contro Giugurta. 

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fig.41

Alla fine della guerra gli italici riuscirono a strappare a Roma la cittadinanza. Ma un'altra minaccia incombeva all'orizzonte: Mitridate VI re del Ponto (territorio sul Mar Nero) nell' 80 a.C. aveva invaso la Grecia e la provincia dell'Asia (fig.42)

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fig.42

Il Senato decide di mandare a combattere in Oriente Silla, ma a questa decisione si oppongono i popolari e i cavalieri che invece sostengono l'invio di Mario. Silla allora si mette alla guida di sei legioni con l'obiettivo di marciare in armi verso Roma (88 a.C.). Mario fugge in Africa mentre il suo rivale riparte per l'Oriente per sistemare la situazione con Mitridate. In sua assenza i popolari si organizzano e rieleggono Mario console per la settima volta qualche tempo prima della sua morte. Ritornato vittorioso dall'Oriente Silla, nell’ 83 a.C., insieme a Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso, riesce ad avere la meglio nella guerra civile e si fa nominare dittatore a tempo indeterminato nell' 82 a.C. con pieni poteri legislativi e militari. Compilò e diffuse una lista di proscrizione composta dall'elenco dei nomi dei suoi nemici, considerati traditori della Repubblica: chiunque fosse incorso in questi personaggi aveva la libertà di ucciderli immediatamente e avrebbe avuto diritto ad una ricompensa. Le riforme da lui promulgate aumentarono il numero dei senatori da 300 a 600; tolse ai consoli il comando dell'esercito e impedì loro di essere rieletti per più di due anni consecutivi; il controllo dei tribunali che giudicavano l'operato dei magistrati venne tolto ai cavalieri e restituito ai senatori; emanò una legge che impediva ai tribuni della plebe di continuare il cursus honorum assumendo cariche importanti come il consolato; ridimensionò i poteri dei tribuni della plebe: da questo momento le loro proposte dovevano essere approvate dal Senato e venne limitato il loro diritto di veto; abolì le distribuzioni del grano ai ceti più poveri; distribuì appezzamenti di terra ai veterani dell'esercito. Silla muore nel 78 a.C. dopo aver rinunciato alla dittatura ed essersi ritirato a vita privata.

L’ascesa di Pompeo e Crasso

Dopo l'abbandono da parte di Silla della scena politica accresce l’instabilità politica a causa della rivalità tra ottimati, popolari ed equites. Oramai gli unici che godevano di un certo prestigio erano i capi militari, figure carismatiche che avevano acquisito ingenti patrimoni. In particolare, si distinguevano Gneo Pompeo (fig.43) e Marco Licinio Crasso (fig.44)

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fig.43
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fig.44

Pompeo é chiamato in Spagna a domare la ribellione del generale Sertorio mentre, nel frattempo, scoppia la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco (fig.45), un gladiatore della Tracia (73- 71 a.C.). Fuggito dalla scuola di gladiatori di Capua quest’ultimo organizzò un esercito improvvisato di 150.000 schiavi che chiedevano di essere liberati. I tumulti si estesero nel Sud Italia. Sarà Crasso a domare la ribellione. I superstiti cercarono di scappare dirigendosi verso il nord Italia ma arrivati in Etruria vennero sgominati da Pompeo di ritorno, vittorioso, dalla Spagna. 

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fig.45

Nel 70 a.C. Crasso e Pompeo ottengono il consolato ed eliminano molti provvedimenti che erano stati presi da Silla: per esempio restituiscono il diritto di veto ai tribuni della plebe e ripristinano loro la possibilità di accedere alle cariche più alte. Pompeo riesce a debellare la piaga dei pirati nel Mediterraneo e conclude vittoriosamente la guerra contro Mitridate. Con l'occasione vennero conquistate la Siria e la Palestina. A Roma intanto Catilina, un patrizio che era stato vicino a Silla, tenta un colpo di stato per esautorare il potere del Senato, colpevole di avergli rifiutato la carica di console per ben due volte. Nel 63 a.C., infatti, al suo posto venne eletto il brillante avvocato Marco Tullio Cicerone un homo novus. Dalla parte di Catilina c’erano contadini e nobili in difficoltà economiche ostili al Senato. In seguito alla scoperta della congiura fu inseguito fino in Etruria dove venne ucciso nel 62 a.C. mentre i suoi complici, arrestati a Roma, vengono condannati a morte senza un processo (provvedimento assolutamente contrario a ciò che prescriveva il diritto romano) (fig. 46). 

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fig.46

Nel frattempo, Pompeo aveva fatto ritorno dall'Oriente. Il Senato temeva la sua venuta perché grazie alle brillanti vittorie militari conseguite, il generale aveva acquisito un notevole ascendente sulle truppe e aveva conquistato il favore popolare. Il condottiero chiese di veder ratificate quelle decisioni da lui prese durante il suo mandato che non avevano ancora ottenuto l’approvazione del Senato, ma questo non gli fu concesso. Di fronte alla situazione difficile Pompeo decide di allearsi con Crasso e con Caio Giulio Cesare dando così inizio al primo triumvirato.

Il primo triumvirato

Caio Giulio Cesare (fig.47) apparteneva ad un'antica famiglia aristocratica economicamente decaduta dal nome di gens Iulia,i cui membri affermavano di discendere da Enea e, dunque, dalla dea Venere, madre dell'eroe troiano. Ne faceva parte anche Gaio Mario, il rivale di Silla. Giulio Cesare seppe farsi strada grazie alla sua abilità politica e ai “contatti” (diremo oggi) con persone influenti. Venne così nominato propretore in Spagna(61 a.C.) e pontefice massimo.

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fig.47

All'epoca dell'accordo con Crasso e Pompeo, tuttavia, Cesare non godeva dello stesso rilievo politico dei due alleati: il primo poteva far leva sulle sue enormi ricchezze mentre il secondo aveva un forte ascendente sull'esercito. Nel 60 a.C. Cesare propone ai due rivali un patto segreto che aveva come principale obiettivo il controllo delle istituzioni repubblicane e la spartizione del potere. Grazie a questo accordo nel 59 a.C. Cesare diventa console, riconosce l'operato di Pompeo in Oriente, fa distribuire le terre ai veterani, favorisce i cavalieri negli appalti per la riscossione dei tributi nelle province asiatiche. Alla fine del mandato ottenne la carica di governatore nella Gallia narbonense e nella Gallia cisalpina per cinque anni. Muovendo da queste regioni Cesare si proponeva di conquistare la Gallia transalpina in modo da acquisire più prestigio di Pompeo e Crasso. Cesare approfittò dei contrasti interni tra le popolazioni di questa regione per imporre il suo dominio conquistando l'attuale Francia. Mentre stava sbarcando in Britannia, tuttavia, dovette ritornare sul continente perché gli Averni, comandati da Vercingetorige, stavano guidando l'insurrezione contro Roma (53 a.C.). Al termine della lotta Cesare riuscì a domare i ribelli dopo averli sconfitti nella battaglia di Alesia (52 a.C.). Il condottiero romano seppe conquistare la vittoria dal momento in cui tenne contemporaneamente due linee difensive: una per tenere l'assedio della città e l'altra per bloccare i rinforzi che dovevano prestare soccorso ai Galli. Alla fine, i barbari furono presi per fame e Vercingetorige si arrese, venne messo in catene e portato a Roma dove sei anni dopo fu ucciso (fig.48)

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fig.48

La conquista della Gallia era un fattore molto importante perché il territorio era ricco di materie prime (tra cui il legname). Nel frattempo, ad est del regno, avviene l'invasione dei Parti, eredi degli antichi persiani abitanti della zona che andava dall'Iran alla Mesopotamia (fig.49)

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fig.49

Proprio durante una spedizione contro questo popolo perse la vita Crasso nella battaglia di Carre (53 a.C.). A Roma erano riprese le lotte tra ottimati (aristocratici conservatori) e popolari (fazioni dalla parte del popolo), Pompeo si era pericolosamente riavvicinato al Senato che gli aveva assegnato pieni poteri (una sorta di dittatura) nominandolo console unico (52 a.C). Il mandato di governo sulle Gallie di Giulio Cesare stava per scadere e il condottiero, secondo le consuetudini, sarebbe dovuto ritornare a Roma da civile privo dell’accompagnamento delle sue legioni. Il Senato, tra l’altro, aveva respinto la sua nuova candidatura a console, timoroso dell'enorme potere che oramai aveva accumulato. Cesare accetta di congedare il suo esercito solo a patto che Pompeo faccia altrettanto. Fallito ogni tentativo di trattativa Giulio Cesare attraversò il fiume Rubicone, al confine tra la Gallia Cisalpina e Roma, accompagnato dal suo esercito in armi: ciò equivaleva ad un atto di guerra. Pompeo fugge allora in Grecia mentre Cesare ne sbaraglia le truppe in Spagna e poi a Farsalo (48 a.C.). Pompeo si rifugia in Egitto, ma qui viene ucciso a tradimento da Tolomeo XIV con l’intenzione di ingraziarsi Cesare, il quale vi rimase per un anno per sostenere Cleopatra, sorella del re, nella lotta per la successione al trono (vedi lezione antico Egitto), finendo per assegnarle il regno. Successivamente sconfigge definitivamente i seguaci di Pompeo in Spagna e in Africa, annette come provincia il Regno di Numidia e torna definitivamente a Roma per farsi nominare dittatore a vita. Inoltre, assume numerose cariche, tra cui quella di console della durata di dieci anni, imperator a titolo permanente (capo dell'esercito), pontefice massimo, tribuno della plebe e censore dei costumi. Le istituzioni repubblicane erano ancora in vita solo formalmente perché ormai si era compiuta la trasformazione di Roma da Repubblica a monarchia.

Cesare dittatore e la fine della Repubblica

Questa trasformazione in realtà era auspicata già da tempo dalle classi popolari che cercavano nell'uomo forte, nella figura di un monarca, la protezione dai soprusi della nobilitas. Anche i popolari avevano contribuito a raggiungere questo risultato soprattutto per andare contro l'oramai obsoleto Senato che, per tutto il periodo repubblicano, non aveva fatto altro che agire solo in base al proprio tornaconto politico ed economico. Una volta ottenuti i pieni poteri Cesare puntava a rendere stabile il governo di Roma attraverso l’abbattimento dello strapotere della nobilitas senatoria a favore delle classi popolari. Inoltre, egli si proponeva di adeguare le magistrature alla nuova situazione del regno che oramai ricopriva un territorio vastissimo. Tra i provvedimenti da lui emanati ricordiamo: l'aumento del numero degli edili, dei pretori e questori; aumento del numero dei senatori a 900 membri (vi entrano a far parte anche i rappresentanti delle province occidentali, i liberti, gli italici); nei tribunali che giudicavano l'amministrazione delle province i senatori vengono di nuovo affiancati dai cavalieri; viene stabilito un limite massimo ai canoni di affitto; parte un programma vasto di opere pubbliche per aumentare l'impiego della manodopera e favorire i ceti popolari (come ad esempio la bonifica delle paludi, la costruzione di strade, ponti, canali per il deflusso del Tevere). Si cercò inoltre di mettere un freno alla corruzione dilagante dei pubblicani e dei funzionari romani nelle province; concesse la cittadinanza agli abitanti della Gallia Cisalpina e fondò altre colonie in Spagna in Gallia. Come pontifex maximus rifondò il calendario romano dividendo l'anno in 365 giorni e introducendo ogni quattro anni l'anno bisestile.

La fine di Giulio Cesare

Un'ultima cosa rimaneva da fare a Cesare: vendicare la morte di Crasso sconfiggendo in guerra i Parti, ma purtroppo questo non fu possibile perché, a causa del potere da lui acquisito oramai divenuto assoluto, numerosi membri del Senato parteciparono ad una congiura. Il 15 marzo del 44 a.C. Cesare fu chiamato nell'aula in cui si riuniva il Senato da Marco Giunio Bruto e Gaio Cassio (ex sostenitori di Pompeo) con una scusa. Con la connivenza di parenti, congiunti, collaboratori e avversari, il dittatore venne ucciso da una serie di pugnalate. A caldeggiare il piano è stata soprattutto la parte conservatrice del Senato che ambiva a riavere i suoi vecchi privilegi e non vedeva di buon occhio il pericolo della restaurazione della monarchia. Chi ha ucciso G.Cesare (lo ricordiamo!) lo ha fatto per proprio tornaconto personale e non perché mosso da alti valori morali!  Ma a nulla valse tutto questo: l'eliminazione di Cesare non portò al ripristino della Repubblica, anzi, condusse ad una guerra civile in cui trionfò Ottaviano il quale, dopo varie vicissitudini, diventerà il primo imperatore di Roma. I partecipanti alla congiura di Cesare non riuscirono ad ottenere l'approvazione del loro gesto dal Senato perché molti membri erano cesariani. In questa situazione di incertezza emerge la figura di Marco Antonio (fig.50), luogotenente di Cesare, che in qualità di console, poté accedere al testamento del defunto e iniziò a sostenere di esserne l'erede politico. 

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fig.50

Nel frattempo, però era ritornato a Roma un nipote di Cesare da lui adottato: il suo nome era Giulio Cesare Ottaviano (fig.51), il quale ottenne l'appoggio dei popolari e, dopo aver sconfitto in battaglia Marco Antonio, ottenne il proconsolato nella Gallia Cisalpina. In seguito, marcia su Roma (con l’appoggio delle legioni) e costringe il Senato a nominarlo console a soli 20 anni. 

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fig.51

Nel frattempo, Bruto e Cassio si erano spostati in Oriente. Ottaviano e Marco Antonio mettono da parte i loro astio e uniscono le forze per eliminare i cesaricidi alleandosi con Marco Emilio Lepido (fig.52), un altro ex luogotenente di Cesare. 

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fig.52

La loro alleanza prese il nome di secondo triumvirato (43 aC): furono investiti di poteri eccezionali e dovevano restare in carica cinque anni. I tre elaborarono una lista di proscrizione composta dai loro nemici e persone molto ricche perché volevano impossessarsi dei loro beni (tra questi c'era Cicerone). Si spostarono poi nella penisola balcanica e nella battaglia di Filippi (Macedonia) sconfissero i cesaricidi Bruto e Cassio che si suicidarono per non cadere vivi nelle mani dei nemici (42 a.C). I vincitori si spartirono successivamente i territori di Roma: a Lepido andò l'Africa, a Marco Antonio l'Oriente, a Ottaviano Roma e l'Europa occidentale. Successivamente Marco Antonio iniziò a organizzare le sue forze per contrastare Ottaviano mentre Lepido fu tolto di mezzo rapidamente affidandogli solo la carica di pontifex maximus dopo averne esautorato i poteri. Marco Antonio, nel frattempo, era giunto in Africa e qui aveva sposato la regina dei Tolomei Cleopatra (vedi lezione antico Egitto) .  Durante la sua permanenza in Egitto egli iniziò ad apprezzare più del dovuto le pratiche di venerazione con cui i popoli orientali omaggiavano i loro sovrani equiparandoli a delle divinità. Questo comportamento lo rese invisibile ai romani: fu così che Ottaviano dichiarò guerra a Marco Antonio; si trattava oramai di uno scontro tra i valori di Roma e dell'Occidente contro il molle, corrotto ed effeminato mondo orientale. Lo scontro avvenne nel 31 a.C. ad Azio (Epiro) dove venne sconfitta la flotta di Antonio e Cleopatra. All'inizio della battaglia Antonio si gira sulle ali avversarie che cercavano di aggirare la flotta: si apre così un varco al centro per far passare le navi di Cleopatra, la quale ne approfittò per fuggire anziché combattere. La regina fu poi seguita vigliaccamente da Antonio. I due si rifugiarono in Egitto per organizzare la resistenza, ma dopo essere stati nuovamente sconfitti si suicidarono nel 30 a.C. Ottaviano ritornò a Roma da trionfatore: era cominciata l'età imperiale.

Quadro sociale ed economico nell’età repubblicana (II-I secolo a.C.)

L’espansione di Roma nel Mediterraneo attirò ingenti ricchezze grazie ai bottini di guerra, la riscossione dei tributi e la distribuzione dell’ager publicus. Inoltre, grazie alle nuove conquiste, affluirono migliaia di schiavi impiegati come manodopera. Accanto ai patrizi si va formando una nuova classe di governo composta da nuovi arricchiti, ovvero la plebe che aveva fatto fortuna grazie ai traffici commerciali e all'acquisizione di terre. Accanto all’aristocrazia patrizia discendente dagli antichi proprietari terrieri e ai plebei ricchi si inserisce una nuova classe sociale, quella degli equites (cavalieri), cosiddetti perché avevano un patrimonio tale da permettersi il possesso di un cavallo e dunque potevano militare nell'esercito. Si trattava di imprenditori, finanziari, industriali, commercianti, con un reddito superiore a 400.000 sesterzi annui. A questa classe era interdetto il Senato anche se poteva intraprendere la carriera politica ed accedere al consolato e questo fu causa di conflitti. Gli equites potevano indossare un loro anello distintivo e una toga simile a quella dei senatori anche se con un bordo di porpora di dimensioni più ridotte. In questo momento storico si arricchiscono anche i liberti (schiavi affrancati) grazie agli investimenti in società appaltatrici e mercantili. Molta scontentezza era diffusa tra i piccoli proprietari terrieri che costituivano la maggior parte dell'esercito romano: inizialmente essi vivevano dei proventi dei loro poderi e vi si allontanavano solo per il breve periodo di tempo (da marzo a settembre) in cui si svolgevano le campagne militari. Dal momento che durante le ultime guerre (ad esempio quelle puniche) sono stati costretti ad allontanarsi per anni e ad affidare i poderi alle mogli e ai figli inesperti, quando sono rientrati dalle campagne militari hanno trovato le famiglie strozzate dai debiti o costrette a vendere la terra a speculatori o ai grandi proprietari terrieri. Si andavano così ingrossando le file di eserciti di nullatenenti che affollavano la capitale vivendo di espedienti e accattonaggio e contando sulle distribuzioni gratuite di grano. Per quanto riguarda la nobiltà romana, essa era invece composta dalle famiglie di patrizi e dai plebei arricchiti che potevano vantare tra i membri dell'albero genealogico la presenza di un console (cosa possibile grazie alle nuove leggi). I romani chiamavano homo novus colui che nella propria famiglia riusciva ad accedere per primo al consolato permettendole di entrare nel novero della nobiltà romana. Le decisioni politiche erano prese dal Senato, il quale aveva l'incarico di nominare i governatori delle province e di giudicare i casi di cattiva gestione delle finanze e dell'amministrazione che vi potevano avvenire.  All'interno del Senato si creano due schieramenti: gli ottimati, conservatori ostili a riforme e a concessioni a favore dei più deboli, e i popolari che invece optavano per una politica che migliorasse le condizioni delle classi più umili. Anche se i popolari erano una minoranza godevano dell'appoggio dei cavalieri, delle popolazioni italiche, dei plebei più abbienti. Molti componenti del Senato continuavano ad arricchirsi grazie all’investimento delle proprie ricchezze nelle terre dell’ager publicus, spesso acquisite abusivamente. I loro domini vengono organizzati in ville (fig.53) e latifondi che producono grano, olio, vino, pollame, olive, carne di maiale, capretti, cuoio. 

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fig.53

Le ville sono il frutto dell'ampliamento delle case contadine di campagna.  Per qualche tempo in queste abitazioni venivano mandati a vivere i bambini affinché potessero crescere al riparo dalle malattie e imparare a vivere in maniera austera. Erano dotate di frantoi per le olive, torchi per l'uva e grandi vivai. La villa rustica si componeva della parte adibita ad ospitare i ricchi padroni, di un settore destinato al fattore e ai lavoratori (liberi e schiavi affittati stagionalmente) e delle stalle e dei locali per gli attrezzi e per le scorte. C’erano anche granai, magazzini, fienili. La proprietà era gestita dal fattore e la fattoressa. Non si potevano ricevere visite tranne che in occasione delle feste cosiddette Terminali (vedi paragrafo religione). Solo il fattore vi poteva celebrare i riti religiosi (né la moglie, né gli operai). La fattoressa doveva vigilare sulla regolare pulizia della casa. Alla fine della Repubblica queste fattorie diventeranno i primi luoghi di villeggiatura della storia. La proprietà era recintata ed era abbellita da parchi, corsi d'acqua, piccoli boschi per permettere al proprietario di godere delle gioie della natura. I latifondi erano invece grandi appezzamenti di terra che facevano capo ad un solo proprietario ed erano destinati alla coltivazione e al pascolo. Sempre meno campi erano coltivati a cereali perché non assicuravano grandi rendite e perché sempre più frequenti erano le importazioni di grano dalla Sicilia e dall'Africa. Si preferisce così investire sempre di più nelle colture specializzate (vite, olivo). Per quanto riguarda l'attività industriale si sviluppa la tessitura, la ceramica, l’estrazione e la lavorazione dei metalli. Si arricchisce soprattutto chi investe nel settore dei trasporti. I Romani mettono sullo stesso piano il bestiame e il denaro: il termine pecunia (denaro) deriva da pecus (bestiame): difatti le prime monete vedevano incise le immagini di teste di buoi e di montoni. Roma era considerata caput mundi: tutte le ricchezze del territorio affluivano nella città (dagli animali esotici ai bottini di guerra, agli schiavi). Gli dèi adorati dai nemici sconfitti erano portati in città per divenire protettori dei romani.

Essere schiavi a Roma…

Le terre erano lavorate soprattutto dagli schiavi ovvero la “benzina” che faceva funzionare la macchina economica della potente Roma. Tutti gli uomini liberi ne possedevano uno, considerato alla stregua di un animale fedele. Alla fine della seconda guerra punica ne erano stati deportati a migliaia dai territori conquistati; in più c'erano quelli fatti prigionieri dai pirati il cui principale mercato di smercio era l’isola di Delo. Quelli che si distinguevano per cultura e per un'educazione raffinata diventavano maestri dei rampolli di famiglie ricche ed importanti (un esempio fra tutti è Esopo, il celebre scrittore greco di favole). Gli schiavi erano condotti al mercato con i piedi dipinti di bianco (per essere riconoscibili in caso di fuga) con indosso un collare di ferro o di bronzo con sopra inciso il nome del proprietario (fig.54)

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fig.54

Avevano una targa che ne rivelava il luogo di nascita e le capacità. I prezzi ovviamente variavano a seconda del sesso, dell'età, delle condizioni fisiche. Molti erano impiegati nei campi, dato il numero sempre più crescente dei grandi proprietari terrieri. Una buona parte svolgeva i lavori più umili quali raccogliere l'immondizia, lavorare nelle miniere, fare l'attore o la prostituta. C’era chi però aveva avuto la fortuna di svolgere attività redditizie: alcuni schiavi, infatti, erano banchieri e amministratori di proprietà. Col consenso del padrone lo schiavo poteva accumulare pian piano un peculium, una somma di denaro che un giorno gli farà riscattare la libertà. Per l’affrancamento occorreva che il padrone lo iscrivesse al registro del censo con il suo nome: da quel momento diventerà suo cliente. Un liberto non potrà mai fare il cursus honorum perché privò dell'onore; pur se libero deve rimanere fedele al suo padrone, ossequiarlo, dare dimostrazione di pietas ovvero portargli rispetto come se fosse suo padre, sostenerlo e affiancarlo nella vita pubblica. Inoltre, è obbligato a lavorare per lui gratuitamente per un certo numero di giorni all’anno. 

Quadro politico dell’età repubblicana

In età repubblicana, soprattutto nel momento in cui avviene la parificazione tra patrizi e plebei abbienti, un ruolo molto importante lo esercitavano i censori che, ogni cinque anni, vanno a rivedere le liste dei cittadini e la loro ripartizione nelle tribù territoriali. In base al reddito il cittadino era chiamato a versare un tributo. I censori erano in numero di due e duravano in carica 18 mesi. I consoli erano a capo dell'esercito e del potere esecutivo. I pretori diventavano governatori delle province ed esercitavano funzioni giudiziarie. Gli edili si occupavano della costruzione di edifici, dell'igiene pubblica, dell'organizzazione di feste e della sicurezza nelle città. I questori avevano poteri amministrativi e finanziari. Il cittadino romano chiamato a prestare servizio militare godeva di numerosi vantaggi perché i territori conquistati (l’ager publicus) venivano spartiti tra i soldati come premio per il loro operato. Chi militava nell’esercito non doveva pagare le tasse. C'erano anche tributi indiretti come le dazie dogane. Più Roma si espandeva, più godeva di maggiori disponibilità finanziarie e, di conseguenza, riduceva al minimo la richiesta di contributi ai cittadini. L’assemblea popolare più importante era quella dei comizi centuriati, convocata dai consoli o dal dittatore di turno: in un luogo pubblico era esposto il progetto di legge su cui si sarebbe discusso o le candidature alle magistrature (da cui il termine candidatus perché chi si sottoponeva alla votazione indossava una toga bianca (fig.55)

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fig.55

Ogni centuria esprimeva il suo voto separatamente. I suffragi si contavano nell'immediato. L'assemblea poteva solo votare la proposta di legge ma non discuterla. Il Concilio della plebe eleggeva invece i tribuni della plebe che avevano diritto di veto sulle iniziative o proposte di legge sfavorevoli al popolo.

L’esercito

Nell'ambito dell'esercito la cavalleria aveva compiti di inseguimento e ricognizione. Durante la seconda guerra punica alla spada lunga si sostituisce il gladio ovvero una spada più corta a doppio taglio di origine spagnola (fig.56). 

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fig.56

Lo scudo più pesante di forma convessa e quadrangolare (fig.57) era impugnato dai soldati in prima fila mentre le altre truppe erano dotate del clipeus, più leggero e di forma ovale, o della parma (fig.58), di forma rotonda. 

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fig.57
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fig.58

Come corazze c’erano le loriche segmentate (fig.59) (caratterizzate da strisce di cuoio ricoperte da ferro che proteggevano il soldato fino all'inizio della coscia) e le loriche squamate (fig.60) (cotte con grossi anelli su cui erano applicate le piastre). 

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fig.59
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fig.60

Ma quali erano le armi impiegate negli assedi? I Romani utilizzavano torri mobili da combattimento (fig.61) mentre ponti levatoi erano abbassati sulle mura nemiche a formare una passerella. Si scavano gallerie sotto le mura della città e si riempivano di legna per appiccarci il fuoco e far cedere così le fondamenta della fortificazione assediata. 

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fig.61

Col passare del tempo il costo delle armi aumentò considerevolmente, ragion per cui lo stato iniziò a distribuirle a suo carico sollevando i cittadini da queste spese. Man mano che le guerre diventavano più frequenti il ​​reclutamento dei militari si estese anche ai cittadini meno ricchi cosicché lo stato si incaricò di pagare un rimborso per quanto riguardava le spese e il mantenimento dei cavalli. I popoli alleati che partecipavano alle imprese belliche di Roma mandando i loro contingenti avevano ufficiali propri ma il comando generale era nelle mani dei romani. Chi trasgrediva le regole nei casi meno gravi pagava una multa o era sottoposto a pene corporali mentre nei casi più gravi era prevista la condanna a morte. Per i reparti colpevoli di viltà o di gravi infrazioni c'erano lo scioglimento delle unità o la decimazione. Le decorazioni consistevano in corone (ce ne erano di specifiche: da quelle assegnate a chi era salito per primo sulle mura nemiche a quelle che insignivano chi aveva salvato la vita a un cittadino romano, eccetera). Ciascun soldato in marcia, oltre a portare le armi, era tenuto a trasportare un palo della palizzata che doveva far parte della protezione dell'accampamento. I legionari romani mangiavano pane o gallette e bevevano acqua mista ad aceto quando faceva caldo. Nel caso in cui le scorte erano carenti di grano veniva distribuito dell'orzo o, peggio ancora, delle fave. I soldati amavano adornarsi con gioielli, collane d'oro e altri oggetti che ricordavano il bottino conquistato. Come avveniva la dichiarazione di guerra? Venti magistrati chiamati feziali , tutti patrizi, furono chiamati a riunirsi. Il loro capo, il pater patratus , si recava presso i confini con la terra nemica indossando il filum (copricapo di lana) e impugnando una lancia con punta di ferro. Dopo aver pronunciato una formula rituale la scagliava verso la terra nemica. Quando i confini di Roma si ampliarono notevolmente si decise di svolgere la cerimonia ai margini del tempio di Bellona, ​​la dea della guerra, simbolo del nemico. Il codice guerriero romano non prevedeva la resa, né la proposta di tregue: bisognava continuare il conflitto fino a quando l'avversario non risultava definitivamente sconfitto. All'indomani della vittoria il comandante sfilava in processione (trionfo) (fiig.62), preceduto dai senatori, dal bottino di guerra, dalle raffigurazioni pittoriche delle vittorie conseguite e dai prigionieri in catene. Dietro di lui sfilavano le truppe vittoriose.  In un cocchio trainato da quattro cavalli bianchi egli giungeva al tempio di Giove Capitolino offrendo al dio il bottino e i trofei di guerra. La processione procedeva dal Foro al Campidoglio. Ai trionfi era chiamata a partecipare tutta la popolazione: la guerra arricchiva tutti perché più territori floridi erano annessi a Roma, minori erano le tasse imposte ai romani.

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fig.62

Durante la guerra i soldati sistemavano gli accampamenti la cui pianta rettangolare (castrum) (fig.63) era caratterizzata dall'incrocio di due assi principali ad angolo retto così come avveniva nelle città etrusche (vedi lezione Gli etruschi). In questo punto era ubicata la tenda del comandante con uno spazio antistante in cui si radunavano le truppe. Ogni cosa era disposta e organizzata in maniera molto meticolosa sicché, seguendo un ordine prestabilito, in poco tempo, una volta deciso il luogo, si ergeva l'accampamento con molta rapidità. 

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fig.63

Nelle colonie si insediavano i veterani, ex combattenti cui venivano assegnati lotti di terra. La città conquistata era rasa al suolo e al suo posto ne veniva costruita un'altra che simula la pianta del castrum. Per celebrare la fine della stagione militare verso i primi 15 giorni di settembre si svolgevano i cosiddetti ludi, caratterizzati da una processione che attraversava Roma dal Campo Marzio al Circo Massimo. I giorni successivi erano dedicati agli spettacoli circensi e a quelli teatrali. Durante la processione avveniva una sorta di parodia della guerra con danze che volevano mimare le azioni dei soldati in battaglia; si esibivano anche pagliacci, pugili e lottatori che simulavano scontri corpo a corpo. Presso il Circo Massimo avvenivano le corse dei carri (fig.64)

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fig.64

Essere cittadini romani…

A Roma era importante essere riconosciuti cittadini: solo così si acquisiva il privilegio di avere un nome. Ogni 5 anni il cittadino romano aveva l'obbligo di denunciare i membri della propria famiglia e l'ammontare del suo patrimonio (compreso il numero degli schiavi che possedeva): era questo il cosiddetto censimento gestito dai censor i. In base ai dati che emergevano da questo controllo lo stato valutava le potenziali forze militari a disposizione e le possibili entrate fiscali. Chi non denunciava quanto posseduto era destinato alla confisca dei beni e venduto come schiavo. Senatori e cavalieri avevano l'obbligo di risiedere a Roma. Coloro i quali occupavano le cariche politiche più alte erano investiti di importanti responsabilità. I membri della nobilitas erano chiamati a mantenere alto il nome della famiglia di appartenenza, a emulare gli antenati e sconfiggere con ogni mezzo i propri avversari. Partecipare alle spedizioni militari, accumulare bottino e compiere imprese gloriose procurava dignitas . Si conseguiva la gloria soprattutto attraverso la carriera politica (cursus honorum) . I valori fondamentali erano: libertà, onore e gloria (quest'ultima poi reinvestita in una nuova candidatura). Il vero romano civile deve abitare in città ed è qui che si deve realizzare. All'inizio solo i figli di senatori e chi apparteneva alla nobilitas poteva diventare senatore; in seguito, come si è detto, la carica fu accessibile agli homines novi. Le peggiori accuse di cui poteva essere investito un nobile erano disonore e ignominia. Quando un cittadino veniva riconosciuto come traditore della patria era destinato all'esilio, i suoi beni erano confiscati e si faceva radere al suolo la casa dove abitava (questa punizione verrà messa in pratica anche in età medievale a Firenze all'epoca delle lotte gut tra Guelfi e Ghibellini): su quel luogo era vietato edificare proprio per ricordare a tutti l'infamia di cui si era macchiato il proprietario! Il nobile aveva anche il dovere di vendicare le sconfitte e le umiliazioni che avevano eventualmente colpito il proprio genitore: quando arrivavano nell'intento otteneva al Senato il seggio che era stato precedentemente occupato dal nemico fatto condannare. Occorreva poi sapersi costruire una rete di contatti con clienti, familiari, amici: ecco perché egli frequentava tutta la giornata il foro, partecipava ai banchetti, riceveva i propri clientes cui elargiva favori, prestava il suo denaro e le sue case, scriveva lettere di raccomandazione. Avere amici su cui contare nel momento del bisogno, anche per quanto riguarda la difesa in tribunale, era una cosa molto importante: i legami di clientela duravano generazioni. I clienti potevano anche essere arruolati nella guardia personale del proprio patrono dal momento che all'epoca non c'era la polizia e le decisioni giudiziarie dovevano essere eseguite dai soggetti coinvolti. Se non si faceva parte di una rete clientelare si era tagliati fuori dalla società, non si contava nulla, si rischiava di rimanere privi di protezione, depredati dei propri averi e dei membri della propria famiglia. Come si può facilmente evincere, si votava non in base alle ideologie ma in funzione dei legami personali: se una legge veniva approvata non era per il suo contenuto ma in base all'influenza politica dell'uomo che la presentava. Dopo aver dedicato tutta la sua vita alla città e alla famiglia e aver dato il cambio al primo figlio maschio, solo allora il nobile potrà rifugiarsi nei suoi possedimenti in campagna fino alla sua morte che sarà celebrata con funerali solenni. Ogni famiglia ricordava le gesta dei propri antenati , i quali fungevano da modelli di comportamento da seguire. Il nobile aveva tre nomi: quello datogli dal padre (indice del suo stato di uomo libero), quello che indicava la discendenza diretta e il soprannome (cui si poteva aggiungere il soprannome della famiglia materna). Per godere di una buona reputazione occorreva spendere in banchetti sontuosi e raffinati perché era bene condividere le proprietà ricchezze con gli altri: chi non agiva in base a questo criterio era considerato un incultus , un avaro che si isola dalla civiltà, il cui modus vivendi è più simile ad un animale selvatico. Occorreva però allo stesso tempo saper consumare ogni bene in eccedenza affinché non andasse sprecato. 

Una passeggiata per la Roma repubblicana…

Quali erano i luoghi cardine della Roma repubblicana? Il Foro (fig.65), innanzitutto, la piazza lastricata dove si esercitava la giustizia. Qui avveniva il mercato e aveva sede anche la tribuna per le arringhe, il Comitium, la Curia, sede del Senato, il santuario di Saturno, dove era conservato il tesoro della Repubblica, il Tabularium, il palazzo degli archivi (fig.66). Tutti questi monumenti si trovano a nord del foro. A sud c'erano il tempio circolare di Vesta, la casa delle vestali (fig.67) (vedi lezioni antica Roma Le origini- L’età monarchica-L’età repubblicana L'arte- La condizione femminile- iIl teatro e l’opera) e la casa del pontefice massimo, il capo della religione romana.

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fig.65
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fig.66
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fig.67

Nel foro potevano avvenire anche i combattimenti tra gladiatori. Altri luoghi importanti che caratterizzavano la storia di Roma erano i colli: il Palatino, sede delle famiglie nobili, il Campidoglio (il cui nome deriva da caput ovvero, secondo la leggenda, una testa miracolosamente ivi ritrovata) su cui si ergeva il tempio dedicato a Giove Ottimo Massimo, l'Aventino (il colle dei plebei), l’Esquilino (dove i cadaveri dei poveri erano gettati nelle fosse). Tra l’Aventino e il Palatino c'era il Circo Massimo, la sede dei giochi.  Poeti e drammaturghi dimoravano sull'Aventino e si aiutavano a vicenda: su questo colle si ergeva il tempio di Minerva sede del collegio degli scribi e degli attori. A nord, fuori le mura, si estendeva il Campo Marzio, dedicato al dio Marte, ovvero uno spazio su cui era vietato costruire edifici e dove si effettuava il censimento, votavano i comizi centuriati, si sceglievano i soldati che dovevano andare in guerra. Ogni quartiere prendeva il nome dalle attività artigianali che vi si svolgevano: nell'Argileto si vendevano libri, nella via dei Conciatori si lavorava il cuoio, nel vico Tosco c'erano i negozi di lusso e prostitute di ambo i sessi esercitavano il proprio mestiere. La Suburra era il quartiere più plebeo.

Le condizioni igieniche

Per quanto riguarda l'igiene sappiamo che si gettavano al di là del pomerium (confine sacro della città) i rifiuti e i cadaveri. Le fogne passavano sottoterra mentre in prossimità delle case c'erano botole che servivano a versare i liquami e il contenuto delle latrine. I canali che costeggiavano le strade avevano la funzione di portare via i rifiuti. Le fogne erano gestite dagli edili, i quali appaltavano ai privati la raccolta delle immondizie mentre gli schiavi erano incaricati di portare via, su grossi carri, i rifiuti dei mercati. I privati cittadini avevano il compito di pulire lo spazio davanti casa e il canaletto di scolo che raccoglieva l'acqua piovana. Le carogne di animali andavano seppellite in fosse scavate sull’Esquilino. L'acqua arrivava in tutte le zone della città grazie a tubature di piombo. Il romano ricco si radeva la barba e portava i capelli corti (profumati con olii) perché diversamente correva il rischio di essere paragonato ad un animale. Solo gli schiavi, infatti, avevano i capelli lunghi. I fuggitivi, una volta catturati, erano costretti a portare come marchio d'infamia la testa rapata a zero (si aveva orrore della calvizie). I ricchi disponevano di uno schiavo medico personale e di uno schiavo barbiere. Le malattie dello stomaco venivano trattate con digiuni, clisteri e vomito. Chi si ammalava era considerato un soggetto debole e, dunque, oggetto di riprovazione. Il cavolo veniva considerato un vero e proprio toccasana per combattere ulcere, tumori, ferite, piaghe purulente, insonnia… I romani si lavavano tutti i giorni e si facevano il bagno completo in occasione delle festività. Le case private erano dotate di bagni anche se esistevano quelli pubblici (fig.68). Era molto di moda l'abbronzatura perché conferiva un aspetto di virilità, al contrario l'uomo pallido era considerato effeminato. 

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fig.68

La concezione del tempo

Per datare un avvenimento si citava il nome del console allora in carica. Le elezioni avvenivano ogni anno a marzo o a dicembre o a novembre. Le attività pubbliche iniziavano all'alba e finivano verso la metà del pomeriggio (non dopo il tramonto). L’ora diurna equivaleva ai tre quarti della nostra ora in inverno e alla nostra ora e un quarto in estate. Dal II secolo a.C. in poi si diffusero orologi ad acqua che erano un’imitazione di quelli greci.

L’educazione, la scuola, i giochi

Alla nascita del bambino la levatrice lo poggiava per terra davanti al padre. Se quest'ultimo decideva di riconoscerlo lo sollevava da terra, altrimenti era soffocato o esposto sulla pubblica via e lasciato morire di fame: questo accadeva in caso di malformazione o quando la famiglia era troppo povera per prendersene cura. Poteva anche succedere che, in caso di mancato riconoscimento, il bambino era allevato dal nonno materno. Se nasceva una femmina e veniva riconosciuta dal padre, quest’ultimo dava ordine di nutrirla. In genere i neonati abbandonati erano raccolti dai mercanti di schiavi. Il piccolo era stretto in rigide fasce e lo si costringeva a tenere le gambe tese con delle stecche. Le braccia erano accostate rigidamente al corpo. A due mesi si liberava il braccio destro così da evitare che divenisse mancino. Era lavato ogni giorno con l’acqua gelida per rinvigorirlo. Ogni manifestazione di tenerezza era bandita perché il neonato doveva crescere come un ottimo soldato. Circolavano all’epoca paure nate dalla superstizione: ad esempio per allontanare il pericolo delle streghe, che potevano succhiar via l'essenza vitale del bambino, si raccomandava di appendere un ramoscello di biancospino alla finestra! E, ancora, per allontanare gli influssi maligni si faceva loro indossare amuleti a forma di globo. Considerate le condizioni igienico sanitarie del tempo solo un numero minimo di bambini riusciva a sopravvivere fino a raggiungere l’età della pubertà. Se il fanciullo era di nascita libera indossava una toga praetexta, cioè chiara e orlata da una fascia di porpora.  Il passaggio all'età adulta veniva sancito in occasione delle feste dedicate al dio Liber il 17 Marzo. In questo giorno il ragazzo consacra ai Lari i simboli della sua infanzia (ad esempio la toga praetexta), si reca sul Campidoglio, accompagnato dalla famiglia, dal padre e dai suoi clienti e dagli amici. Il cerimoniale prevedeva l’acquisto di dolci a base di miele di cui una parte veniva offerta a Liber. L’età per contrarre matrimonio per i ragazzi era dai 14 anni in su. Si giocava con le bambole, la palla, carrettini tirati con uno spago, gli astragali (fig.69) e dadi a sei facce (tesserae) (fig.70). Quest'ultimi erano gettati da una scatoletta (si barava utilizzando dadi col baricentro spostato per favorire l’uscita dei numeri più alti). Una curiosità: era diffuso anche un gioco simile alla dama: ne è stata rinvenuta traccia sulle gradinate della Basilica di Sancta Iulia.

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fig.69
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fig.70

L’istruzione dei figli era affidata ai padri, i quali potevano decidere di ricorrere ad uno schiavo istitutore di origine greca o di fargli frequentare la scuola che durava tutta la giornata: iniziava all’alba e si faceva una pausa a mezzogiorno. Quella elementare si avvaleva di un ludo magister che insegnava ad un gruppo di scolari di circa cinque anni. Si faceva lezione in una veranda aperta sul giardino, una sala o una bottega. Il maestro imponeva una tariffa adeguata alla sua fama. Si utilizzavano cartine, rilievi. Le punizioni consistevano in bacchettate e frustate. Il greco era la lingua veicolare (così come oggi l’inglese). Si imparava il dettato, la scrittura, la lettura, esempi morali desunti da racconti storici e si forniva una preparazione atletica. Le discipline aritmetiche erano impartite solo per quanto riguarda le basi con l'ausilio del pallottoliere. Chi sbagliava era bacchettato. I ragazzi che non mostravano di essere portati per un avvenire brillante venivano mandati in campagna. Dopo la scuola elementare fino a 16 anni si frequentava quella di grammatica (la scuola media): vi insegnavano maestri privati pagati dalle famiglie o dagli enti locali. Vi si imparava la lettura, la recitazione di testi, la storia dei grandi personaggi e la mitologia. Il livello più alto di istruzione era la scuola di retorica che insegnava l'arte di saper parlare in pubblico, scrivere una tesi o tenere discorsi giudiziari; le scuole di filosofia e scienze più famose erano quelle di Atene e di Alessandria. Si scriveva con uno stilus (fig.71) (bastoncino di legno appuntito) su tavolette cerate o con l’inchiostro su tavolette dipinte di bianco.

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fig.71

Libri e biblioteche

I romani furono i primi a concepire le biblioteche per uso pubblico. Volumi latini e greci erano conservati in armadi di legno provvisti di porte (armaria) collocati ai lati dentro delle nicchie: in questo modo si preservavano i rotoli dal pericolo dell’umidità delle pareti. Le porte, inoltre, proteggevano i libri dai furti e tenevano lontano gli insetti. Al centro c'era la sala di lettura con tavoli posti al centro. All’interno di queste strutture avvenivano anche conferenze. All’ingresso il visitatore doveva rimanere impressionato dalla vastità degli spazi (fig.72). I libri venivano recuperati da uno schiavo con mansioni di bibliotecario. Molte disponevano anche di un porticato.  I libri consistevano in carta di papiro arrotolata e pergamene. 

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fig.72

L’ospitalità

L'osteria con alloggio era chiamata caupona. Quando si era in viaggio ci si poteva fermare anche in un hospitium (albergo che non disponeva di servizio ristorante) o nella ganea o il gurgustium, alberghi postriboli ubicati in seminterrati cui si aveva accesso solo se si era in compagnia di una donna. Tutte queste strutture godevano di pessima fama: chi era in viaggio cercava di evitarne la frequentazione usufruendo dell'ospitalità di amici o dormiva in carri forniti di materasso (carruca dormitoria). Per bere e per mangiare c’erano la taberna e la popina mentre la lixa era l’odierna tavola calda. Nel vinarius nella taberna vinaria si poteva acquistare del vino da portare via o da bere sul posto. Nel thermopolium invece si servivano bevande calde e fredde.

La religione

I romani credevano fermamente che per poter vivere in pace dovevano raggiungere la concordia con gli dèi e ciò poteva avvenire solamente se si celebravano frequenti feste rituali in loro onore, rispettando però minuziosamente le regole dei cerimoniali, e offrendo loro dei sacrifici. Quali erano le divinità adorate dai romani? Partiamo dai penates (fig.73), il cui nome deriva da penus (= dispensa) perché vegliavano sulla parte della casa in cui si custodivano le provviste e dove bruciava il fuoco di Vesta, la dea del focolare (il fuoco della casa andava coperto la sera e ravvivato di giorno; solo se il padrone lasciava definitivamente la casa andava spento con del vino durante la celebrazione di un particolare rituale). Erano effigiati in piccole statuette di argilla. Ogni casa ha i suoi penates e quando la famiglia si trasferisce in un'altra residenza è seguita da queste divinità. In occasione del pasto serale veniva loro offerta una porzione di cibo. Ogni famiglia godeva della protezione di proprie divinità, ma c'erano anche i Penati del popolo romano, onorati nel tempio di Vesta, custoditi sotto delle stuoie insieme ad amuleti sacri. 

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fig.73

I Lari o Lases erano i protettori dei crocevia (un po’ come lo saranno le edicole con la Madonna e i santi). Durante le feste dei Compitalia le loro statuette erano coperte da ghirlande di fiori. I Lari erano rappresentati nelle sembianze di cani da guardia che difendevano le case o nelle vesti di fanciulli danzanti con in mano una coppa di vino o la cornucopia. All’interno delle abitazioni le loro immagini erano custodite nel larario, un'edicola  con funzione apotropaica (fig.74)

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fig.74

Poi c'erano i Mani , le anime dei morti o Divi Parentes ovvero gli antenati sacralizzati. A Roma c'era una fessura chiamata mundus , situata nel punto di incontro tra il cardo e il decumano nel recinto della dea Cerere, sigillata da una pietra. Il sito venne scoperto tre giorni all'anno e si credeva che fosse il passaggio attraverso il quale le ombre dei morti tornavano nel mondo dei vivi allo scopo di ricevere le offerte loro dedicate (qualcosa di simile era celebrato in Grecia in occasione delle Antesterie in onore) di Dioniso (vedi lezione antica Grecia Alimentazione e sport) . Quelli erano giorni nefasti , durante i quali non ci si poteva sposare, né svolgere le normali attività pubbliche I giorni del calendario, infatti, si suddividevano in fasti  e nefasti I primi erano resi propizi dagli dèi: durante queste giornate, ad esempio, si potevano concludere affari, svolgere attività agricole e commerciali. I giorni nefasti erano quelli privi dell'appoggio degli dèi: in questo periodo era consigliabile non iniziare delle nuove attività ma si potevano svolgere i lavori già cominciati C'erano alcuni giorni particolarmente nefasti in cui erano impedite le attività materiali e le pratiche religiose, ad esempio, quando si commemoravano gli eventi disastrosi per la storia di Roma. Le principali divinità avevano origine dalla religione greca ma presentavano qualche variante. Giove Iuppiter era venerato sulle alture; il suo tempio principale sorgeva sui Colli Albani dove si tenevano feste in suo onore che accoglievano tutte le popolazioni del Lazio. Nel VI secolo a.C. il suo culto viene trasferito a Roma nel tempio dedicato alla triade capitolina Iupiter, Iuno, Minerva. Giove garantiva la giustizia, tutelava i giuramenti e favoriva la vittoria in guerra. Essendo il dio principale, il suo culto era officiato da un sacerdote particolare, il flammen dialis . La moglie di Giove era Giunone o Iuno (fig.75)  (l'equivalente greco di Era e della dea etrusca Uni): proteggeva la forza fecondatrice della natura e la capacità di procreare delle mogli. Giunone era anche venerata come Lucina , la dea del parto. A marzo, tutte le madri si recavano presso il tempio in suo onore sul colle Esquilino mentre i mariti rimanevano a casa pregando gli dèi di proteggere il loro matrimonio. Quando la sposa rientrava la coprivano di regali mentre lei preparava il pasto per i servi. Si dice che questa festa sia nata per riparare al ratto delle Sabine (vedi paragrafo L'età monarchica) , atto che provocò l'ira degli dèi, al punto tale da causare la sterilità delle donne catturate dai Romani. Giunone era venerata anche con l'epiteto di Moneta (=ammonitrice). Tito Livio racconta che quando i Galli assaltarono Roma nel 396 a.C. ed entrarono nel Campidoglio furono proprio le oche sacre a Giunone a starnazzare e ad avvisare così dell'arrivo degli assalitori (il simbolo di Giunone era per l’appunto l'oca). 

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fig.75

Venere o Venus era la dea dell'amore (l’Afrodite greca, la fenicia Astarte, Turan per gli Etruschi). Era nota anche col nome Fruti perché proteggeva la fecondità e le messi: le statue di Venere ornavano non a caso orti e giardini. A diffonderne il culto sono stati i soldati che avevano combattuto in Sicilia durante la prima guerra punica perché qui si erano imbattuti nel tempio sul monte Erice dedicato ad Afrodite. Il mito venne esportato col nome di Venus Ericina (fig.76) (vedi lezione antica Grecia L'arte in merito al Trono Ludovisi).  

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fig.76

Associata alla vittoria, divenne protettrice di Giulio Cesare (il quale faceva discendere la sua stirpe Iulia da Iulo, il figlio di Enea nato a sua volta dall'unione di Venere col padre Anchise). Mercurio (l’Hermes greco, l'etrusco Turms) tutelava i commerci e gli imbrogli, proteggeva i ladri e i mercanti. A lui è consacrato un tempio costruito nel V secolo a.C. La dea Diana (= la greca Artemide) deriva da Dius (= luminosa). Originariamente era venerata in un tempio sito in un bosco sacro sulle rive del lago di Nemi. Servio Tullio le farà erigere un santuario sull'Aventino. Era la protettrice della vita selvaggia e delle donne incinta. Marte (il greco Ares) o Mars (fig.77) è il dio che ha dato i natali a Romolo e Remo. Protegge l'ardore giovanile, la guerra combattuta dalle giovani leve e i campi dalle calamità naturali. I templi dedicati a questo dio sorgevano ai confini con la città o vicino le mura per proteggerle dagli attacchi di eventuali aggressori. A Mars Ultor (Marte vendicatore) Augusto dedicherà un tempio dentro la città per commemorare l'uccisione dei nemici di Cesare.

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fig.77

 Cerere, la Demetra greca, era la dea del grano che presiede alla crescita dei germogli. Durante i Cerialia (19 Aprile) alla dea si sacrificava una scrofa gravida per augurare un buon raccolto. Nettuno (fig.78) sarebbe l'equivalente latino di Poseidone, ma non possiede il potere immenso di quest'ultimo perché i Romani non erano un popolo marinaio e veneravano soprattutto le fonti e le sorgenti. Il nome Nettuno ha origini etrusche (Nethuns= dio dei pozzi) e aveva un tempio a lui dedicato nel Campo di Marte. 

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fig.78

Vulcano o Vulcanus è la versione latina del dio Efesto. Si tratta di un antichissimo dio, forse assimilabile ad una divinità cretese di nome Velkhanos. Aveva figli deformi, tra cui la coppia di fratelli Caco e Caca. Il suo tempio si trovava presso il circo Flaminio e in suo onore si celebravano il 23 agosto i Volcanalia, durante i quali si invocava la protezione del dio dagli incendi, soprattutto boschivi, perché danneggiavano anche, estendendosi, i campi coltivati. Il sacerdote incaricato ufficialmente della celebrazione era il flamen vulcani, il quale bruciava dei piccoli pesci vivi pescati nel Tevere. Minerva (fig.79) (= dea Atena) era venerata a Veio nel tempio vicino al Portonaccio dove è stata rinvenuta la famosa statua etrusca di Apollo (vedi lezione Gli Etruschi). Venne   inclusa nella triade capitolina grazie a Tarquinio Prisco. Al pari di Atena, Minerva sovrintendeva la techné e l'abilità manuale degli artigiani. 

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fig.79

Apollo deriva invece dall'etrusco Apu o Apulu ed era supplicato per difendersi dalle epidemie. La dea romana della guerra è Bellona, titolare di un tempio nel campo Marzio. C'erano poi degli dèi minori: della folta schiera scegliamo di parlare di Carna, la dea dei cardini, cui era affidato il controllo delle nascite e delle viscere degli uomini (da caro=carne). Nella vita del bambino Vaticanus favoriva il primo vagito, Educa gli insegnava a mangiare e Potina a bere, Abeona e Adeona rispettivamente ad uscire a rientrare a casa, Fabulinus a pronunciare le prime parole. Se si parla di religione romana non si può non accennare ai Flamines, sacerdoti nominati dal pontefice massimo che si occupavano di onorare le varie divinità. Si suddividevano in maggiori e minori, indossavano un berretto con in cima un filo di lana (apex) e una toga purpurea. Il più importante era quello incaricato del culto di Giove, il Flamen Dialis (fig.80)che addirittura aveva un seggio al Senato. 

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fig.80

Alla moglie, la Flaminica, così come al marito, erano imposti una serie di divieti: per esempio non potevano lasciare Roma perché se l'avessero fatto Giove si sarebbe sentito trascurato finendo con allontanarsene anche lui, con grande pericolo per la città. Non potevano indossare anelli o avere nodi sui vestiti. Se lungo il loro cammino si imbattevano in un condannato alla fustigazione il supplizio doveva essere rimandato. Le loro unghie e i capelli tagliati erano considerati contenenti un magico potere per cui dovevano essere sepolti sotto un albero fecondo per essere certi che nessuno potesse impadronirsene per farne un cattivo uso. I due sacerdoti, inoltre, dovevano evitare di entrare in contatto con cadaveri e roghi, simboli di morte. Non potevano mangiare carne cruda. In caso di morte della moglie il Flamen Dialis non poteva continuare ad esercitare la carica (così come Giove non poteva esistere senza Giunone).  Un dio molto importante era Giano (fig.81), raffigurato con due teste di cui una guarda innanzi e l'altra indietro: egli vede tutto ciò che è accaduto e che accadrà. Giano è il dio del passaggio e dunque custodisce le soglie. Durante i periodi di pace il suo tempio è sbarrato mentre veniva spalancato quando si dichiarava la guerra (l’edificio è stato chiuso solo sotto gli imperi di Nerone ed Augusto). La sua sposa era Giuturna, ninfa di una fonte. 

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fig.81

Tra le tante curiosità sulle credenze religiose romane ricordiamo che era considerato un crimine far passare il raccolto del vicino nel proprio campo facendo uso di pratiche magiche: i confini erano inviolabili e il dio che li tutelava si chiamava Terminus. Quando una città invadeva il territorio di un'altra la contesa si risolve nella guerra, se vanno in contesa due vicini la soluzione è il processo. Il passaggio attraverso la porta che dà su un esterno era accompagnato da una serie di formule che andavano pronunciate insieme al compimento di gesti scaramantici. Non bisognava entrare con il piede sinistro attraverso una soglia, né inciampare perché tutto ciò era considerato nefasto. Se si verificavano troppi segni sfavorevoli prima del compimento di un'azione occorreva rimandarla. Pronunciare una parola sbagliata era indice di sicuro insuccesso. Come risulta evidente, dunque, il romano di quei tempi cercava continuamente di cogliere il significato dei presagi per poterli interpretare, sia per quanto riguarda la vita pubblica che quella privata. 

Calendario romano delle festività religiose

Per gli antichi romani la pratica dell’agricoltura era un mezzo per onorare le divinità: coltivare i campi incolti era ritenuto una sorta di dovere. Il calendario religioso era caratterizzato perlopiù da feste agricole. Ecco qui di seguito le date delle principali ricorrenze (alcune sono state già citate nella lezione):

Lari Compitali: festeggiati a gennaio (gli abitanti dei quartieri, compresi gli schiavi, organizzavano una festa del vicinato).

Lupercalia: dal 13 al 15 febbraio (in onore della lupa. I sacerdoti preposti indossavano un perizoma di pelle di capra consacrato a Marte. Sacrificavano un cane e delle capre, toccavano la fronte di due giovani nobili con il coltello insanguinato per poi pulirlo con bende di lana imbevute di latte. Banchettavano indossando le pelli degli animali sacrificati e correvano intorno al Palatino (ove era ubicata una grotta sede del loro santuario) colpendo con pelli di caprone le donne che volevano avere figli per propiziare la fertilità).

Terminali: 23 febbraio (i padroni dei campi attigui deponevano una corona su Termine, la pietra che delimita i confini e offrivano un dolce alla divinità. Successivamente banchettavano insieme mangiando un agnello o un maialino sacrificati).

Festa dedicata alla Tacita Muta: 21 febbraio (onorata durante le Parentalia, le feste dedicate ai defunti che i vivi hanno conosciuto, era la dea che personificava il silenzio. Una vecchia, circondata da un gruppo di ragazze, metteva con tre dita tre grani di incenso sotto la porta in un buco scavato da un topo, si metteva in bocca sette fave nere e legava tre fili ad un fuso nero. In seguito, ricavava una pozione da una testa di pesce impiastricciata con la pece, trafitta da un ago reso incandescente, su cui si era versato sopra del vino, e mentre la beveva recitava, all’unisono con le ragazze, la seguente formula:” Ho incatenato le lingue e lo sguardo di chi mi è nemico”). 

Refugium: 24 febbraio (il re, nella funzione di sacerdote, andava a compiere insieme ai Salii dei sacrifici davanti ai comizi. Successivamente, al termine della cerimonia, fuggiva per rinchiudersi nella reggia fino al primo di marzo, l’inizio della primavera, periodo di rinascita).

Mercurio: 15 marzo (i commercianti onoravano il dio con sacrifici, riempivano un’urna con l’acqua della sua fonte sita presso porta Capena, ci affondavano un ramo di alloro con cui si spruzzavano i capelli invocando il suo aiuto per ottenere lauti guadagni anche grazie ad imbrogli).

Giunone Lucina: venerata a marzo (la festa delle matrone).

Anna Perenna: 15 marzo (i romani lasciavano la città, passavano il ponte e si recavano a fare una scampagnata dall’altra parte del Tevere, ove si trovava il bosco sacro alla dea. Partecipavano ai banchetti per poi ritornare la sera).

Feriae Martis: dal 1 al 24 marzo (i salii, sacerdoti di Marte, percorrevano la città imbracciando gli scudi. Danzavano e recitavano inni antichissimi, chiamati carmina saliaria, per invitare il dio a proteggere la città).

Veneralia: 1° aprile (si celebrava Venere Verticordia, “colei che è capace di mutare i cuori”. Le matrone spogliavano la statua sita nel tempio della dea, la lavavano, la rivestivano, la inghirlandavano e bevevano una coppa di latte e miele cosparsa di papaveri. Si faceva tutto questo per espiare eventuali mancanze commesse nei confronti della divinità).

Cerere: 12 e 19 aprile

Fordicidie: 15 aprile (in onore della dea Tellus (madre terra), si sacrificava una vacca gravida, se ne estraeva l’embrione che veniva fatto bruciare dalla Grande vestale sul fuoco di Vesta e se ne conservavano le ceneri).

Palilia: 21 aprile e 7 luglio (in onore di Pale, la dea dei pastori. Il 21 aprile (giorno della fondazione di Roma) si sacrificavano pecore e montoni mentre il 7 luglio (giorno della morte di Romolo) vacche e vitelli. Si versava acqua sugli animali e si producevano fumigazioni azzurre con lo zolfo. Ghirlande di fiori e foglie erano appese all’ovile, si accendevano fuochi in cui venivano gettate le olive, gambi di fave e le ceneri degli embrioni bruciati in occasione delle Fordicidie. Uomini e animali scavalcavano il fuoco per tre volte. Il pastore offriva in sacrificio latte caldo, grani, dolci di miglio e pregava Pale affinché proteggesse le greggi dal pericolo dei lupi, dalle malattie e dalla siccità).

Lemuria: 9,11,13 maggio (in onore di Remo)

Rito del pons Sublicius: 17 marzo e 15 maggio (le Vestali, seguite dal popolo in processione e dai magistrati, gettavano dal ponte Sublicio ventisette fantocci fatti di giunco chiamati Argei. Si dice che in passato, durante queste festività, venivano sacrificate al dio del fiume persone con più di 60 anni (depontani senes) per volere di Giove. Un giorno però il rituale venne impedito da Eracle, aiutato da sodali provenienti da Argo, motivo per cui i pupazzi erano chiamati Argei. I pupazzi rappresentano il male e il pericolo di contaminazione che doveva essere scongiurato all’inizio della primavera ai fini di un buon raccolto).

Carmentalia: 11 e 15 maggio (in onore delle Camene: Egeria, divinità della terra, Antevorta e Postvorta. Le ultime due erano le divinità dei nascituri e del parto in posizione rispettivamente cefalica e podalica. Durante la celebrazione si versava acqua e latte nella sorgente loro dedicata per celebrare la fecondità).

None Caprotinae: 7 luglio (sotto la protezione di Giunone le donne libere e le schiave sacrificavano una vittima sotto un fico selvatico (caprificus) facendo colare il suo lattice, simbolo del latte materno).

Lucarie: 19 e 21 luglio (si celebravano le divinità dei boschi che avevano dato asilo ai romani in fuga dai Galli Senoni nel 390 a.C).

Neptunalia: 23 luglio (si omaggiava Nettuno che tutelava i canali di irrigazione. Si svolgevano gare equestri e si celebrava il dio all’interno di capanne costruite con giunchi e rami).

Festa di Furrina: 25 luglio (si celebrava questa dea che vigilava su pozzi e fontane).

Festa della vigna: 19 agosto (si chiedeva protezione contro la grandine e gli acquazzoni che potevano danneggiare la vendemmia).

Consualia: 21 agosto e 15 dicembre (il dio Conso presiedeva alla deposizione dei semi della terra e tutelava le scorte alimentari).

Volturno: 27 agosto (si pregava la divinità per proteggere le uve dallo scirocco).

Festa di Giove Medico: 11 ottobre (si celebrava il vino nuovo).

Mani: 24 agosto, 5 ottobre, 8 novembre (in onore dei defunti).

Saturnali: 17 e 23 dicembre (in onore di Saturno schiavi e padroni mangiavano alla stessa tavola. Ricordava l’età dell’oro in cui tutti gli uomini erano considerati uguali: per questo motivo durante la festa si indossava il pileus, il cappello degli schiavi affrancati).

Novendiale: rito celebrato ogni volta che si temevano presagi funesti per Roma. Si facevano nove giorni di sacrifici in cui ogni attività era sospesa. Erano anche i nove giorni in cui le famiglie onoravano il defunto a partire dal suo funerale.

Calende: primo giorno di ciascun mese consacrato a Giano e a Giunione.

Nona: nono giorno di ciascun mese.

Nundine: mercato che si teneva ogni nove giorni a partire dal primo gennaio. Era consacrato a Giove: in quest’occasione il Flamen Dialis sacrificava un montone.

Roma nella cinematografia e nella storia del teatro

L’antica Roma è stata fonte di ispirazione per il cinema e di tante opere letterarie scritte nel corso dei secoli. Ho scelto di parlare di due pellicole cinematografiche e della celebre tragedia Giulio Cesare di W. Shakespeare

Scipione l’Africano (1937)

Film di propaganda, è stato realizzato durante l'epoca fascista in seguito all'occupazione dell'Etiopia avvenuta nel 1935 senza il consenso della società delle Nazioni. Il regista Carmine Gallone era stato già responsabile, durante la Grande guerra, della propaganda cinematografica con al centro la Marina militare ed aveva realizzato altri kolossal in costume. Il lungometraggio, ambientato nella seconda guerra punica ha come protagonisti Annibale (l’attore Camillo Pilotto (fig.82 e 83) e Scipione l'Africano (l’attore Annibale Ninchi (fig.84 e 85)

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fig.82
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fig.83
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fig.84
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fig.85

Vi sono raccontati i fatti storici a partire dal 207 a.C., quando Scipione si imbarca per l’Africa, fino alla vittoria di Zama del 202 a.C. (vedi quadro storico di questa lezione). L'opera pullula di rimandi all'età contemporanea: l'obiettivo perseguito da Scipione di vendicare la sconfitta subita dai romani a Canne allude al riscatto dell'Italia auspicato da Mussolini per l'offesa subita dalla “vittoria mutilata”. Nel film sono numerose le sequenze in cui è protagonista la massa fedele al suo leader fino alla morte, proprio ciò che voleva mostrare la propaganda totalitarista. Tutto ciò è particolarmente evidente nelle prime scene quando Scipione é salutato da una moltitudine di braccia alzate (il gesto ricorda il saluto romano (fig.86). 

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fig.86

Il condottiero si appella direttamente al popolo per ottenere il consenso alla spedizione in Africa: in questo si vuol far riferimento indirettamente allo stretto rapporto di intesa che c’era tra Mussolini e gli italiani. Molto forte é la dicotomia tra Bene (incarnato da Scipione) e Male (simboleggiato da Annibale): infatti, il condottiero romano agisce sempre di giorno, il cartaginese di notte; nella battaglia finale Scipione cavalca un cavallo bianco mentre Annibale un cavallo nero. Le due figure però presentano anche delle forti analogie: ciò accade quando Annibale è costretto dai suoi compatrioti a tornare in patria per difenderla dai romani e, allo stesso tempo, una situazione analoga la vive Scipione quando deve lottare per farsi valere contro il Senato.  Il messaggio finale del film è il seguente: la storia è fatta da coraggiosi condottieri carismatici, gli unici e i soli in grado di guidare intere masse.

Spartaco (1960)

Il film, diretto da S.Kubrik, vede come produttore Kirk Douglas che ne è anche l'interprete principale (fig.87). La trama racconta la storia di Spartaco, il celebre gladiatore della Tracia che osò sfidare Roma mettendosi a capo di una rivolta inizialmente scoppiata a Capua nel 73 a.C. e che si estende nell'Italia meridionale. Purtroppo, i ribelli saranno alla fine sterminati da Crasso, il quale ne ordinerà la crocifissione lungo la via Appia. Al centro della trama evidentemente c'è il tema della lotta di classe. La figura di Spartaco ha ispirato, tra l'altro, un movimento rivoluzionario nato in  Germania all' epoca della Repubblica di Weimar (1919): gli aderenti volevano attuare una rivoluzione operaia sul modello di quella bolscevica russa. Le prime sequenze del film vogliono mettere in luce le dure condizioni di vita e di lavoro dei minatori (tutti schiavi) all'epoca dell'antica Roma e, in seguito, quelle dei gladiatori.  Nella prima parte del film domina gli spazi, in chiave simbolica, la figura del cerchio che caratterizza l'arena, il luogo in cui avvengono gli scontri tra i gladiatori trattati come bestie da circo. Lo spazio a emiciclo in cui si riunisce il Senato è, invece, il luogo simbolo della civiltà e della democrazia romana. Altre ambientazioni fortemente simboliche sono le celle quasi catacombali in cui vengono fatti dimorare i gladiatori in condizioni simili a quelle delle bestie. Essi si uniranno nella rivolta insieme a schiavi, donne e bambini. I romani sapranno agire in modo da sedare i ribelli: il ritorno all'ordine è simboleggiato dall'allineamento dell’esercito perfettamente schierato così come quello delle file delle croci su cui verranno appesi gli schiavi sconfitti (per ultimo anche Spartaco). Il tema è dunque quello della rivolta di classe miserabilmente fallita. Il film prende ispirazione dal romanzo del 1951 scritto da H.Fast, ma diversamente da quest'ultimo, il protagonista non muore in battaglia bensì crocifisso (fig.88) dopo aver visto un'ultima volta la compagna Varina, con il figlio avuto da lei, pronti a scappare verso la libertà.

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fig.87
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fig.88

G.Cesare  tragedia di W. Shakespeare

Ispirata alle Vite di Plutarco la tragedia in 5 atti, composta nel 1599, è stata rappresentata al Globe Theater lo stesso anno. Stampata per la prima volta nel 1623, Giulio Cesare si allinea alle altre tragedie di William Shakespeare per quanto riguarda la trattazione di alcuni temi come l'importanza del fato che segna il destino degli uomini e della storia.  Viene infatti menzionato l'accadimento di fatti sorprendenti e innaturali: l’apparizione di gocce di fuoco, in luogo della pioggia, che cadono dal cielo, braccia che all'improvviso si infuocano come tizzoni ardenti, leoni che si aggirano liberi nel Campidoglio. Il tema del presagio è presente anche nei sogni di Calpurnia, la moglie di Cesare, popolati da incubi profetici: la mattina successiva ella invita il marito a non recarsi in riunione al Senato e quasi riesce a convincerlo, ma interverrà Decio a dissuaderlo sfruttando l'ambizione di Cesare (“probabilmente -gli dice -la convocazione nasconde l'offerta a sorpresa della corona imperiale”). Giulio Cesare viene descritto come un vecchio ambizioso e privo di umiltà mentre i suoi avversari Bruto e Cassio sono i suoi assassini e incarnano le virtù repubblicane insieme alla lotta per la libertà in nome della quale sacrificheranno le loro vite. Portia, il personaggio femminile, é la moglie di Bruto e figlia di quel Catone che preferì suicidarsi piuttosto che soccombere alla dittatura di Cesare. Figura molto simile a Lady Macbeth, morirà pazza inghiottendo del fuoco perché non riesce a sopportare l’esilio di Bruto e il potere crescente di Marco Antonio ed Ottaviano. Ella segue l’esempio del marito e del padre ed è pronta a sostenere la ribellione di cui vuole fare assolutamente parte. Marco Antonioinvece è un abile parlatore, seguace di Cesare, capace di trascinare con i suoi discorsi un intero popolo contro i cesaricidi costretti a rifugiarsi a Sardi, in Lidia. La sua orazione funebre pronunciata alla morte di Cesare è un capolavoro di retorica: il discorso si caratterizza per una serie di negazioni; egli cita, inoltre, i passaggi del testamento del dittatore in cui lascia a ciascun cittadino romano 75 dracme ea tutto il popolo romano dona tutti i suoi beni immobili. Sarà il fantasma di Cesare a decretare la morte di Bruto preannunciandogli una futura apparizione a Filippi dove l'indomani i due eserciti si scontreranno mentre Cassio morirà a breve il giorno del suo compleanno. Durante la battaglia, in un primo momento Bruto avrà la meglio su Ottaviano. Cassio è sconfitto da Antonio ma, credendo che il compagno fosse stato battuto, si suicida e Bruto seguirà il suo esempio. Alla fine della tragedia solo il suicidio sarà dunque l'unica via di uscita dalla terribile azione commessa. Sia Ottaviano che Marco Antonio riconoscono la nobiltà di Bruto, il solo tra tutti i congiurati ad aver agito in nome delle virtù repubblicane; tutti gli altri hanno partecipato all'omicidio di Cesare mossi solo dall'invidia: Cassio, in realtà, non sopportava che Cesare fosse più grande di lui omicidio e non riusciva allo stesso tempo ad accettare i propri limiti, motivo per cui cerca degli alleati anche perché non possiede i mezzi per concretizzare il suo pianoforte. Infine, il popolo romano è descritto come volubile perché cambia continuamente idea: prima crede a Bruto, ma in seguito si fa trascinare dalle parole di Marco Antonio. 

 

 

 

Bibliografia

  • AA.VV. Le civiltà Le antiche popolazioni in Italia e la civiltà di Roma volume II, Vallardi Edizioni Periodiche Milano, 1963

    G. Guidorizzi Il grande racconto di Roma, Il Mulino, 2021

    AA.VV. Le grandi battaglie che hanno fatto la storia, Gribaudo, 2018

    G. Miro Gori  Insegna col cinema, Edizioni Studium Roma, 1996

    F. Dupont La vita quotidiana nella Roma repubblicana, Collana Biblioteca della storia Vite quotidiane BUR Corriere della Sera, 2018

    James W. P. Campbell W.Pryce La biblioteca Una storia mondiale, 2020, Einaudi

    W. Shakespeare Giulio Cesare, Biblioteca universale Rizzoli, 1986

    Fumetti:

    Gabella Meloni Traina Cesare Collana Comics Historica biografie edita da Mondadori, 2017

    Adam Convard Vignaux Bourdin Vercingetorige, Collana Comics Historica biografie edita da Mondadori, 2017

     

Letture consigliate

  • L.Maganzani L'arte racconta il diritto e la storia di Roma, Pacini Giuridica, 2020

Sitografia

Sitografia Immagini

Documentari

Titolo Link
Amilcare Barca e le guerre puniche (con A.Barbero) link
Antonio e Cleopatra (da Ulisse e il piacere della scoperta) link

Cinematografia

Titolo Descrizione
Giulio Cesare Film del 1953. Regista Joseph L. Mankiewicz Trasposizione fedele dell'omonima trafedia di W.Shakespeare. Tra gli interpreti ricordiamo M.Brando.