Antica Grecia Il mito e la religione

Antica Grecia Il mito e la religione

Caratteristiche del mito

Il mito è una narrazione fantastica, all’inizio tramandata oralmente, che ha come scopo quello di spiegare fenomeni naturali (pioggia, fuoco, alternarsi delle stagioni, etc.), straordinari (il diluvio universale), l'origine dell'universo, un particolare rituale, la nascita dell'uomo, il nome di località geografiche, concetti complessi quali la morte e il destino. Queste tematiche, trattate nei miti di tutte le civiltà, sono universali. Essendo stati tramandati oralmente, i miti hanno subìto modifiche o aggiunte nel corso dei secoli. Ci sono miti elaborati da popolazioni ubicate in aree geografiche differenti che mostrano somiglianze straordinarie nelle varie versioni: un esempio per tutti è quello del diluvio universale, protagonista del racconto biblico dell’arca di Noé, del mito greco di Deucalione e Pirra e dell'epopea babilonese di Gilgameš. Ciò ha portato gli studiosi a supporre che sia accaduto davvero un evento del genere nei tempi antichi. Quali sono i meccanismi narrativi che caratterizzano il racconto mitico? In questo tipo di narrazione l'eroe protagonista affronta forze nemiche aiutato da divinità, l'antagonista subisce alla fine una punizione mentre al contempo vengono premiati i comportamenti virtuosi che rispettano i valori alla base di una civiltà. Il tempo è indeterminato (spesso anteriore alla nascita della storia), gli spazi sono perlopiù aperti e regna una natura incontaminata. Tutti i miti fanno riferimento a luoghi ben precisi (ad esempio Arianna viene abbandonata a Nasso vedi lezione La civiltà cretese). I personaggi sono creature straordinarie, eroi coraggiosi con poteri soprannaturali e uomini comuni. Lo studio dei miti è molto importante perché ci fornisce informazioni sulla civiltà che li ha prodotti (ad esempio l’organizzazione sociale patriarcale), i suoi valori e ci aiuta a ricostruire la storia dei popoli.

La nascita degli dèi

All'inizio era il Caos da cui discendono Gea, la Terra, ed Eros. Gea partorì l'Erebo, la Notte, Urano (il cielo stellato). Urano e Gea generano i Giganti centimani (con 50 mani e 50 teste) e i Ciclopi (giganti con un solo occhio). Urano incatena tutte le creature avute dalla madre- moglie e le getta nel Tartaro (vedi sitografia)Gea partorisce allora la stirpe dei Titani: Oceano, Ceo, Iperione, Clio, Giapeto e Crono. Gea convince Crono a far fuori il padre Urano e a liberare i fratelli rinchiusi in catene nel Tartaro. Crono allora lo evira con un colpo di falce con la lama di diamante (pietra durissima) e dalle gocce di sangue cadute dalla ferita si generano le Erinni (divinità vendicative) mentre dai genitali scagliati in mare nascerà la dea dell'amore e della bellezza Afrodite (da Aphròs= spuma). Con la sorella Rea (figlia di Gea ed Urano) Crono avrà dei figli che un giorno divorerà uno dopo l’altro per paura di essere spodestato. Si salverà solo Zeus perché la madre lo porterà in salvo nell'isola di Creta e al suo posto darà in pasto a Crono un grosso sasso spacciandolo per il figlio (vedi lezione La civiltà minoica). Quando il dio si accorgerà di essere stato gabbato, sputerà il masso che andrà a conficcarsi a Delfi ove continuò a essere onorato come “doppio” di Zeus (fig.01). 

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fig.01

Una volta divenuto adulto Zeus, con l'aiuto della dea Meti, costringe Crono, alleatosi con i Titani, a vomitare tutti i suoi fratelli che aveva inghiottito per poi neutralizzarlo definitivamenteZeus ingaggia una strenua battaglia con l'aiuto dei Giganti centimani e dei Ciclopi. Vince la fazione di Zeus, il quale diviene l’incontrastato capo degli dèi. Gli sconfitti finiranno nel Tartaro. Ma di cosa si parla davvero in questo mito? La storia in realtà ci vuole raccontare dei timori di tutti quei padri che non accettano di essere sostituiti un giorno dai figli nella guida della famiglia, tema molto presente nella mitologia greca.

Gli dèi del pantheon olimpico

Zeus

Capo degli dèi, è rappresentato con una folta capigliatura e una barba arricciata. I suoi simboli sono: lo scettro, il fulmine e l'aquila (fig.02). Padrone del cielo e della terra, prende in moglie la dea Era. È lui l'arbitro del destino degli uomini.

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fig.02

Era

Moglie di Zeus, è gelosa delle tante scappatelle del marito e perseguita le sue amanti. Il suo aspetto è quello di una matrona, indossa un velo, ha i capelli ondulati che si dividono in due cascate sulla fronte. I suoi simboli sono: il cuculo, la melagrana, il pavone (i cui occhi spalancati sulle ruote alluderebbero agli occhi di Argo, il custode di Io) (vedi sitografia) e la giovenca (fig.03).

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fig.03

Poseidone

Al fratello Poseidone Zeus ha assegnato il dominio dei mari. Poseidone, con l’aiuto di Apollo, costruisce le mura di Troia. È protagonista, insieme ad Atena, della contesa per il predominio sull’Attica (vedi lezione Antica Grecia L’arte). Vive in una reggia in fondo al mare insieme alla sposa Anfitrite, figlia di Oceano. Secondo il mito Poseidone scatenava i terremoti e i maremoti. Ha un carattere capriccioso e vendicativo (vedi lezione Odissea); è rappresentato su un carro a forma di conchiglia trainato da ippocampi. I capelli inanellati alludono alle onde del mare. Ha come simbolo il tridente (fig.04). La sua corte è popolata da nereidi e tritoni (vedi sitografia).

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fig.04

Ade

Ade é il fratello di Zeus e Poseidone nonché dio dell'oltretomba, regno popolato dalle ombre dei morti. La sua sposa é Persefone. Ha una barba folta, il capo è incoronato da foglie nere, i suoi simboli sono lo scettro infernale, l'elmo dell'invisibilità e un forcone a due denti (fig.05). Il regno dei morti si suddivideva in più regioni: i Campi Elisi erano la dimora degli eroi e dei valorosi, nel Tartaro venivano mandati i malvagi mentre sui prati di asfodelo c'erano coloro che in vita non erano stati né cattivi, né buoni. C'erano inoltre cinque fiumi che scorrevano nell'Ade: l’Acheronte (il fiume del dolore), lo Stige (il fiume dell'odio), il Cocito (il fiume delle lacrime), il Lete (il fiume dell'oblio la cui acqua serviva a cancellare i ricordi della vita terrena) e il Flegetonte (il fiume del fuoco). Il traghettatore delle anime nell’Ade era Caronte, figlio dell'Erebo e della Notte: nella bocca dei defunti veniva inserita una moneta come obolo per pagare il suo servizio di trasporto. Una volta entrati nell’Ade si era sottoposti al giudizio del dio.

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fig.05

Febo o Apollo

Figlio di Zeus e Latona, Apollo ha l’aspetto di un giovane bellissimo dai capelli ricci, neri, con riflessi bluastri. I suoi simboli sono: la lira, l'arco e la faretra, la corona di alloro (fig.06). Tra i miti di cui é protagonista ricordiamo quello che narra della nascita della pianta di alloro: il dio si era innamorato di Dafne, la figlia del fiume Peneo (che scorre in Tessaglia), ma purtroppo non era ricambiato. Un giorno la ninfa, per sfuggire ai suoi assalti amorosi, si rifugiò sulle montagne, ma braccata da Apollo, nel momento in cui stava per essere raggiunta, invocò il padre supplicandolo di aiutarla a salvarsi: fu così che si trasformò nella pianta di alloro che, da quel momento, è divenuta sacra al dio (fig.07).

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fig.06
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fig.07

Artemide

Sorella di Apollo, Artemide é la dea della caccia e una delle personificazioni della luna. Vive cacciando nei boschi ed è assistita dalle sue ninfe (fig.08). Chiese e ottenne da Zeus di rimanere illibata. I suoi simboli sono: il cervo, l'arco e le frecce. È protagonista del mito di Atteone,un cacciatore che ebbe l'ardire di spiare la dea mentre si stava facendo un bagno nel fiume insieme alle ninfe. Scoperto, venne punito e trasformato in un cervo poi sbranato dai suoi stessi cani (fig.09).

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fig.08
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fig.09

Atena

Atena era figlia di Zeus e Meti. Quest’ultima era una delle Oceanine e il suo nome deriva da métis: con questo termine i Greci volevano significare “l’intelligenza che permette di risolvere i problemi”. Quando Zeus iniziò a temere di essere spodestato dai figli (cosa che aveva fatto lui stesso e, a sua volta, suo padre Crono nei confronti di Urano) decise di ingoiare la propria sposa incinta. Fu assalito però da un terribile mal di testa cosicché chiese a Efesto di aprirgli il capo con un colpo di scure. Ecco allora saltar fuori la dea Atena vestita da guerriera, armata di scudo, elmo e lancia.  Atena é la dea della Sapienza, è la protettrice della tessitura e della strategia militare. Protagonista con Poseidone della contesa per il predominio sull'Attica (vedi lezione Antica Grecia L’arte), ha come simboli la civetta (che allude alla saggezza) e l'ulivo. Indossa una tunica con l'ègida (il mantello di pelle di capra con l'effige della Medusa) (fig.10). Una delle statue più celebri dell'antichità che la rappresentavano era quella crisoelefantina realizzata da Fidia (vedi lezione Antica Grecia L'arte). Atena é protagonista del mito di Aracne: la fanciulla si vantava di essere più abile della dea nell’arte della tessitura. Quest'ultima, travestita da vecchietta, le propose allora una gara con la protettrice di Atene per vedere chi tra le due fosse in grado di creare il manufatto più bello: Atena fece un ricamo che illustrava le meraviglie dell'Olimpo mentre Aracne illustrò gli amori di Giove. Il lavoro della fanciulla era così splendido che Atena, sentendosi sconfitta, la trasformò in un ragno (fig.11): è così che i Greci spiegavano l'origine di questi insetti.

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fig.10
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fig.11

Ares

Figlio di Zeus ed Era, Ares era il dio della guerra. È rappresentato come un soldato armato (fig.12). I suoi simboli sono: il gallo (animale da combattimento) e l'avvoltoio rapace che si nutre di cadaveri. Riuscì a far innamorare di lui la bella Afrodite che però era sposata con il dio Efesto. Fu il Sole a spifferare a quest'ultimo della loro relazione amorosa. Efesto allora escogitò una trappola: fece prigionieri i due nel bel mezzo di un amplesso amoroso imbrigliandoli in una rete invisibile e, successivamente, espose la coppia al ludibrio degli dèi.

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fig.12

Afrodite ed Eros

Secondo il mito, Afrodite nacque dai genitali di Urano nel momento in cui era stato evirato dal figlio Crono; le Ore (vedi sitografia) le andarono incontro per coprirla con una veste profumata e adornarla di ricchi gioielli (fig.13). Sposa di Efesto, ha come simboli: il cinto e la conchiglia (emblema della rinascita). Suo figlio Eros era il dio alato dell'amore, rappresentato bendato con arco e frecce (fig.14).

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fig.13
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fig.14

Efesto

Creatura nata da Era senza l’intervento di Zeus, si narra che fosse così zoppo e brutto che quando venne al mondo fu scaraventato giù dall'Olimpo sull'isola di Lemno nel Mar Egeo. È proprio qui che il dio creò la sua fucina ove fondeva metalli, creava armi per dèi ed eroi (ad esempio lo scudo di Achille, la cappa e i calzari di Ermes), coppe e vassoi per la mensa degli dèi. È rappresentato come un fabbro muscoloso con martello, tenaglie, scure (fig.15). I vasai appendevano davanti la loro fornace un suo simulacro come buon auspicio per la cottura delle ceramiche.

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fig.15

Ermes

Figlio di Zeus e Maia, Ermes era il protettore dei mercanti, dei ladri, dei viaggiatori (fig.16). Messaggero degli dèi, i suoi simboli sono: il caduceo (vedi sitografia), i calzari alati e la cappa. Il mito racconta che quando era in giovane età si appropriò dei buoi di Apollo e li rinchiuse in una grotta. Il dio scoprì subito il nascondiglio e pretese la restituzione del bestiame. Per placare la sua ira, Ermes si mise a suonare uno strumento da lui ricavato dal guscio di una tartaruga e da alcune corde (la lira). Il suono piacque così tanto ad Apollo che accettò di tenere lo strumento per sé come risarcimento del bestiame rubato: da quel momento divenne uno dei simboli del dio della musica.

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fig.16

Ti racconto i miti greci...

Il ratto di Persefone

La fonte di questo mito è L’inno omerico a Demetra. Ci sono versioni che collocano l'ambientazione del racconto nella pianura di Nisa (Asia centrale), altre in quella di Enna in Sicilia, ove si trova il lago Pergusa, originato dallo sprofondamento di un vulcano e non alimentato da fiumi e torrenti. Secondo le antiche credenze l'ingresso della grotta, sita sulle rive di questo lago, era un tempo l'ingresso dell'Ade. Ma torniamo alla nostra storia… Persefone, figlia di Demetra la dea delle messi, stava cogliendo dei fiori per intrecciare ghirlande quando, all'improvviso, le viscere della terra si spalancano e ne emerge il dio Ade che la porta via con sé: il re dell'oltretomba aveva compiuto questo gesto perché era stanco di vivere da solo e senza amore (fig.17). Demetra, disperata, non sa dove sia finita la figlia e si mette in viaggio alla sua ricerca. Anche le ancelle che dovevano sorvegliare la fanciulla sono costernate e chiedono di poter trasformarsi in esseri alati per poterla cercare meglio: nascono allora le sirene che, nella mitologia greca, erano esseri ibridi metà donne e metà uccelli (vedi lezione Odissea). Durante il suo vagabondare Demetra giunge ad Eleusi (vicino Atene) e qui, nelle sembianze di un'anziana signora, viene ospitata nella reggia di Celeo e Metanira. Demetra rifiuta di bere la coppa di vino rosso offertale dalla regina preferendo la bevanda del ciceone (miscela di farina di orzo, menta e acqua). Ad Eleusi Demetra fa la conoscenza di Iambe, una vecchia signora che riesce a far ridere finalmente la dea dal volto triste con lazzi e battute oscene: non a caso nella metrica greca il verso cosiddetto giambico serve a comporre poesie comiche. A questo proposito occorre ricordare che durante le tesmoforie (feste in onore di Demetra) le donne ateniesi si scambiavano scherzi osceni in ricordo proprio della vecchia Iambe. Il mito ci vuole dunque insegnare come, in generale, la risata nata da scherzi osceni e volgari possa riuscire ad alleviare chi è afflitto dal dolore e dal lutto. Demetra, sempre sotto le sembianze di vecchia signora, diventa la balia del piccolo principe Demofonte e vuole donargli l'immortalità, ma per far questo lo deve sottoporre ad un rituale che prevedeva la sua deposizione tra le fiamme di un focolare. Mentre la dea sta compiendo la cerimonia viene sorpresa dalla regina Metanira che, ovviamente, la interrompe mettendosi a gridare. A quel punto Demetra rivela la sua identità e pretende dagli abitanti di Eleusi, per placare la sua ira, di farsi erigere un tempio ove professare un culto in suo onore: ecco, dunque, come il mito spiega l'origine dei misteri eleusini. A Demofonte Demetra svelerà i segreti dell'agricoltura e gli darà il compito di diffonderli tra gli uomini. Nel frattempo, l'assenza della dea delle messi aveva causato sterilità e carestie nel mondo degli uomini e la conseguente carenza di offerte agli dèi: Zeus allora interviene rivelandole l'identità del rapitore della figlia. Il viaggio di Demetra si conclude con l'arrivo nel regno dei morti. Persefone, tuttavia, non può essere restituita alla madre perché aveva mangiato alcuni chicchi di melagrana, il cibo dei defunti e, dunque, era per sempre legata al mondo degli inferi. Si arriva così ad un accordo: Ade avrebbe avuto con sé la fanciulla sei mesi mentre per la restante parte dell'anno sarebbe potuta stare con la madre nel mondo della luce (in alcune versioni del mito si parla di 2/3 dell'anno con Demetra e 1/3 con Ade). Cosa vuole spiegare questo mito? Il racconto svela l’origine dell'alternarsi delle stagioni: Persefone simboleggia il seme che pian piano germoglia sottoterra, mette radici e genera la pianta che cresce alla luce del sole.

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fig.17

Prometeo

Il nome Prometeo deriva da pro= prima e meth= capire. Figlio del gigante Giapeto e Climene (divinità delle acque), era un Titano. Crea l'uomo da un impasto di acqua e fango (mito condiviso da molte civiltà del Mediterraneo) e dà origine ai riti sacrificali. Prometeo scanna un bue e lo divide in due parti: agli uomini destina la carne e le viscere mentre agli dèi le ossa, ovvero la porzione meno pregiata. Gli dèi, infatti, non avevano bisogno di nutrirsi ed erano soliti cibarsi unicamente dell'odore emanato dall'animale sacrificato: al contrario degli uomini, quindi, avrebbero potuto accontentarsi delle parti più scadenti. Prometeo, dopo aver coperto le ossa di grasso per renderle apparentemente più appetibili, chiede a Zeus quale delle due porzioni avrebbe preferito ricevere in sacrificio. Il signore degli dèi opta per quella più bianca e attraente, ma in seguito, accortosi dell'inganno, non perdona e se la prende con gli uomini, gli esseri più amati da Prometeo. Li priva allora del dono del fuoco senza il quale non avrebbero potuto più mangiare carne cotta e progredire la loro civiltà. Il titano allora si ribella: prende un bastoncino cavo (narthex), ci infila dentro una scintilla e la consegna segretamente agli uomini (fig.18). Questa parte del mito si rivela essere un prezioso indizio: quando nel mondo antico un focolaio si spegneva, per riaccenderlo ci si recava da un vicino dal quale si prendeva in prestito una scintilla con uno stratagemma simile a quello escogitato da Prometeo. La vendetta di Zeus fu terribile: il titano viene incatenato sulle pendici del Caucaso e un'aquila gli divorerà il fegato destinato a ricrescere ogni giorno in modo da rendere la sua tortura senza fine (fig.19). Questo indizio ha un significato simbolico: il fegato, secondo i Greci, è la sede dell'intelligenza degli indovini. Si dice che, per prevedere gli eventi futuri, questi ultimi osservassero soprattutto il fegato degli animali sacrificati. Il titano viene così punito proprio col divoramento perpetuo di quella parte del corpo ove ha sede quell’intelligenza che gli permetteva di prevedere gli eventi (ricordate da dove deriva il nome Prometeo??). Il suo castigo lo ha fatto assurgere a simbolo di chi lotta per il progresso dell'umanità contro il potere imperante. Verrà infine liberato da Eracle, il quale si prenderà gioco delle parole pronunciate da Zeus nel momento della sentenza punitiva nei confronti del giovane titano: quest’ultimo,infatti, era stato condannato a rimanere in catene per sempre. Eracle allora, quando lo libera, gli mette al dito un piccolo anello di ferro ricavato da una catena: in questa maniera, dunque, il giuramento di Zeus formalmente sarebbe stato ancora rispettato.

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fig.18
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fig.19

Deucalione e Pirra

Dall'unione di Epimeteo (il fratello sciocco di Prometeo) e Pandora (la “portasciagure”) (vedi lezione Antica Grecia La donna Il teatro) nasce Pirra “la rossa” (le persone con i capelli rossi non erano molto ben viste in Grecia), la quale sposerà Deucalione, figlio di Prometeo. Deucalione e Pirra sono i protagonisti della versione greca del diluvio universale (mito diffuso nei paesi del vicino Oriente) mandato da Zeus. Solo la coppia riesce a salvarsi arenandosi sul Monte Parnaso (vicino Delfi). Quando i superstiti chiedono all’oracolo di Temi (vedi sitografia) come fare a ripopolare il mondo devastato dal diluvio, ricevono una risposta sibillina: uscendo dal tempio essi avrebbero dovuto slacciarsi le vesti, velarsi il capo e gettare all'indietro senza voltarsi le ossa dell'antica madre (fig.20). Alla fine, i nostri eroi riescono a decodificare il responso; le ossa della madre terra, infatti, non erano altro che i sassi: quelli lanciati da Deucalione avrebbero dato origine ai maschi, quelli gettati da Pirra avrebbero dato vita alle femmine. Il particolare della velatura del capo e del fare qualcosa senza voltarsi sono indizi importanti che riguardano i riti religiosi che si praticavano nell’antichità: questi due accorgimenti servivano a compiere un rituale in sicurezza perché facevano in modo di proteggere il partecipante dal contatto diretto con entità soprannaturali (una simile prescrizione è presente nel mito di Orfeo ed Euridice).

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fig.20

Sisifo

Figlio di Eolo, Sisifo riesce ad imbrogliare e a catturare Thànatos (la morte) cosicché come punizione viene inviato negli Inferi. Prima di partire per il viaggio senza ritorno Sisifo, molto astutamente, raccomanda alla moglie di non celebrare i suoi funerali in modo che Ade non possa accogliere la sua anima nell’oltretomba. Il dio degli inferi gli concede di tornare sulla terra giusto il tempo per mettere le cose a posto ma, ovviamente, Sisifo non mantiene la promessa data. Quando anche per lui arriverà la sua ora, sarà condannato per l'eternità a spingere un masso fino in cima ad una rupe, ma ogni volta, quando sta per arrivare alla sommità, esso tornerà indietro: così facendo Sisifo deve ricominciare tutto daccapo (fig.21). Questa è la fatica di Sisifo, diventata un modo di dire che allude al compiere sforzi senza raggiungere alcun risultato. Una curiosità: alcune versioni del mito raccontano come il padre di Ulisse non fosse Laerte, bensì Sisifo: da qui la sua proverbiale astuzia. 

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fig.21

Castore e Polluce

Castore e Pollùce (fig.22) sono tra i primi “supereroi” della storia: fratelli gemelli, hanno la stessa madre, Leda, ma padri diversi: Castore era stato generato da Zeus, il quale aveva sedotto la fanciulla in forma di cigno mentre Pollùce era figlio di Tindaro re di Sparta e, pertanto, mortale. Pollùce purtroppo rimarrà ucciso in uno scontro. Castore allora chiede agli dèi di farlo ritornare in vita: in cambio gli cederà metà della sua esistenza; da quel momento in poi i due fratelli sono vissuti sempre insieme un giorno nel regno dei vivi e l'altro in quello dei morti.

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fig.22

Le Argonautiche

Tra i figli di Eolo c'era Atamante, re di Orcomeno in Beozia, il quale aveva sposato Nefele (una nuvola). I due generano Frisso ed Elle, rispettivamente un maschio e una femmina. Atamante purtroppo sposa in seconde nozze Ino. La matrigna vuole eliminare i figli del marito avuti dal precedente matrimonio per favorire i suoi. I due fanciulli allora sono costretti a fuggire via in groppa ad un ariete magico dal vello d'oro che aveva la capacità di volare. Purtroppo, durante il volo, Elle cade in acqua: da quel momento quel braccio di mare verrà chiamato Ellesponto (ubicato tra il Mar Egeo e il Mar di Marmara) (fig.23).

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fig.23

Frisso, dopo essere giunto nella Colchide sul Mar Nero, sgozza l'ariete il cui vello d’oro cadrà nelle mani del re dei Colchi, il quale lo nasconderà in un bosco e vi metterà a guardia un terribile drago. Secondo il mito sarà Giasone (fig.24), a capo della spedizione degli Argonauti, ad impadronirsi del vello per consegnarlo a suo zio Pelìa, re di Iolco, che aveva usurpato il trono al fratello Esone, padre dell'eroe. La madre di Giasone, quando il piccolo era ancora in fasce, era riuscita a trarlo in salvo dalle grinfie dello zio e, successivamente, ne aveva affidato l'educazione al saggio centauro Chirone. Un oracolo aveva messo in guardia Pelìa di stare attento ad un uomo privo di sandalo che sarebbe giunto da lontano perché avrebbe causato la sua rovina: quell'uomo era proprio Giasone il quale, mentre era diretto a Iolco, nell’ attraversare il fiume Anauro, aveva sbadatamente smarrito una scarpa. Il re capisce subito di trovarsi dinanzi all'uomo della profezia e promette al giovane di restituirgli il trono solo se avesse compiuto una missione impossibile: conquistare il vello d'oro custodito nella Colchide. Per compiere un'impresa del genere era necessaria una grande nave: Giasone la commissiona ad Argo (da cui il nome della dell'imbarcazione). Essa era dotata di ben 50 remi e, secondo la leggenda, é stata la prima nella storia a solcare i mari!  Aveva inoltre una polena parlante (costruita con il legno di una quercia di Dodona cara a Zeus) e l'equipaggio non aveva nulla da invidiare agli odierni Avengers: il timoniere Tifi era un marinaio eccezionale, Calaide e Zete erano i figli del vento capaci di volare, Orfeo, il famoso cantore, incantava con la sua lira le belve feroci. Poi c’erano Castore e Polluce, Peleo, Teseo, Laerte (il padre di Odisseo) e, infine, Eracle (fig.25).

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fig.24
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fig.25

La prima tappa è l'isola di Lemno , abitata da una popolazione femminile dall'odore nauseante, conseguenza di un loro comportamento che aveva attirato la maledizione degli dèi. I loro mariti, infatti, erano partiti per una spedizione e al loro ritorno avevano portato le donne di Tracia divenute le loro compagne. Le Lemnìadi (donne di Lemno) decisero di vendicarsi dei loro uomini uccidendoli tutti, solo la regina Ipsipìle riuscirà a trarre in salvo suo padre. Quando gli Argonauti approdano sull'isola, il fetore delle donne scompare lentamente e le Lemniadi si accoppiano con i membri della spedizione. Giasone ha anche dei figli da Ipsipile, ma non si farà scrupolo di abbandonarla insieme ai figli avuti da lei quando ripartirà per proseguire la missione. La seconda tappa é Cizico , sul Mar di Marmara, minacciata dalla popolazione dei Pelasgi . Il re di Cizico e Giasone erano tra l'altro uniti dal legame dell'ospitalità. Quando la nave Argo riprenderà il mare, inspiegabilmente il timoniere si addormenta e i nostri eroi verranno nuovamente spinti dalle correnti fino a Cizico, ma gli abitanti ed il loro re non li riconosceranno e, anzi, li scambieranno per i temuti Pelasgi. A loro volta gli Argonauti sembrano non riconoscere i loro amici: si arriverà così ad un duro scontro che vedrà addirittura Giasone uccidere Cizico. Improvvisamente i due gruppi di contendenti si riconosceranno e piangeranno calde lacrime al pensiero di ciò che avevano entrambi commesso. Chi è stato a causare questo terribile contrasto? Probabilmente Pan , il dio greco in grado di turbare pesantemente la mente degli uomini (era questa la spiegazione che gli antichi Greci davano a comportamenti umani privi di senno). 

L'avventura continua... dopo aver sfidato l'invincibile pugile Amico e averlo sconfitto, i nostri proseguono in direzione della Tracia, a ovest del Mar Nero. Qui fanno la conoscenza di Fineo, un indovino privato della vista dagli dèi perché, istigato dalla nuova moglie, aveva accecato i figli. Egli acconsente di rivelare agli Argonauti la rotta per la Colchide solo a patto di liberarlo dalle Arpie, esseri mostruosi metà donne metà uccello simili alle sirene ma, al contrario di queste ultime, esse avevano un aspetto ripugnante. Ogni volta che Fineo imbandiva la sua tavola, i terribili mostri accorrevano in frotte insozzando le vivande con i loro escrementi (fig.26). Entrambi, le Arpie e Fineo, sono rei di aver sovvertito l’ordine naturale: le prime creando una commistione tra cibo e l'espulsione dei residui, il secondo accecando i figli. Gli Argonauti acconsentono ad aiutare l’indovino: Calaide e Zete volano più veloci del vento, inseguono i mostri alati e li cacciano via. Alcune versioni raccontano che le Arpie si rifugeranno nelle isole Strofadi e qui incontreranno Enea durante il suo viaggio per raggiungere l'Italia. 

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fig.26

Successivamente l’equipaggio dovrà superare le Rocce Simplegadi che, spinte dalla forza dei venti, tendono a scontrarsi schiacciando la nave che in quel momento le sta attraversando. Dietro suggerimento di Fineo (in questo la trama ricorda molto i consigli di Circe dati ad Ulisse vedi lezione Odissea), Giasone fa volare una colomba in mezzo alle rocce, il volatile riesce a superarle ma ci lascia la propria coda. Gli Argonauti capiscono allora che possono tentare l'impresa: la nave Argo supera l'ostacolo perdendo però una parte della poppa. Approdati nella Colchide, sulla costa est del Mar Nero (fig.27), i nostri incontreranno il re Eete (fratello della maga Circe e di Pasifae, la moglie del re cretese Minosse), il quale possedeva il tanto agognato vello d'oro; tuttavia, il sovrano accetta di consegnarlo a Giasone solo se supera alcune prove.

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fig.27

In primis egli deve aggiogare feroci tori, dono di Efesto, dagli zoccoli di bronzo, metà automi e metà esseri viventi. Per compiere quest’ impresa Giasone accetta l'aiuto offertogli da Medea (fig.28), abile maga incantatrice figlia di Eete: ella, infatti, procura all’eroe una pomata con cui dovrà ungere il proprio corpo, lo scudo e la lancia per divenire invulnerabile. La donna però vuole che Giasone la porti via con sé per farla sua sposa. 

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fig.28

L’eroe riesce nell'impresa, ma non è finita qui: Eete gli ordina di seminare dei denti di drago (che gli erano stati ceduti dal re Cadmo, fondatore di Tebe), ma in realtà si trattava di un inganno: dai denti si sarebbero originati magicamente gli Sparti, soldati malvagi e imbattibili (fig.29). Medea allora suggerisce a Giasone di lanciare dei sassi tra un guerriero e l'altro: così facendo sarebbero entrati in conflitto tra loro perché si sarebbero accusati a vicenda di aver scagliato le pietre. Così anche questa volta Giasone riesce nell'impresa ma Eete non vuole saperne di cedere il prezioso mantello. 

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fig.29

Allora Medea, grazie ad una sua pozione, addormenta il drago che lo ha in custodia, Giasone afferra il velo per poi fuggire via con la donna e il suo fratellino Absirto destinato ad una brutta fine. Eete prende ad inseguire la nave Argo e allora Medea per dissuaderlo lo fa a pezzi per poi gettarne le carni in mare. Il re della Colchide pone fine all'inseguimento per raccogliere i brandelli del figlio e dargli un'onorevole sepoltura. Da quel momento però gli dèi malediranno Medea. Gli Argonauti giungeranno nella terra degli Ausoni (Italia), nel luogo ove abitava Circe, zia di Medea (la quale, secoli dopo, ospiterà Ulisse). Circe purificherà l'equipaggio con un rituale che prevedeva l’immersione nel sangue di un maialino da latte (richiamo al sacrificio del piccolo Absirto). Successivamente nell'isola dei Feaci, la regina Arete unirà in matrimonio Giasone e Medea. Altra tappa è l'isola di Creta ove i nostri eroi sconfiggono il gigante automa Talos (vedi lezione La civiltà minoica) sempre grazie alle arti magiche di Medea. Durante il viaggio Orfeo, accompagnato dalla cetra, sfiderà le sirene nell'arte del canto e le sconfiggerà. Quando i nostri eroi approdano finalmente a Iolco, trovano una brutta situazione: Pelìa ha ucciso il fratello, nonché padre, di Giasone causando anche il suicidio della madre dell'eroe. Ed ecco che interviene sempre Medea a vendicare gli orribili delitti: la maga viene a conoscenza del fatto che Pelìa vorrebbe tanto ringiovanire e convince allora le sue figlie che questo è possibile grazie alle sue arti magiche e gliene dà una prova: prende un montone, lo fa a pezzi, lo butta in un calderone bollente dal quale uscirà un agnello cosicché le figlie si convincono a fare a pezzi il corpo del padre per poi buttarlo nella pentola ma, ovviamente, non ne esce né vivo, né ringiovanito (fig.30)

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fig.30

Giasone e Medea fuggono a Corinto, ma qui l’eroe sposa Creusa, la figlia del re, allo scopo di succedergli al trono. Secondo l'ottica della cultura greca (vedi lezione Antica Grecia Le donne Il teatro) ai mariti era permesso avere delle concubine e dunque Giasone poteva sposarsi e, nel contempo, continuare a tenere presso di sé Medea. Il ruolo della maga, infatti, non poteva essere diverso da quello di concubina poiché proveniva dalla Colchide, una terra considerata barbara e rozza. Medea, invece, si sente a tutti gli effetti moglie e madre dei figli avuti da Giasone e tutto questo non lo accetta: ecco perché si vendica atrocemente uccidendo questi ultimi (fig.31) e, non contenta, regalerà a Creusa come dono di nozze una veste magica che la farà morire bruciata tra atroci tormenti. Critici e psicanalisti si interrogano da sempre sul significato dell'orribile figlicidio commesso dalla potente strega: forse nei figli ella vedeva il riflesso del loro padre che l'aveva umiliata e tradita. 

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fig.31

In seguito, Medea fugge ad Atene su un carro trainato da serpenti alati (fig.32). Qui sposa Egeo, il re di Atene padre di Teseo. Quando quest’ultimo si presenterà a corte, ella convincerà il re, ignaro di avere un figlio, ad avvelenarlo, ma il tentativo fallirà: secondo il mito Medea verrà trasportata allora nei Campi Elisi ove vivrà in eterno come sposa di Achille; secondo altre versioni diverrà la sovrana di Corinto. 

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fig.32

Assai misera è invece la sorte di Giasone, il quale si recherà ormai solo a meditare sulle sue disgrazie. Un giorno un frammento della nave Argo, appeso come dono votivo nell’Heraion di Corinto, gli cadrà in testa provocandone la morte. Termina così la nostra storia, una storia che si rifà ad una spedizione greca realmente avvenuta nel XIII secolo a.C., prima della guerra di Troia. Come avviene per tutti i miti anche questo è il frutto della fusione di realtà e fantasia. Il mito del vello d'oro probabilmente si ispira al fatto che la Colchide era una regione ricca di oro e di ferro: gli abitanti del posto avevano inventato racconti terribili e meravigliosi per tenere lontani altri popoli da queste ricchezze ed è allora che questa bellissima leggenda ha iniziato a circolare tra i marinai che attraversavano il Mar Nero e il Mar Egeo.

Orfeo ed Euridice

Come abbiamo già visto, Orfeo era un cantore e suonava la lira in maniera così eccezionale da incantare pietre e belve feroci. Questo suo dono gli permetterà di entrare nell’equipaggio della nave Argo: questo è un indizio fondamentale perché ci rivela che i Greci attribuivano alla musica un'importanza fondamentale anche per quanto riguarda l’educazione dei fanciulli (vedi lezione Antica Grecia Un po’ di storia…). Quando Euridice viene morsa mortalmente da un serpente, Orfeo decide di recarsi nel regno degli inferi per chiedere ad Ade e Persefone di concedergli la restituzione della moglie. Grazie al suo canto riesce a superare l'ostacolo di Cerbero (il cane a tre teste a guardia dell’Oltretomba), ad arrivare al cospetto dei due sovrani, li farà sciogliere in lacrime convincendoli a far tornare in vita la fanciulla. Tuttavia, Persefone acconsente solo ad una condizione: Orfeo l’avrebbe preceduta nel cammino e non avrebbe dovuto mai voltarsi indietro a guardarla fino a quando non fossero usciti dall'Ade (fig.33). Purtroppo, però il nostro eroe non ha resistito, si è girato prima del dovuto e così Euridice è stata trascinata via nuovamente nel regno dei morti. Orfeo, disperato, trascorrerà il resto dei suoi giorni ad andare in giro per il mondo a cantare il suo amore per Euridice fino a quando le donne della Tracia, da lui respinte (o secondo un’altra versione le Baccanti infastidite dalle sue tristi melodie), lo fanno a pezzi. Secondo il mito il suo capo spiaggerà a Lesbo e predirà il futuro. Qual è il significato di questo mito? La storia di Orfeo forse ci vuole dire che è inutile combattere contro la morte perché è il nostro destino ineluttabile. Noi tutti ci chiediamo come egli abbia fatto a dimenticarsi di una cosa tanto importante come l'avvertimento di Persefone e perché non sia riuscito a trattenersi e si sia voltato indietro. Cesare Pavese nei Dialoghi con Leucò fornisce una spiegazione singolare: se Euridice fosse ritornata nel regno dei vivi, sarebbe dovuta morire una seconda volta definitivamente e, dunque, il cantore decide di voltarsi allo scopo di farla rimanere nell’Oltretomba per evitarle un simile strazio. E voi…cosa ne pensate?

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fig.33

Perseo e la Gorgone

Acrisio, re di Argo, aveva una figlia di nome Danae. Un giorno un indovino gli predisse che un suo nipote sarebbe stato causa della sua morte, così il re decise di rinchiudere Danae in una stanza sotterranea foderata di bronzo: in questo modo non avrebbe corso il rischio di essere messa incinta. A questo punto della storia fa capolino Zeus il quale, sedotto dalla bellezza della ragazza, la ingravida sotto forma di pioggia d'oro (fig.34)

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fig.34

Acrisio, irato, quando viene alla luce il nipote Perseo lo fa rinchiudere insieme alla madre dentro una cassa che poi abbandona ai flutti del mare. I due vengono fortunatamente tratti in salvo da Ditte, fratello di Polidette, re dell'isola di Serifo. Polidette si innamora di Danae e vorrebbe sposarla, ma Perseo, ormai cresciuto, non è d'accordo. Per liberarsi del seccatore, il re lo spedisce lontano per compiere una missione: prendere la testa della Gorgone (o Medusa) per offrirla come dono di nozze a Ippodamia e Pelope. Erano conosciute come Gorgoni le tre figlie di Forco e Ceto (vedi sitografia) dal nome di Medusa, Euriale e Steno. Esse erano dei mostri con serpenti aggrovigliati al posto dei capelli, ali d’oro, artigli di bronzo e zanne di cinghiale. Alcune versioni del mito riportano come in realtà ci fosse solo una Gorgone dal nome di Medusa, in origine una donna bellissima di cui si era innamorato Poseidone e alla quale il dio si unì carnalmente  nel tempio di Atena che, adirata per l’affronto, la trasformò in un mostro con serpenti aggrovigliati al posto dei capelli ma dal volto splendido (fig.35). Chiunque incrociava il suo sguardo ne era pietrificato. Una curiosità: l’iconografia della Gorgone è spesso riportata sul fondo della kylix, la coppa nella quale i Greci bevevano il vino (vedi lezione Antica Grecia Alimentazione e sport) in modo che, per evitare di incrociare il suo sguardo, si era costretti a mantenere sempre la tazza piena. Comunque sia, per quanto riguarda il nostro mito, Medusa era un essere mortale, al contrario delle altre due sorelle Euriale e Steno. 

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fig.35

Ma torniamo alla nostra storia… Perseo si reca presso le Graie, tre vecchie che possedevano un dente e un occhio in tre e se lo scambiavano l'una con l'altra all'occorrenza. L’eroe si impadronisce dell'occhio e del dente e promette loro di restituirlo a patto che gli rivelino l'ubicazione delle Ninfe. Queste ultime, infatti, possedevano tutte le armi magiche di cui Perseo aveva bisogno per portare a termine la sua missione: i calzari alati, una bisaccia per custodirvi la testa della Gorgone una volta decapitata e l'elmo di Ade che rendeva invisibili. Ermes gli dona inoltre una falce di diamante. Una volta raggiunte le Gorgoni, per evitare lo sguardo pietrificante della sorella mortale, Perseo usa il suo scudo di bronzo come uno specchio, in modo da avvicinarsi al mostro senza guardarlo direttamente. Vibra così il colpo mortale e custodisce la testa dentro la bisaccia (fig.36). Secondo il mito, dal collo mozzato della Gorgone nascerà Pegaso, il cavallo alato. 

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fig.36

Durante il viaggio di ritorno Perseo dovrà affrontare un'ulteriore avventura. La regina di Etiopia Cassiopea, infatti, aveva offeso le Nereidi, le creature marine al seguito di Poseidone, perché aveva osato affermare di essere più bella di loro. Poseidone aveva inviato così un mostro marino che aveva fatto strage degli abitanti; secondo un oracolo solo se gli si fosse dato in pasto Andromeda, la figlia del re, il mostro si sarebbe placato. Per fortuna arriva Perseo che riesce a sconfiggerlo (fig.37). Egli così sposerà la fanciulla e la porterà via con sé.  

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fig.37

Ma le avventure non sono finite… L’eroe riesce a sconfiggere Polidette il quale, durante la sua assenza, aveva continuato a perseguitare Danae perché voleva costringerla a sposarlo. Vince tutti i suoi nemici sempre utilizzando come arma la testa di Medusa che, alla fine, verrà consegnata ad Atena. La dea la porterà sempre al centro della sua egida: ecco perché questa creatura meravigliosa, nel linguaggio iconografico, simboleggia la vittoria militare. Il racconto della Gorgone è legato anche ad un altro mito: è proprio quando lo sguardo dell’orribile mostro ha incrociato delle alghe marine che queste ultime si sono trasformate nella pianta del corallo! A questo punto della storia vi starete chiedendo che fine ha fatto il malvagio Acrisio, il nonno di Perseo. Ebbene, per sfuggire al destino che gli era stato predetto, egli scappa via da Argo.  Mentre sta partecipando a dei giochi sportivi che erano stati indetti a Larissa (Tessaglia) per onorare un funerale, il malvagio viene colpito da un disco (indovinate un po’!!!) lanciatogli contro accidentalmente da Perseo, in gara per il pentathlon . Ancora una volta le profezie non avevano mentito perché a causa del colpo subito Acrisio perse la vita…

Le fatiche di Eracle

Eracle era figlio di Zeus e Alcmena, la moglie di Anfitrione, re di Tebe. Approfittando dell'assenza del marito partito per una guerra, Zeus prende le sue sembianze per giacere con la bella regina: da questa unione nascerà il leggendario Eracle. Alcmena, in realtà, già prima della partenza del marito, era incinta del fratellastro di Eracle di nome Ificlo. Zeus commetterà l’errore di vantarsi del fatto che stava per diventare padre di un bambino appartenente alla sua stirpe e destinato a divenire il futuro re di Tirinto. Era allora, gelosa della scappatella del marito, fa in modo di ritardare il parto di Alcmena allo scopo di far nascere prima Euristeo, il cugino di Eracle, appartenente alla stirpe di Perseo, nato dall’unione di Zeus e Danae. La moglie di Zeus chiede alla dea della nascita di incrociare sia le gambe che le dita per bloccare il parto. Sarà una delle ancelle della regina, di nome Galantide, ad imbrogliare la dea del parto e a favorire la nascita dei due gemelli. La fanciulla le riferisce, infatti, una bugia: la esorta a rallegrarsi perché Alcmena era riuscita finalmente a partorire. A queste parole la dea, stupita, si distrae cosicché apre le dita intrecciate e balza in piedi: così facendo rompe il sortilegio. Galantide pagherà caro questo suo affronto: sarà punita e verrà trasformata in donnola (in greco galé), un animale che, secondo gli antichi, aveva il potere di facilitare il parto. Purtroppo, però Euristeo nasce un’ora prima di Eracle e sarà lui ad ereditare il trono di Tirinto. Non contenta, Era invia nella culla dei due gemelli due serpenti enormi ma Eracle, se pur ancora in fasce, riesce a strangolarli (fig.38)

 

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fig.38

La regina degli dèi proverà nuovamente a vendicarsi molti anni dopo facendo impazzire l'eroe il quale, preso dal furore, ucciderà la moglie insieme ai suoi figli. Per purificarsi da questa tremenda azione, la Pizia (oracolo di Delfi), gli ordina di prestare servizio proprio presso il re di Tirinto Euristeo e di eseguire tutto ciò che quest’ultimo gli ordinerà. Euristeo lo sottoporrà allora alle famose imprese (da 10 diventeranno 12). Euristeo teme il suo ospite tanto è vero che, al termine di ogni impresa, gli intima di consegnargli i trofei in un luogo sito fuori le mura della città (altre fonti addirittura lo ritraggono nascosto sottoterra, rinchiuso in una giara di bronzo per proteggersi dall’invincibile eroe) (fig.39).

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fig.39

La prima fatica consiste nell'uccidere il Leone di Nemea (fig.40). Dalla sua pelle Eracle ricaverà il famoso mantello con cui è solito essere ritratto. Come seconda fatica Eracle fa fuori l'idra di Lerna (fig.41), un serpente d'acqua che viveva nella omonima zona paludosa (aveva molte code e nove teste, di cui otto mortali e una immortale). Una volta mozzate, le teste tendevano a rigenerarsi. Il mostro poteva addirittura uccidere chiunque vi entrasse in contatto trasmettendogli un potente veleno. In questa impresa Eracle viene aiutato dal nipote Iolao, figlio di Ificlo, il suo fratellastro: man mano che l'eroe tagliava le teste dell'idra, egli ne bruciava i monconi con un tizzone ardente in modo tale da non farle più ricrescere. Durante il combattimento la stessa Era interviene a rendere ancora più complicata la fatica: dalla palude di Lerna fa balzare fuori un enorme granchio che inizia a mordere il piede di Eracle, il quale riesce tuttavia ad annientarlo. Era, per compensare lo sforzo del granchio, lo trasformerà nella costellazione del Cancro. Una volta compiuta l’impresa, Eracle intinge le frecce del proprio arco nel sangue del muso dell'idra e, così facendo, come vedremo, decreterà la propria morte. Euristeo, tuttavia, si rifiuta di riconoscere questa fatica perché l’impresa era stata compiuta grazie all'aiuto di Iolao.

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fig.41

La terza fatica consiste nella cattura della cerva di Cérinea; la quarta è conosciuta come l'uccisione del gigantesco cinghiale di Erimanto. Durante questa impresa Eracle viene in contatto col popolo dei Centauri: egli è infatti ospitato da Folo il quale, alla richiesta dell'eroe di bere il suo buon vino, si mostra molto incerto sul da farsi perché se avesse soddisfatto questo suo desiderio, gli altri centauri ne avrebbero sentito l'odore e si sarebbero catapultati da lui per tracannarlo tutto e questo avrebbe fatto perder loro la testa rendendoli violenti e pericolosi. La storia mette in luce un aspetto di Eracle molto presente nell'immaginario collettivo: l’eroe era famoso non solo per la sua imbattibilità, ma anche perché mangiava e beveva a dismisura. Folo cede alle insistenze dell'ospite, arrivano i Centauri e ingaggiano una lotta furibonda con Eracle che ne uccide una buona parte, tra cui purtroppo, senza volerlo, il saggio e buono Chirone, tutor di Achille e di altri eroi greci. Anche Folo viene ucciso da una freccia avvelenata di Eracle. Dopo questa avventura l’eroe continua il suo cammino e riesce ad a uccidere il cinghiale. Quinta fatica è la pulizia delle stalle di Augia, il re dell’Elide (fig.42). Quest'ultimo possedeva enormi mandrie rinchiuse in stalle gigantesche al punto tale che era impossibile pulirle. Eracle allora devia il corso dei fiumi Alfeo e Peneo in modo da lavarle in un solo giorno. Prima di compiere l'impresa, l'eroe greco aveva strappato al re Augia la promessa, a impresa ultimata, di cedergli la decima parte del bestiame ma, ovviamente, il re alla fine non onorò i patti. Perlopiù Euristeo non riconobbe questa fatica perché, a suo dire Eracle, aveva agito per ottenere una ricompensa e non per obbedire ad un suo ordine. 

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fig.42

Sesta impresa è l’uccisione degli uccelli stinfalidi: essi vivevano in una palude dell’Arcadia e scagliavano le penne come se fossero frecce. Per stanarli Eracle ricorre ai crotali di bronzo (una sorta di nacchere) fabbricate da Efesto: quando l'eroe inizia ad agitarle gli uccelli, impauriti dal suono, volano via dai cespugli dietro i quali si erano nascosti così da poterli ammazzare (fig.43)

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fig.43

Settima impresa é la cattura del toro di Poseidone nell'isola di Creta. L'ottava fatica consiste nella cattura dei cavalli di Diomede, re dei Bistoni. Nella nona fatica Eracle si impossessa della cintura di Ippolita, la regina delle Amazzoni. Il regno delle Amazzoni era l'isola di Temiscira, nella regione del Ponto. Eracle vi approda assieme ad un gruppo di volontari. Gli uomini in realtà sono ben accolti dalla regina e dalla sua corte. Era allora prende le sembianze di un’amazzone e comincia ad aggirarsi nell'accampamento delle donne guerriere gridando che Eracle stava portando via la regina contro la sua volontà. Inizia così una lotta furiosa al termine della quale l’eroe uccide Ippolita e le strappa la cintura. Nella decima fatica Eracle dovrà attraversare il Mediterraneo per arrivare nell’odierna Cadice, nella Spagna meridionale. Qui deve impossessarsi delle mandrie di Gerione (fig.44). L’eroe riesce ad oltrepassare il mare grazie all'aiuto di Elio, il dio del sole, che gli fa dono di un'enorme coppa d'oro dentro la quale navigherà fino a Cadice.  Gerione é un mostro il cui corpo dalla cintura in su si divideva in tre come se fosse tre uomini in uno e, al contempo, ha due gambe e due piedi. Fatto fuori Gerione insieme al suo terribile cane, Eracle ritorna a Tirinto attraversando il nostro paese: secondo alcuni storici il nome Italia deriverebbe proprio da italòs che vuol dire “vitello”, in ricordo della mandria strappata a Gerione e che Eracle aveva con sé quando ha attraversato quel territorio. Secondo il mito, durante il viaggio, Eracle fonda le città di Cuma ed Ercolano. 

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fig.44

L'undicesima fatica vede il nostro protagonista impossessarsi dei pomi delle Esperidi, meraviglioso dono di nozze che Gea, la madre di Zeus, aveva fatto al re degli dèi e ad Era. I pomi erano custoditi da un drago immortale. Lungo il tragitto l'eroe compie altre gloriose imprese e libera Prometeo dalla prigionia sul Caucaso. Il titano gli suggerisce di non andare a prendere lui direttamente i pomi, ma di inviare Atlante, il gigante che reggeva la volta celeste sin dalle origini del mondo (fig.45). Eracle allora propone a quest'ultimo uno scambio di favori: Atlante gli andrà a prendere i pomi mentre lui provvisoriamente lo sostituirà nel compito di sostenere il cielo. Così avviene; quando Atlante torna, tuttavia, non ha la benché minima intenzione di riprendere il suo ruolo, ma Eracle lo raggira facendogli credere che ha bisogno momentaneamente di sistemarsi il panno sul collo per reggere meglio il peso, cosicché riesce a defilarsi con i pomi. 

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fig.45

La dodicesima e ultima fatica prevede la discesa nell'Ade per catturare il cane Cerbero che ne è il custode (fig.46). Qui trova Piritoo e Teseo che erano scesi negli Inferi nel vano tentativo di rapire Persefone, la moglie di Ade. Il dio dell'oltretomba, per punirli, li aveva fatti sedere sul seggio dell'oblio così entrambi avevano perso completamente la memoria. Eracle, tuttavia, riesce a liberare solo Teseo, ma non Piritoo.

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fig.46

Compiute le dodici fatiche egli finalmente può ritornare libero. Quale sarà la fine del celebre eroe? Il mito racconta che, mentre si trovava in viaggio con una delle sue mogli di nome Deianira, i due arrivano presso il fiume Eveno: qui egli chiede al centauro Nesso, traghettatore, di trasportare la donna sulla sua groppa fino all'altra sponda del fiume. Nesso, di natura violenta, la vuole tutta per sé per violentarla. Eracle capisce cosa sta succedendo e trafigge il centauro con una delle sue frecce avvelenate ma, prima di morire, quest’ultimo decide di vendicarsi: consiglia a Deianira di raccogliere il suo sangue mentre colava dalla ferita mortale perché sarebbe stato un ingrediente per un filtro potentissimo in grado di restituirle la fedeltà del marito il giorno in cui si sarebbe allontanato da lei. Quando infatti l'eroe greco espugnerà la città di Ecalìa e porterà via come schiava la principessa Iole, di cui si innamorerà, Deianira esegue quanto suggeritogli da Nesso. Eracle le invierà il suo messo Lica, a cui lei avrebbe dovuto consegnare una veste preziosa che l’eroe voleva indossare per compiere un sacrificio come ringraziamento agli dèi. Deianira imbeve l’indumento con il sangue di Nesso e, purtroppo, quando verrà indossata da Eracle, quest'ultimo morirà tra atroci tormenti. Come suo ultimo desiderio chiederà di essere bruciato su una pira. Zeus lo accoglierà sul l'Olimpo e qui sposerà Ebe, la coppiera degli dèi. La vicenda è narrata mirabilmente dalla tragedia sofoclea “Le Trachinie”.

L’enigma di Edipo

Edipo era figlio di Laio, re di Tebe. Laio era stato maledetto dagli dèi perché aveva rapito e violentato un giovinetto. Un oracolo gli suggerisce di non generare alcun figlio perché se lo avesse fatto sarebbe stato ucciso da uno dei suoi discendenti. Tuttavia una notte il re, ubriaco fradicio, non prende precauzioni quando giace con la moglie Giocasta. Il figlio partorito avrà nome Edipo: ha i capelli rossi ed é zoppo. Subito dopo la nascita viene abbandonato in un luogo selvaggio. Alcune fonti ricordano che era stato Laio a renderlo zoppo perché gli aveva forato le caviglie per farci passare un laccio così da impedire allo spettro del figlio di tornare sulla terra a tormentarlo: sarebbe stata questa, dunque, la causa del suo passo claudicante. Il bambino viene allevato da alcuni pastori e cresciuto a Corinto dal re Polibo e dalla regina Peribea. Il ragazzo non sospetta minimamente di essere un figlio adottivo fino a quando lo viene a sapere accidentalmente durante un banchetto. Si mette così in cammino per conoscere i suoi veri genitori. Secondo una versione della vicenda sarebbe stato un oracolo a rivelargli che un giorno avrebbe ucciso il proprio padre e che si sarebbe unito carnalmente alla madre. La profezia è pronunciata in un momento in cui il giovane non conosceva ancora i suoi veri natali: egli scappa così da Corinto per proteggere quelli che lui credeva essere i suoi veri genitori, ma il destino è ineluttabile perché mentre si trova ad un bivio, egli ha un diverbio con un viaggiatore che si trovava su un carro. L’ araldo, infatti, gli chiede di lasciar passare questo personaggio importante, ma Edipo si rifiuta e viene preso a frustate. Il giovane reagisce colpendo a morte con la spada colui che lo aveva ferito e che altri non era che il suo vero padre Laio. Proseguendo il viaggio e ignaro della portata del suo gesto, egli affronta la sfinge, mostro bello e terribile che divora tutti quelli che non riescono a risolvere il suo enigma: “Qual è quell'essere che al mattino cammina con quattro gambe, a mezzogiorno cammina con due e alla sera cammina con tre”? Dopo aver attentamente riflettuto Edipo risponde: “L’essere di cui tu parli è l'uomo che quando è bambino cammina con quattro gambe, divenuto adulto con due e infine con tre quando è anziano e ha bisogno di un bastone”. Sconfitta, la sfinge si lancerà dalla rupe su cui è appollaiata (fig.47).

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fig.47

Edipo ha salvato la città di Tebe, sposa Giocasta rimasta vedova, diventa re e padre. Quando sulla città si abbatte una forte pestilenza Creonte, fratello di Giocasta, consulta l'oracolo di Delfi: la Pizia rivela che l’assassino di Laio si nascondeva nella città di Tebe e che solo quando si sarebbe svelata la sua identità e fosse stato punito la situazione sarebbe tornata alla normalità. Il deus ex machina della situazione è il messaggero giunto da Corinto a Tebe per annunciare la morte di Polibo: l’uomo si rivelerà essere la stessa persona che aveva trovato Edipo in fasce sul monte Citerone, quando era stato abbandonato da Laio e Giocasta, e lo aveva portato in salvo nella reggia di Corinto. Viene dunque svelata la vera identità di Edipo: parricida e colpevole di incesto, si strapperà gli occhi per autopunirsi per tutto il male commesso (se pur inconsapevolmente) mentre Giocasta si impiccherà mossa dal dolore e dalla vergogna. Le vicende di Edipo sono narrate nella tragedia di Sofocle “Edipo re”.

Il mito di Pelope e Ippodamia (fig.48)

Il re Enomao dell’Elide aveva una bellissima figlia di nome Ippodamia e non voleva darla in moglie a nessuno, forse perché non desiderava che il sangue della famiglia reale si mescolasse a quello di stirpi straniere o forse perché l'oracolo gli aveva predetto che sarebbe stato ucciso dal futuro marito della figlia. Per far fuori tutti i pretendenti, Enomao li sfidava a batterlo nelle gare con i carri, competizione in cui risultava sempre invincibile grazie a dei cavalli divini e ad una lancia di bronzo dono di Ares. Un bel giorno si presenta al suo cospetto Pelope, figlio di Tantalo, anch’egli padre crudele. Si racconta infatti che quest’ultimo, per mettere alla prova gli dèi, li avrebbe invitati a mangiare ad un banchetto ed avrebbe servito loro le carni di suo figlio. La sua empietà viene alla fine scoperta cosicché Tantalo è condannato a giacere per sempre negli inferi senza riuscire né a mangiare, né a bere: sarà legato ad un albero di mele e quando la fame lo spingerà a morderne un frutto i rami si allontaneranno, quando cercherà di bere l'acqua da una fonte, il livello di quest'ultima si abbasserà. Omero cita questo mito nell’XI canto dell’Odissea (il quale influenzerà la descrizione della pena dei golosi nel Canto XXIII del Purgatorio della Divina Commedia). Gli dèi non mangiarono le carni del fanciullo; quando decisero di rimettere insieme le parti del corpo di Pelope, l’unica che risultava mancante era la scapola che era stata ingerita distrattamente dalla dea Demetra e per questo gliene fabbricarono una in avorio. Ma torniamo al nostro mito… Pelope si mette d'accordo con Mirtilo, l'auriga di Enomao, per ingannare il re. Mirtillo, infatti, era segretamente innamorato di Ippodamia ed era consapevole che il padre non gliel’avrebbe mai concessa in sposa. L’inganno ordito dai due uomini consisteva nell’inserire dei blocchetti di cera colorati al posto delle biette ai mozzi delle ruote cosicché durante la gara, dopo pochi giri di ruota, la cera si scioglie e il carro si sfascia. Enomao per la prima volta viene sconfitto, Pelope potrà sposare Ippodamia, ma solo dopo aver mantenuto la promessa fatta a Mirtilo ovvero di farlo giacere con la fanciulla solo per una notte. Per evitare tutto questo Pelope però lo uccide prima della fatidica notte d'amore. L'auriga, prima di morire, maledirà la stirpe generata da Pelope e Ippodamia da cui, infatti, nasceranno Atreo e Tieste. I figli di Tieste saranno Agamennone e Menelao e con loro comincerà la maledizione degli Atridi. Pelope sarà sepolto ad Olimpia e ogni anno i magistrati gli renderanno onori pari a quelli tributati ad un dio.

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fig.48

I miti e le stelle

Quando volgiamo lo sguardo alle stelle ricordiamoci dei nostri amici dèi ed eroi! La volta celeste è una mappa costellata dai personaggi dei miti più famosi. Non ci credete? Ecco qui un elenco:

-la Via Lattea nasce dalle gocce di latte cadute dal seno di Era mentre allattava Eracle; 

-l’Auriga é il carro di Mirtillo protagonista del mito di Pelope e Ippodamia

-la costellazione del Centauro si rifà a a Chirone (l’essere metà cavallo e metà uomo, famoso guaritore e tutor di Achille, Giasone, Teseo, etc.); 

-il Capricorno é la capra Amaltea (vedi lezione civiltà minoica);

-alle fatiche di Ercole si rifanno: il Dragone (dal drago ucciso da Ercole a guardia dei pomi delle Esperidi), il Leone (Leone di Nemea), il Cancro (il granchio ucciso da Ercole insieme agli uccelli stinfalidi);

- la costellazione della Lira ricorda lo strumento musicale suonato da Orfeo;

- il Toro è Zeus quando si è trasformato per rapire la principessa fenicia Europa (vedi lezione civiltà minoica);

-l'Aquila rappresenta le sembianze del re degli dèi quando ha rapito Ganimede;

-Andromaca e Cassiopea sono le protagoniste del mito di Perseo;

- l’Orsa Maggiore è Callisto, la ninfa di Artemide trasformata dalla dea in orsa perché era rimasta incinta di Zeus violando il voto di castità.

I miti e le piante

Che dire dei miti con cui gli antichi Greci spiegavano l'origine delle piante? Partiamo con l’aconito. Secondo la leggenda questa erba velenosissima avrebbe avuto origine dalla bava di Cerbero; si racconta inoltre, in alcune versioni delle fatiche di Ercole, che la freccia con cui involontariamente l’eroe colpisce a morte il centauro Chirone sarebbe stata intinta proprio nel succo dell’aconito. Il fiore dell’anemone è legato al mito di Adone, il bellissimo ragazzo nato dall'unione incestuosa tra Mirra e suo padre, il re della Siria, inconsapevole del fatto. Per questa empietà gli dèi la tramutarono nell'albero della mirra e il bambino venne partorito da una fessura aperta nella corteccia. Quando il fanciullo crebbe, la sua avvenenza conquistò nientepopodimeno che la dea Afrodite. Marte, geloso, decise di farlo fuori facendolo massacrare da un terribile cinghiale durante una battuta di caccia: dalle lacrime versate da Afrodite per la morte dell'amante nacque allora il fiore dell'anemone dalla vita breve (fig.49)

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fig.49

Gli asfodeli caratterizzano, invece, i Campi Elisi: si tratta dei fiori in cui si sono trasformati i gigli e i narcisi che Persefone stava cogliendo nel momento in cui era stata rapita da Ade. Le canne palustri sono state originate dalla ninfa Siringa, la quale voleva sfuggire al dio Pan. Essa allora pregò le amiche Naiadi di trasformarla in una pianta acquatica (fig.50): dalle sue canne il dio dei boschi ricaverà lo strumento a fiato della siringa (una sorta di zufolo). 

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fig.50

Il cavolo nasce da un antico mito secondo cui Licurgo, un principe della Tracia, fu punito da Dioniso perché volle tagliare tutte le vigne dei suoi terreni. Il dio del vino allora lo legò ad un albero e si tramanda come dalle sue lacrime siano nati i cavoli: ecco perché si dice che non è possibile coltivare queste piante laddove ci sono le viti. Nella tragedia dei “Sette contro Tebe” di Eschilo viene narrata la storia della maledizione che incombeva su Eteocle e Polinice, i fratelli nati dall'unione incestuosa tra Edipo e la madre Giocasta. All'inizio i due decisero di governare a turno, ma quando toccò a Polinice, il fratello non gli cedette il trono; fu così che il giovane si recò presso Argo per ottenere aiuti militari e muovere alla conquista di Tebe. I due fratelli si ammazzarono a vicenda cosicché le figlie di Eteocle morirono per la disperazione. Gli dèi allora, mossi a compassione, le trasformarono in cipressi, considerati infatti piante cimiteriali care ad Ade. Molto bello è anche il mito di Piramo e Tisbe, due giovani il cui amore era osteggiato dai genitori. Un giorno essi decisero di darsi appuntamento di nascosto in una campagna, all'ombra di un albero di gelso, che a quel tempo produceva frutti di color bianco (e non rosso scuro). Tisbe arrivò per prima, ma incappò in una feroce leonessa, così si rifugiò in una grotta vicina lasciando però cadere nella fuga il suo velo che venne macchiato di sangue dalle fauci della belva, la quale aveva appena divorato un bovino. Quando Piramo giunse presso il luogo dell'appuntamento e si accorse del velo, pensò che la giovane fosse stata sbranata dalla leonessa e decise così di suicidarsi pugnalandosi mortalmente. Così facendo un fiotto di sangue andò a colorare i frutti del gelso che da bianchi divennero rosso scuro. Quando Tisbe scoprirà il cadavere dell'amato, cercherà anch'essa la morte e pregherà gli dèi di far produrre per sempre alla pianta di gelso fiori di colore rosso scuro anziché bianco in segno di lutto (fig.51)

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fig.51

La menta deriverebbe da Mintha, il nome della ninfa amata segretamente da Ade e trasformata in pianta da Persefone quando ha scoperto la tresca del marito. Una curiosità: secondo gli antichi Greci la menta diminuiva fortemente la virilità maschile. Agli amanti dei “selfie”, consiglio di leggere la leggenda di Narciso, il bellissimo pastore di cui era innamorata, non contraccambiata, la ninfa Eco. Per punirlo Eros lo colpì con una delle sue frecce: nel momento in cui il giovane si affacciò su una pozza d'acqua per dissetarsi, scorse la propria immagine e se ne innamorò perdutamente, tanto da consumarsi dal desiderio impossibile di auto possedersi (fig.52) e, alla sua morte, venne trasformato nel fiore del narciso. 

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fig.52

In un albero di noce venne, invece, trasformata Caria, disperata per la perdita delle sorelle trasformate in rocce dal dio Apollo perché avevano osato spiare gli incontri tra Caria e Dioniso. Una storia simile narra l'origine dell'albero del pioppo: Fetonte riuscì a convincere Elio, il dio del sole, a fargli guidare per una volta il suo carro. Il giovane capriccioso combinò solo disastri per cui venne folgorato da Zeus (fig.53). Le sorelle di Fetonte (le Eliadi) allora, disperate per la sua morte, vennnero tramutate in pioppi. 

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fig.53

Infine, l'ultimo mito che vi voglio raccontare riguarda non solo la nascita di due alberi, ma anche quella della legge dell'ospitalità, molto cara, come già abbiamo visto nelle lezioni precedenti, agli antichi Greci. Si racconta che Zeus ed Ermes fossero scesi sulla terra in incognito per sorvegliare la condotta degli esseri umani; nessuno accettò di ospitarli per la notte eccetto due anziani dal nome di Filemone e Bauci. Pur essendo poverissimi, essi offrirono agli dèi un lauto pasto (vedi menu storico) con verdure e insalata prodotti dal loro orto, cornioli, ecc. La coppia fece accomodare gli ospiti su una panca coperta da cuscini e pareggiò perfino la gamba corta del tavolo traballante con un coccio (fig.54)! Per ricompensare i due anziani dell'ospitalità ricevuta, gli dèi esaudirono il loro desiderio di morire insieme e li resero inoltre guardiani e sacerdoti del tempio in cui era stata trasformata la capanna in cui avevano vissuto fino a quel momento. Infine, Bauci venne trasformata in una quercia e Filemone in un tiglio.

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fig.54

I principali centri religiosi

La quercia di Dodòna e altri esempi di alberi oracolari

Il mito e la religione greca vedono come protagonisti anche alberi oracolari: la più famosa è la quercia di Dodòna nell’ Epiro, protetta da leggi molto severe: i sacerdoti davano i loro responsi dopo aver interpretato il fruscio delle foglie mosse dal vento. Si diceva che alle querce fossero legate le driadi, ninfe dei boschi, mentre le amadriadi vivevano all'interno delle cortecce degli alberi: se l'albero moriva, morivano anch'esse. Meno conosciuti sono i pioppi neri, oracolo di Persefone in Egira (Acaia) e le querce sacre sul Monte Liceo in Arcadia. 

Il santuario di Delfi

Delfi era il centro principale della religiosità greca. Circondato da alte rupi e rocce, era dedicato ad Apollo. Si racconta che in questo luogo il dio, ancora bambino, avesse trafitto una grande dragonessa o, secondo altre fonti, un enorme pitone da cui deriverebbe il nome sia del santuario, dedicato ad Apollo Pithos, sia quello della sacerdotessa attraverso cui il dio profetava. Secondo le credenze la Pizia (fig.55) sedeva su un alto tripode e quando Apollo si impossessava del suo corpo la donna, in stato di trance, pronunciava le profezie che erano poi riferite all’esterno da sacerdoti chiamati profeti. La Pizia inizialmente profetizzava solo una volta all'anno (tra febbraio e marzo), poi in seguito sempre lo stesso giorno una volta al mese. Ma qual era la vera natura di questo stato mistico? Alcuni sostengono che dal crepaccio sotto il tripode si diffondevano vapori che causavano una forte esaltazione dell'oracolo; tuttavia, non è stata trovata alcuna fenditura negli scavi. Altri studi sostengono che la follia era causata dal masticare droghe o l’alloro (il quale non porta però a queste conseguenze). La Pizia era scelta tra ragazze che mostravano predisposizione alle allucinazioni; a questo poi si aggiungeva la suggestione indotta dal luogo e la pressione psicologica a cui era sottoposta la sacerdotessa. 

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fig.55

Si racconta che davanti al tripode erano custoditi in un’urna di bronzo i resti del serpente Pitone. Chi interrogava l'oracolo doveva pagare una tassa (PELANOS) e sacrificare una capra o una pecora per purificarsi. Una volta arrostito e consumato dall’offerente e dai sacerdoti, ciò che avanzava dell’animale poteva essere reclamato da qualsiasi abitante di Delfi. Successivamente il postulante scendeva nei sotterranei e attendeva il responso in una sala a lui riservata dalla quale poteva udire, ma non vedere, la sacerdotessa. Un'altra credenza sosteneva che in inverno Apollo partiva per soggiornare in Licia, ove sorgeva un altro suo oracolo, mentre nel frattempo a Delfi regnava Dioniso, celebrato da riti femminili. Gli oracoli della Pizia erano molto… sibillini! Si racconta che un certo Batto voleva guarire il suo difetto di balbuzie: l'oracolo gli dice allora di fondare una colonia in Africa a Cirene per rimediare a una mancanza commessa da un suo antenato di nome Eufemo, che aveva fatto parte della spedizione degli Argonauti. Quest’ultimo aveva seguito le indicazioni della Sibilla e aveva gettato l’ancora nel luogo da lei indicato per attraccare. All’improvviso era apparso un essere soprannaturale che aveva donato ad Eufemo una zolla di terra raccomandandogli di gettarla davanti al promontorio del Tenaro una volta tornato in Grecia: solo così sarebbe diventato il signore di quella parte dell'Africa ove era approdato. Durante il viaggio di ritorno, tuttavia, l’equipaggio, mosso dall’invidia per la predizione fatta a Eufemo, fa sparire la zolla e quindi non può più avverarsi quanto pronunciato dalla Sibilla. Messo al corrente di tutta questa storia, Batto ritorna a Thera (Santorini), la sua terra natale, raduna un equipaggio e salpa alla volta dell’Africa, fonda Cirene e riscatta il suo antenato. Questa storia è narrata nelle Pitiche scritte da Pindaro in onore di Arcesilao IV per celebrare la vittoria dei suoi aurighi a Pito (Delfii) nel 461 a.C. Il tiranno, infatti, era discendente di Batto: la gloria della famiglia, dunque, ha avuto inizio con la profezia dell'oracolo di Delfi e perdurava con le vittorie ottenute nelle competizioni sportive. Se parliamo di Delfi, infine, non possiamo non ricordare il famoso omphalos, l'ombelico del mondo, una pietra di meteorite che giornalmente veniva unta d'olio dai sacerdoti e fasciata da bende di lana (fig.56). Si tratta del masso fatto ingoiare a Crono da Rea al posto di Zeus. Quando quest’ultimo sconfisse il padre, lo costrinse a vomitare tutti i suoi fratelli e la pietra da lui ingurgitati e quest’ultima piombò proprio a Delfi. Si diceva, inoltre, che Zeus avesse fatto volare due aquile in direzioni opposte per capire dove si trovasse il centro del mondo: esse si incrociarono in questo luogo; in ricordo di tutto ciò, accanto al seggio della Pizia, erano state realizzate due aquile dorate. 

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fig.56

L’Antro di Trofonio (fig.57)

In Beozia si trovava l'oracolo di Trofonio, figlio di Apollo: chi voleva consultarlo doveva in pratica accettare di essere sepolto vivo. Pausania, viaggiatore dell'antica Grecia vissuto nel II secolo d.C., ci racconta della sua esperienza vissuta in prima persona: per prepararsi alla consultazione si doveva innanzitutto trascorrere alcuni giorni in ritiro spirituale, fare abluzioni, mangiare carne di vittime dei sacrifici.  La notte dedicata alla consultazione dell'oracolo, occorreva portare con sé focacce impastate col miele, recarsi nel bosco, calarsi in una voragine scavata all'interno di un recinto circolare e penetrare sottoterra grazie ad una scaletta. Arrivati in fondo, bisognava sdraiarsi supini e infilare le gambe fino alle ginocchia in una fessura: pare allora che il corpo fosse risucchiato dentro la cavità come trascinato da un vortice. Il postulante giaceva a lungo nell'oscurità e riceveva visioni e allucinazioni anche uditive che gli rivelavano il futuro. Al termine del rito, egli veniva tirato su per i piedi, nella stessa posizione in cui giacevano i cadaveri quando erano trasportati via dalla loro abitazione per far loro il funerale. Questa esperienza mistica (molto influenzata dalla suggestione) era considerata un anticipo di ciò che si sarebbe vissuto entrando nell'Ade. Alla fine, il postulante, ancora in stato confusionale, era messo a sedere dai parenti sul trono di Mnemosyne: qui i sacerdoti prendevano nota del racconto della sua esperienza sicuri che, dopo qualche giorno di riposo, egli avrebbe riacquistato il senno.

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fig.57

I misteri eleusini (fig.58)

Ad Eleusi venne eretto un tempio secondo i dettami stabiliti dalla dea Demetra (vedi mito del ratto di Persefone) che fece qui tappa durante il suo viaggio alla ricerca della figlia rapita da Ade. Eleusi é, dunque, il luogo ove avvengono i misteri iniziatici riservati solo a pochi eletti. I guardiani del tempio erano i custodi dei granai, del denaro accumulato con la vendita del grano e di quello versato come offerta dagli iniziati dei misteri. Durante le feste eleusine si celebrava il pane (Demetra era infatti la dea delle messi): esse iniziavano il 20 settembre e duravano 9 giorni (quanto il viaggio fatto da Demetra). Poteva parteciparvi chiunque parlasse il greco e non avesse condanne in pendenza. La festa cominciava ad Atene: gli iniziati si purificavano immergendosi nell'acqua del mare; il secondo e il terzo giorno avvenivano i sacrifici ufficiali; il quarto giorno c'era la grande processione che partiva da Atene per arrivare ad Eleusi (simile alla nostra via crucis) tra canti e il trasporto di immagini raffiguranti Demetra e Persefone.  Un sacerdote aveva il compito di trasportare all'interno di un baule con dentro focacce a forma di aratro mentre il Kalathos reggeva il cestino in cui sarebbero stati raccolti i primi frutti dei campi in seguito offerti a Demetra. Alla processione partecipavano il popolo, i sacerdoti eleusini  e i membri del governo di Atene. Coloro i quali erano così poveri da non avere doni da offrire agli dèi portavano in processione attrezzi agricoli, pani, torce accese per simulare il viaggio di Demetra. Si andava tutti a piedi e si impiegavano circa dieci ore di cammino perché durante il tragitto venivano eseguiti numerosi riti. Il giorno successivo si facevano sacrifici, durante il sesto avvenivano corse di cavalli e danze in onore di Dioniso (anch' egli simbolo di rinascita) insieme alla fiera mercato. Solo ai novizi venivano fatte vedere all'interno del santuario rappresentazioni sulla morte e sulla resurrezione del sacro seme del grano: nessun altro doveva esserne al corrente, pena la vita. Sappiamo che la gerarchia degli iniziati era molto simile a quella che caratterizzerà la massoneria. Mezzo anno prima delle feste eleusine i novizi erano chiamati a depositare i loro vestiti e calzari, ad agghindarsi con ghirlande di mirto (simbolo dell'aldilà) e dovevano abituarsi a muoversi col volto coperto così da affinare l'udito. Venivano poi a conoscenza della parola d'ordine con cui essi si sarebbero potuti riconoscere tra loro durante la festa. La notte dell'iniziazione era preceduta dal digiuno, poi interrotto dall’assunzione del ciceone, la bevanda di Demetra; la seconda notte venivano calati sottoterra all'interno del tempio e pare che, guidati dai sacerdoti, affrontassero un vero e proprio percorso iniziatico costellato da suoni terrificanti. Alla fine del rituale gli iniziati erano accolti dai fratelli più anziani alla luce delle torce e veniva somministrato loro sempre il ciceone, in ricordo della richiesta fatta da Demetra alla regina di Eleusi e, successivamente, venivano fatte loro indossare vesti candide. Tutte queste notizie ci sono state tramandate da autori cristiani che si fecero iniziare al culto di Demetra per venire a conoscenza dei suoi segreti e poterli diffondere.

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fig.58

 

Altri aspetti della religione dell'Antica Grecia

L’orfismo

Secondo la dottrina dell'orfismo (da Orfeo vedi mito Orfeo ed Euridice), l'anima dell'uomo non pone termine alla sua esistenza con la morte, bensì deve vivere una serie di reincarnazioni. L’orfico vive una vita di rinunce, di astinenza ed é vegetariano: tutto ciò al fine di liberare totalmente l'anima dal corpo e ascendere alla salvezza.

L’oniromanzia

L’oniromanzia consiste nella divinazione con l’ausilio dei sogni. Il santuario più celebre in cui si svolgevano questi riti si trovava presso Epidauro. I postulanti venivano messi a dormire sotto un portico; qui si dice che sognassero di incontrare Asclepio, figlio di Apollo e dio della medicina: egli toccava loro la parte malata o rivelava rimedi prodigiosi.

I riti

Come pregavano gli antichi Greci? Essi avevano le braccia rivolte al cielo quando invocavano Zeus e altre divinità celesti mentre erano rivolte verso terra quando si pregava Ade, Ecate, Persefone. Durante il rito l’orante ricordava gli atti di pietà che aveva compiuto in precedenza e successivamente formulava la preghiera vera e propria. Gli animali offerti in sacrificio erano diversi a seconda del dio cui ci si rivolgeva: il toro per Poseidone, le vacche per Atena, le capre per Apollo e Artemide. Le vittime dovevano essere sane e di colore chiaro se immolate agli dèi celesti, dal vello nero per le divinità infernali. Le cerimonie avvenivano all'alba su altari decorati da fiori e frutti. Le corna della vittima erano colorate di oro mentre il corpo era avvolto da corone e nastri di lana. Sul fuoco dell'altare si gettavano grani di orzo, dopodiché il sacerdote sgozzava l'aniimale. In onore agli dèi si bruciavano le cosce rivestite di grasso perché essi gradivano particolarmente il fumo esalato. Il resto era consumato dal sacerdote e dagli offerenti. Gli indovini riuscivano a predire il futuro esaminando le viscere ancora calde dell’animale, soprattutto il fegato. Ovviamente, prima di partecipare ad un rito religioso occorreva purificarsi. Anche le case in cui era avvenuto un decesso dovevano essere purificate insieme ai suoi abitanti. Ai morti si offrivano libagioni di latte, vino, offerte di sale, focacce e frutta. Il tutto era contenuto in vasi il cui fondo era bucato per permettere che cibo e bevande raggiungessero sottoterra il defunto. Una curiosità: l'indovino greco era chiamato mantis; il suo compito era quello di osservare segni prodigiosi di tipo atmosferico (ad esempio il fulmine), visivo (  i primi incontri fatti al mattino), acustico (il rombo di un tuono), fisiologico (gli starnuti), per poi fare un responso.

Il mito e l'opera: Orfeo ed Euridice di Gluck

Libretto versione italiana: Ranieri de’ Calzabigi

Libretto versione francese: Pierre Louis Moline (da Calzabigi)

Orfeo ed Euridice mette in evidenza la volontà di Christoph Willibald Gluck di rinnovare il genere dell’opera ispirandosi alla tragedia greca ma, al contrario di quest’ultima, è presente il lieto fine. Euridice viene pianta due volte: all’inizio del primo atto nel canto d’addio e nel terzo atto quando Orfeo è consapevole del fatto di essere lui il responsabile della perdita dell’amata e non gli dèi. La prima rappresentazione è avvenuta a Vienna il 5 ottobre 1762, quella francese a Parigi il 2 agosto 1774. Il primo atto ha come sfondo un boschetto di cipressi: Orfeo piange la morte di Euridice insieme a pastori e ninfe. Egli supplica gli dèi di restituirgli la donna amata. Interviene Amore, messaggero divino, che gli annuncia la volontà di Giove di acconsentire a questa sua richiesta solo a patto che quando sarà nell’Ade non dovrà mai voltarsi a guardare Euridice altrimenti la perderà per sempre. Nel secondo atto quadro primo Orfeo è sceso nel Tartaro: le furie e le anime dei morti gli ostacolano il cammino, ma l’eroe riesce a commuoverli grazie al suo canto accompagnato dalla lira. Nel quadro secondo Orfeo è giunto nei campi Elisi: finalmente ha raggiunto Euridice e in sua compagnia si appresta a tornare nel regno dei vivi. Nell’atto terzo quadro primo siamo negli Inferi. Euridice si chiede perché Orfeo non la guardi e nutre dei dubbi sull’amore che lui prova nei suoi confronti al punto tale che vorrebbe restare nel mondo dei morti. Orfeo, al culmine della disperazione, trasgredisce al divieto e si volge verso Euridice che cade morta tra le sue braccia. Nel quadro secondo il dio Amore impedisce a Orfeo di suicidarsi e, come premio per la fedeltà verso la donna amata, decide di restituirgliela. Tutti i personaggi protagonisti esaltano la potenza dell’amore. La vicenda ha un lieto fine al contrario di quanto avveniva nel mito greco.

Curiosità

Nel 1859 Hector Berlioz ha adattato la parte di Orfeo alla cantante Pauline Viardot-Garcìa: da quel momento in poi questo ruolo è stato affidato anche ai contralti. Nella versione originale viennese, invece, Orfeo era stato interpretato da un castrato.

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fig.59
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Culturnauti in viaggio: Delfi

Ecco alcune foto della mia tappa a Delphi di un tour guidato con meta Grecia classica e isole saroniche:

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santuario di Apollo

La tradizione racconta che il primo santuario consacrato ad Apollo fosse stato realizzato con rami di alloro intrecciati, ma questa ovviamente é una leggenda. Sappiamo con certezza che il santuario é sato restaurato nel IV secolo a.C. dopo una serie di terremoti e incendi che lo avevano gravemente danneggiato.

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panorama del sito
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onfalo (vedi spiegazione)
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teatro 

A Delfi si disputavano i Giochi Pitici, dapprima ogni otto anni , poi ogni quattro: all'inizio consistevano in  gare musicali (uno dei primi partecipanti, si racconta, é stato Apollo), poi furono introdotte gare teatrali e concerti, esibizioni di citaristi e flautisti. Dove avvenivano queste splendide esibizioni? Proprio nel teatro, la cui immagine é riportata qui sopra.

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tempio dela Pitia

La Pitia suggeriva ai coloni dove fondare le nuove città (vedi lezione Antica Grecia Un po' di storia), ma forniva anche responsi privati e decretava come purificarsi da una grave colpa commessa (come nel caso di Eracle vedi paragrafo Le fatiche di Eracle o Oreste, autore dell'omicidio della madre Clitennestra).

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tesoro dei Sifni

Lungo la via sacra si allineavano dei piccoli templi che custodivano i tesori, ovvero le offerte delle varie città.

 

 

Menù Storico

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Menu banchetto Filemone e Bauci

Bibliografia

    • G.Guidorizzi S.Romani  In viaggio con gli dei Raffaello Cortina Edizioni, 2023
    • T.Braccini S.Romani Una passeggiata nell'aldilà in compagnia degli antichi Einaudi, 2017
    • M.Bettini Il grande racconto dei miti classici Il Mulino, 2015
    • H.Eduard Jacob I seimila anni del pane Storia sacra e storia profana Bollati Boringhieri,2019
    • G.Batini Le radici delle piante Erbe, fiori, frutti, alberi nel mito e nella leggenda Edizioni Polistampa,2007
    • J.Brosse Mitologia degli alberi Dal giardino dell'Eden al legno della croce BUR, 2016
    • A.Batta Opera Autori Opere Interpreti Edizioni Koenemann, 2000

    Il menù del banchetto di Filemone e Bauci è stato tratto dal testo (apportandovi alcune modifiche) di A.Ferrari La cucina degli dei Miti e ricette dall'antica Grecia alla Roma imperiale Edizioni Blu, 2014

Letture consigliate

    • G.Guidorizzi S.Romani Il mare degli dei Guida mitologica alle isole della Grecia Raffaello Cortina Editore, 2021
    • D.Steer Mitologia Edizione illustrata Rizzoli, 2008
    • Pausania Viaggio in Grecia Olimpia ed Elide (Libro V-VI) A cura di S.Rizzo Testo greco a fronte BUR Rizzoli, 2021
    • A cura di I.Bosio E. Schiapparelli Gli scrittori raccontano i miti Editrice Piccoli-Edizioni Il Capitello, 2001
    • M.Margherita Bulgarini Parnaso Storie di miti e leggende greche e romane Emmebi Edizioni Firenze,2009
    • P. Mastrocola Amore prima di noi Einaudi, 2016
    • A cura di R.Deidier Persefone Variazioni sul mito Omero, Ovidio, Claudiano, Marino, Goethe, Swinburne, Tennyson, Ritsos Grandi classici Tascabili Marsilio, 2010

Per le Unità di Apprendimento

  • Per le unità di apprendimento sul mito:

    Amico albero di Rossella Carpentieri contenuta nel testo Scienze integrate di A.Carvaldo Edizioni Loescher, 2022.

Sitografia Immagini

Documentari

Titolo Link
Per il mito di Prometeo raccontato da Luciano de Crescenzo: link
Per gli Argonauti raccontati da Luciano de Crescenzo: link
Per le fatiche di Ercole raccontate da Luciano de Crescenzo: link